La scomparsa del grande attore

Giorgio Albertazzi: Sulla mia lapide un verso di Rimbaud

Il Maestro se n'è andato ieri mattina alle nove. Lo ricordiamo attraverso le sue stesse parole e alcuni commenti.

di Domenico Del Nero

Giorgio Albertazzi: Sulla mia lapide un verso di Rimbaud

 

“ Mi piacerebbe un verso di Rimbaud: per delicatezza ho perduto la mia vitaAlbertazzi, in una intervista del  2013 ad una emittente televisiva, aveva dichiarato che sulla sua lapide avrebbe voluto inciso questo verso, bellissimo, del grande poeta francese.  Ed ora è  calato il sipario su un altro grande, anzi su un sommo. Giorgio Albertazzi se ne è andato dopo una carriera durata  oltre un sessantennio: nato a Fiesole nel 1923, aveva debuttato nel Maggio Musicale Fiorentino del 1949, in  Troilo e Cressida  di Shakespeare, per la regia di Luchino Visconti. E il bardo inglese  è sempre stato uno dei suoi autori preferiti: nel suo segno ha iniziato la sua carriera e in un certo senso l’ha conclusa, considerando che la sua ultima apparizione in teatro è stata ne Il mercante di Venezia. Non solo; nel 1964, in occasione del 400° anniversario della nascita di Shakespeare, debuttò al teatro Old Vic di Londra con Amleto per la regia di  Franco Zeffirelli  con Anna Proclemer e Anna Maria Guarnieri quali protagoniste femminili.  Lo spettacolo rimase in cartellone per due mesi, Albertazzi  venne premiato con una foto nella galleria dei grandi interpreti shakespeariani del Royal National Theatre: caso unico per un attore non di lingua inglese. E all’età di 92 anni, il maestro continuava a guardare avanti:  sino a pochi mesi fa era in tournee con lo spettacolo Memorie di Adriano, ma il suo sogno, secondo quanto affermato da un comunicato della famiglia. sarebbe stato mettere in scena nientemeno che Romeo e Giulietta, con Valeria Valeri.

L’amore e la vita stessa, oltre al teatro, sono state del resto le sue grandi passioni.  Ancora nel 2007 aveva sposato Pia  de Tolomei di Lippa, quando lui aveva 84 anni e lei 48.   “ Che cosa è da di straordinario la vita? Il fatto che sia sempre imparentata con la fine … Attimo fermati, sei bello! Qualcuno ha detto che gli dei ci invidiano proprio la morte, perché per loro la vita si ripete eternamente e questo ne sminuisce il valore. Se invece sai che quella cosa non si ripete ….”

“Durante gli anni della guerra vidi una ragazza bellissima, sembrava una pantera … non le ho mai detto nulla, la ricontrai dopo anni ed anni … e mi disse che non aspettava altro! “

La sua grande arte teatrale consisteva nel calarsi nel personaggio in un modo che si può definire demiurgico:  “ Non credo nei personaggi, credo negli autori: le parole sono sempre mie perché metto le mani su tutto.” E a coloro che parlavano di teatro in crisi o morte del teatro, così replicava: “Sono almeno 3000 anni che dicono che il teatro è morto … il teatro è sempre sul punto di morire proprio perché è vivo: insegue sempre il rinnovamento, è come il rapporto tra le parole e le cose. Cosa viene prima? Il teatro vero fa domande, non dà risposte; l’arte vera non dà mai risposte, fa domande e basta”.

Sono sue dichiarazioni, rilasciate in varie interviste, che danno più che mai la dimensione di un personaggio brillante, mai banale, in lotta contro il tempo e l’oblio, fermamente innamorato della sua arte vissuta come una sorta di missione,  in nome del bello e della vita.[1]

 

“L’ideale era D’Annunzio, lui che alla testa dei legionari si alza sulla moto a offrire il petto ai colpi, lui che dopo una notte con l’imperatrice mormora a chi gli chiede com’è andata: “Non ho più i miei sessant’anni”. [2] In questa frase c’è tutto Albertazzi: un po’ provocatore e Guascone, ma capace di guardare  la vita diritto negli occhi, senza rinnegare neppure un’oncia del suo passato: neppure quello che per molti era una pagina scomoda da tenere accuratamente nel cassetto, la militanza a Salò.

