Editoriale

Fenomenologia di Maurizio Gasparri

Innanzitutto ha un pregio e una virtù estremamente rara, non soltanto in ambito politico, ma in generale al giorno d’oggi: possiede il senso dei propri limiti.

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

ra gli ex “colonnelli” di An, il mio preferito - e si badi bene che lo affermo senza alcuna traccia d’ironia – è, e resta, Maurizio Gasparri. Innanzitutto ha un pregio e una virtù estremamente rara, non soltanto in ambito politico, ma in generale al giorno d’oggi: possiede il senso dei propri limiti. Gasparri è uno dei pochi che è entrato in Forza Italia e c’è rimasto. È uno dei pochi ormai a non aver mai scritto un libro. Evviva! Ora so che qualcuno su questo potrebbe armare facili battute, ma ricordo a costoro che esistono sempre i “ghost writer”. Sì certo, il buon Maurizio non sa chi siano Prince e Jim Morrison, su Twitter a volte sbaglia i verbi, ma trovo ben più grave culturalmente non riuscire ad andare più in là di un continuo, reiterato, triste e noioso riferimento unico e costante al Fascismo utilizzato sempre e comunque adattandolo alle proprie personali necessità. Anche perché il Fascismo, con tutti i propri limiti, aveva dei riferimenti culturali alti nell’Età Imperiale Augustea, nel Risorgimento italiano, nel nostro Rinascimento e meno – sì meno perché al Duce interessava poco ed Evola lui non l’ha mai capito – nel Medioevo ghibellino, tant’è che la buonanima di Benito – per ragioni politiche, altro che per competenze urbanistiche – ha favorito, per esempio, la devastante sconcezza di Via della Conciliazione, invece di adottare il progetto di Armando Brasini, infinitamente migliore e più rispettoso sia della città sia del Vaticano. Non possiamo affermare con assoluta certezza se Mussolini sia stato “il miglior urbanista” italiano, perché la guerra non ha dato il tempo, ciò che è stato fatto ha lati positivi e altri discutibili quel che è certo è che dopo, con la tanto vantata Repubblica, è stato tutto peggio.

Una destra politica – ennesima volta che lo ripeto, ma lo dirò finché avrò  fiato – che in questi anni, anche quando ne ha avuto la possibilità pratica, se ne è bellamente infischiata di agire in campo culturale, di porre solide basi, di appoggiarsi ai numerosi e validi intellettuali organici o – meglio – disorganici dell’area, perché in realtà davano fastidio, erano d’intralcio. Ah già, la “Cultura è dottrina”… non ho mai capito – né io né altri – cosa volesse dire tale frase fatta, del tutto vuota di significato, ma contenti loro… siamo ancora al MinCulPop… be’ no, no… magari!

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