Editoriale

Non abbiamo bisogno di «moderati», ma di politici decisi, onesti e competenti

Tutti rincorrono e fanno appello alla moderazione, è sempre il solito tradimento delle parole che vorrebbero essere rassicuranti e risultano irrimediabilmente banali

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

l riferimento ai “moderati” costituisce il filo rosso – anzi, grigio – della politica italiana. Perfino nella prossima tornata di elezioni amministrative, si fa un gran parlare di questa fantomatica entità, nonché della necessità – e della sbandierata capacità – di aggregarla e riportarla alle urne, in particolare da parte di una porzione del “centrodestra”.

Cosa abbia da spartire la “moderazione”, virtù individuale e privata, con la capacità di amministrare e, se si vuole, con l’onestà, è davvero poco chiaro; ma anche nella prospettiva delle più lontane scadenze elettorali politiche e del cimento per la conservazione o la conquista di una leadership politica, appare a dir poco discutibile il consenso intorno alla “moderazione” come categoria del Politico.

Certo, laddove si voglia collocarsi al di là delle definizioni di “destra” e “sinistra”, potrebbe sembrare in linea una identificazione come quella di “moderati”: fin dalle dichiarazioni dei candidati e dai sondaggi delle imminenti elezioni amministrative, si può concludere che questi fantomatici “moderati” si siano distribuiti un po’ nello schieramento di centrosinistra, un po’ in quello di centrodestra; ma proprio questa constatazione non vanifica forse la rincorsa al centro di certi leader? E, fermo restando l’obiettivo del conseguimento del potere attraverso il consenso, se si sposta il focus sugli interessi effettivi della comunità – locale o, domani, nazionale – siamo sicuri che quel che occorre oggi sia proprio la moderazione?

Nel 1967, la casa editrice Volpe pubblicò un saggio di Abel Bonnard dedicato a “I moderati”: la lettura di questa pagine, ancor oggi, può essere utile a definire questo magma freddo che circola da decenni, se non da secoli,  sotto le tendenze e le contrapposizioni della nostra società, perfino sotto falso nome. “In politica – scriveva Bonnard – il primo realismo è conoscere i demoni che sono nascosti nelle parole”, e qui della parola conviene ricordare l’etimo: moderato deriva dal latino modus, che vuol dire misura, e sta ad indicare un approccio controllato, frenato, lontano da ogni dismisura ai problemi ed alle situazioni dell’esistenza. Virtuoso, come dicevamo, nella sfera privata, un simile atteggiamento rischia di sconfinare nell’indifferenza e nel distacco dalle cose pubbliche, pur tenendo conto che scuole di pensiero condannano le categorie – e le corrispondenti espressioni politiche – dell’estremismo e del radicalismo.

Di più: analoghe condanne sono moneta corrente anche nel campo delle religioni, dove si esalta, una volta di più, la moderazione, rispetto al deprecato fondamentalismo. Ora, sia detto fra parentesi rispetto al nostro tema, nella dimensione del sacro, della coscienza, dell’adesione a un credo, l’attitudine alla moderazione è ancor meno apprezzabile che in politica: non si può, infatti, credere “a metà” o “solo un poco”; semmai, vivere appieno la propria fede impone la ricerca assidua della conciliazione con le esigenze della civile convivenza, a partire dalla pratica della tolleranza, ma sempre improntando il proprio vissuto integralmente – almeno come tendenza - ai valori in cui si crede.

Tornando alla politica, vale la pena di riportare un passo del recente articolo di Luciano Lanna, il quale si chiede: “… perché qualche autolesionista continua a evocare il moderatismo come prospettiva politica e addirittura come percorso di aggregazione maggioritaria? Oltretutto, a non funzionare è la contrapposizione ricorrente e abusata di una certa retorica… tra presunti moderati e presunti estremisti. Un contrasto artificioso, perché l’opposto psicologico del moderato è semmai l’appassionato o radicale, ovvero chi è capace di uno sguardo che sa affrontare le questioni sino alle radici…”.

Scriveva ancora Bonnard: “Sono dei moderati, non per dei principi loro propri, ma perché fanno un passo in meno nella stessa direzione dei loro avversari, essendo timidi nelle irragionevolezze”. E questo contribuisce a spiegare il favore incontrato in certe correnti di opinione dal moderatismo, un’attitudine che prepara al trasformismo e al cambio di schieramenti, male endemico del nostro ceto politico, ma, più in generale, del nostro paese e del nostro popolo (almeno quanto il cinismo e l’indifferenza che portano, fra l’altro, all’astensionismo e al disimpegno).

A sostegno delle ragioni del moderatismo, si deplora la speculazione sulle paure diffuse da parte di alcune formazioni politiche: paura degli immigrati, dei delinquenti, della disoccupazione, della crisi e così via; ma non è somministrando dosi di “moderato” ottimismo – moderato e infondato – non è rinunciando ad ogni progetto radicato in una coerente visione del mondo che si può salvare la Patria, e nemmeno l’Europa. E poi, la paura è uno di quei sentimenti collettivi, di quelle percezioni che un politico deve prendere in considerazione, per orientare la propria azione. Non diversamente dall’indignazione o dall’entusiasmo, dall’insicurezza e dal bisogno.

E allora, cari candidati, andate a presentarvi, ad esempio, all’elettore romano, con il volto della moderazione: moderazione contro il malaffare che ha coinvolto e coinvolge politici, amministratori, burocrati, imprenditori e delinquenti? Moderazione riguardo alle periferie abbandonate al degrado, alle occupazioni abusive, alle guerre fra poveri che vedono gli uni contro gli altri emarginati nostrani e immigrati non integrati? Moderazione come ricetta per sopperire alle esigenze di mobilità e di decoro urbano, contro lavori fatti male e ripetuti a scopo di lucro, buche che diventano voragini dimenticate, piogge che allagano e vento che trasforma gli alberi in assassini, edifici – anche di pregio – e vagoni abbandonati allo scempio dei writers, e via elencando e lamentandosi, il tutto sullo sfondo di una tassazione crescente eppure impotente a sanare un debito gigantesco, dovuto al concorso di inettitudine, losco clientelismo e disonestà pura e semplice – e trasversale – in decenni di malamministrazione.

E se moderazione fa rima con conservazione – perfino delle cose peggiori - altro che moderazione ci vuole! Bisognerebbe invece invocare uno shock, un azzeramento delle regole che hanno alimentato la burocrazia e, fra le sue pieghe, le occasioni di corruzione, l’avvento di personalità decise a sovvertire la routine di un sedicente riformismo migliorista, capace solo di procrastinare lo sfascio, insomma, un’era di provvedimenti e di uomini votati alla dismisura. E non solo a Roma. Sull’onda di un tale auspicio, chiudiamo con un’altra citazione di Bonnard: ”Il loro ruolo nella storia (ndr.: dei liberali rmoderati) è immenso. Sono gli introduttori delle catastrofi: annunciando il progresso, hanno aperto la porta al disastro. I liberali sono i personaggi più vanitosi della storia. Essi vogliono che l politica sia un dibattito, non una battaglia”. Tanto per discutere a vuoto, conservando il potere.

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.