Albertazzi si è dichiarato più volte di sinistra, ma non ha mai accettato di rinnegare, di “chiedere scusa”: Per chi come me leggeva Salgari e l’Avventuroso, all’astuzia di Ulisse preferiva la forza di Achille, era cresciuto nel mito di Baracca e di D’Annunzio, dei trasvolatori dell’Atlantico e dei calciatori bicampioni del mondo, il fellone era Badoglio che scappava. Che ha senso ricordare oggi: la parte legale non era quella? Per chi come me aveva il mito non tanto del Duce ma di Ettore Muti ucciso dai badogliani, di Italo Balbo abbattuto nel cielo della Sirte, degli eroi della Folgore disfatti a Birel Gobi, la “parte legale”, l’Italia, era quella. E io ho combattuto per l’Italia”,[3] aveva dichiarato in una intervista ma cose le del genere le ha ripetute sin quasi alla fine. Parole da scolpire soprattutto nell’Italia di oggi.

Un uomo generoso dunque, capace di affascinare non solo il pubblico ma anche gli stava vicino, chi lavorava con lui. Vera Pastore, una brava cantante lirica, così lo ricorda: “Quando lo conobbi, era a Torino con la mia amica Marina Tagliaferri per lo spettacolo Il ritorno di Casanova e venne a casa mia ad ascoltarmi.  Evidentemente gli piacqui perché qualche tempo dopo quando gli chiesi: "Giorgio, facciamo un recital su D'Annunzio insieme?  Risposte di sì.  Lui era così, quando credeva in qualcuno si dava con grande generosità!” E aggiunge: “Posso aggiungere che gli è piaciuta tantissimo la mia idea di fare insieme il duetto della Francesca da Rimini di Zandonai, abbiamo fatto un lavoro di adattamento per consentirgli di parlare sulla, musica, io cantavo e lui mi rispondeva parlando;  alla fine del duetto i versi di Dante!”

Il sommo poeta è stata un’altra delle grandi passioni di Albertazzi: rimangono celebri le sue lecture, tra cui quella di Paolo e Francesca., in cui sapeva far vibrare una nota di fervida sensualità.

La sua carriera,  ha abbracciato il teatro, il cinema, la televisione:  è stato regista, sceneggiatore, traduttore e riduttore di romanzi per la televisione e autore teatrale. Ed è stata costellata di momenti e successi indimenticabili: “

'Era il più grande attore italiano. Il pubblico lo sapeva benissimo e forse anche lui era cosciente del compito di essere l'ultimo dei grandi. Ma sempre con la voglia di sperimentare, di non essere mai ovvio''. Così Gigi Proietti  ha commentato la notizia della scomparsa del grande collega.  Pur diversissimi,  i due si sono incontrati più volte e sempre nel segno di Shakespeare. La prima, nel 2001, per un ''Falstaff'' di cui Proietti era il regista  ''Dirigere Albertazzi? Era come suonare uno Stradivari - afferma - Non bisognava certo dirgli come affrontare le battute. Anche se in realtà era talmente grande che un consiglio lo poteva anche seguire''. Poi negli anni Albertazzi è stato anche in cartellone nella stagione estiva del Globe Theatre di Villa Borghese, di cui Proietti è direttore. ''Un teatro popolare, senza palchetti, di cui però Albertazzi, nella sua voglia di sperimentare, era molto affascinato - racconta ancora il regista - Portò uno straordinario Prospero ne La Tempesta e Giulio Cesare. Il fatto che fosse disponibile anche per un'operazione più caratteristica, in cartelloni dove solitamente non compaiono grandi nomi, era un segno della sua curiosità nobile. In questa stagione troveremo il modo per ricordarlo''. [4]

Oggi alle 17  il suo ultimo addio: non un funerale, perché così desiderava il maestro, ma un commiato, un saluto agli amici nella tenuta di famiglia alla Pescaia di Grosseto, dove è spirato all’età di 92 anni, con accanto la sua Pia.

 



[3] Idem

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