Editoriale

Referendum sulle trivelle: rischia di essere un discutibile e facilmente impugnabile test sul governo

L'astensionismo sarà, al solito, il vero vincitore ennesima dimostrazione dell'inutilità di chiamare al voto senza offrire la possibilità di far valere la volontà popolare

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

’ormai prossimo referendum sulle trivellazioni, intrecciato, per una singolare coincidenza, con il garbuglio politico-giudiziario-affaristico di Tempa Rossa, ci spinge a formulare alcune considerazioni sulla complessa materia della politica energetica italiana e sulla sensibilità dell’opinione pubblica al riguardo.

Una premessa è d’obbligo: il referendum del 17 aprile, al di là del suo ambito circoscritto – si tratta di consentire o meno il rinnovo delle concessioni per le piattaforme entro i 12 km dalle coste – investe una serie di problemi, primo fra tutti quello sull’opportunità o meno di continuare a proporre all’elettorato quesiti complicati che richiedono conoscenze specialistiche e, in ogni caso, non possono essere risolti con un semplice sì o no; problemi che vanno poi dai rapporti fra Stato e Regioni alla disciplina dell’attività di lobbying, dalla dipendenza energetica dell’Italia nei confronti di altri paesi alla salvaguardia dell’ambiente e della salute pubblica, dal riconoscimento o meno della priorità del turismo nella nostra economia agli interrogativi sul ruolo della nostra industria “pesante” nell’attuale contesto produttivo mondiale e così via.

Sullo sfondo - o, se preferite, come “sottotesto” – si staglia la secolare contrapposizione fra “modernisti” da un lato e critici dei processi di modernizzazione dall’altro; una contrapposizione trasversale rispetto agli schieramenti politici e che, ad esempio, rivestì una veste letteraria all’epoca delle dispute fra “Strapaese” e “Stracittà”, ma si espresse in più ampie e contrapposte visioni del mondo anche all’interno dei fascismi europei, un nucleo dei quali ebbe spiccate connotazioni futuriste, legate al progresso della Tecnica, mentre altri filoni si riconobbero in una tradizione rurale, con accenti religiosi e addirittura confessionali.

Del resto, ancora oggi assistiamo al confronto tra i sostenitori della “crescita zero” e fautori dello sviluppo di tecniche sempre più in grado di assecondare una crescente produttività; ma attenzione: tra i sostenitori delle energie rinnovabili, ad esempio, si celano spesso i seguaci di Serge Latour e di Josè Bové, spregiatori del culto della crescita indefinita, dei prodotti a kilometro zero e della globalizzazione: per loro, l’opzione delle rinnovabili sarebbe il segno di che ripropone uno dei paradossi della storia: uno strumento come il nucleare, già simbolo una svolta nella direzione della modernità, con una interessante miscela di natura e di tecnica. Posizione, quest’ultima, non solo di progresso, ma di acquisizione perpetua per il bene dell’essere umano, finisce ora nella soffitta delle cose superate. Almeno, nella corrente sensibilità dei contemporanei…

Un’altra considerazione preliminare va evidenziata: quale che sia la fonte energetica privilegiata, essa non potrà non comportare un prezzo da pagare, soprattutto in termini ambientali. Così, le problematiche inerenti alla sicurezza ed allo smaltimento di rifiuti radioattivi furono all’origine del no referendario decretato anni orsono dal nostro elettorato; un no che non ci poneva al riparo dai pericoli – e dai danni poi subiti anche da noi, in occasione del disastro di Chernobyl – derivanti dalla vicinanza di centrali nucleari in paesi come la Francia e la Svizzera (e, si potrebbe aggiungere, dalla vicinanza di piattaforme petrolifere  croate o slovene alle nostre spiagge adriatiche); un no, che, unitamente al mancato perseguimento di una seria e fattiva politica energetica, ci lasciava in balìa dei paesi produttori di gas, di greggio e di nucleare, contribuendo, fra l’altro, ad azzoppare la competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali.

D’altra parte, anche le fonti rinnovabili – l’eolico, il fotovoltaico – non sono esenti da controindicazioni (senza contare i tempi lunghi occorrenti per una graduale, sostanziale sostituzione delle stesse a quelle di origine organica e fossile): basta percorrere vaste zone, specialmente nell’Italia meridionale, deturpate da pale eoliche e distese di pannelli fotovoltaici, per rendersi conto dei guasti prodotti al paesaggio di quelle terre.

Vi è poi un altro aspetto da non sottovalutare nel “sottotesto” di questo referendum, ed è quello del rapporto fra lo Stato e le Regioni (nove delle quali sono le promotrici della consultazione); un rapporto che lo Stato centrale tende a riequilibrare a proprio favore, dopo la sciagurata riforma del Titolo Quinto della Costituzione, avviata sotto il governo D’Alema, in una fase della vita politica in cui il federalismo sembrava dominante. Anche in questo caso, si va ben al di là della querelle sul soggetto legittimato a legiferare in materia energetica, con tutte le connesse ricadute economiche: in tempi di riforme istituzionali – oggetto, fra l’altro, di un prossimo, decisivo referendum in autunno – è tutto da ridisegnare il rapporto fra cittadini, autorità e territorio, ed è da misurare il consenso di cui gode il governo Renzi.

Di passata, è il caso di ricordare che da quarant’anni il Parlamento non riesce a disciplinare l’attività di rappresentanza degli interessi, vale a dire di lobbying: i provvedimenti varati fino ad oggi hanno avuto per lo più carattere di  limitazione se non di repressione della stessa, a differenza di quanto avviene in altri paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti. Eppure, sembrerebbe auspicabile che il cittadino elettore – e contribuente… - fosse messo nella condizione di capire, nel segno della massima trasparenza, di quali gruppi d’interessi sono espressione governi e maggioranze…

E allora, tornando al referendum, cosa votare? Certo, anche ricordando l’atteggiamento gattopardesco delle nostre classi dirigenti in occasioni di altre consultazioni referendarie, il cui esito fu vanificato da successive leggi “ad hoc”, sarà difficile registrare una grande affluenza alle urne; a meno che la maggioranza dell’elettorato non decida di mandare un segnale punitivo al Governo, che si è dichiarato contrario all’abrogazione delle norme richiesta dai promotori, e lo ha fatto anche a costo di sollecitare la pericolosa deriva astensionista in atto ormai da tempo.

Quanto al merito della questione, bisogna che noi cittadini decidiamo cosa fare in materia di approvvigionamento energetico, il che vuol dire essenzialmente in materia di modelli di sviluppo. In passato, le esigenze di modernizzazione e le ambizioni di una nazione che intendeva affermarsi fra le grandi potenze industriali ha portato allo scempio di aree come quella di Bagnoli, di Taranto, di Porto Marghera, di Rosignano. Sul fronte opposto, il rigetto del nucleare ci ha confinato fra le potenze di secondo rango; e qui, più che in altri campi, tertium non datur: o figli di Prometeo o discendenti dei pastori d’Arcadia.

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