Editoriale

Ancora sulla Destra: cambiare politica (e politici) per ricominciare a navigare

Galli della Loggia sul Corsera ha sollevato il problema di una sostanziale inesistenza di una forza di opposizione, quel che è vero e quel che non lo è

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

a liquefazione della destra politica suscita ormai a intervalli regolari considerazioni critiche e auspici, rimpianti e conati di ricostruzione. L’ultima uscita sul tema, in ordine di tempo, è rappresentata dall’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di sabato 1° ottobre, dal titolo “La destra italiana che non ha identità”. Qui l’illustre opinionista torna ad esternare il suo rammarico per la sostanziale inesistenza, a suo dire, di una destra conservatrice, liberale e, alla fin fine, europea, nella nostra Italia. Le alternative sarebbero rappresentate da offerte politiche destinate all’insuccesso: “rabbia xenofoba e clericalismo antiliberale”.

Certo, quella conservatrice rappresenta una delle anime della “destra”, ammesso che abbia ancora valore questo tipo di discrimine, per di più rimesso in discussione in questi giorni proprio dalla campagna referendaria, che non solo vede schierate dallo stesso lato della barricata parti di sinistra, quasi tutto il centrodestra e perfino gli “antisistema” del Movimento Cinque Stelle, ma fa registrare una sostanziale coincidenza delle motivazioni alla base del “no”. Per inciso, non ci sembra infondata la distinzione alternativa utilizzata, ad esempio, da Marine Le Pen, fra Nord e Sud (anche in Italia…).

Comunque, con lo stesso Galli della Loggia si può concordare, quando ricorda alcune delle linee guida capaci di raccordare un soggetto politico di “destra” con il suo elettorato (legame che oggi appare decisamente allentato, soprattutto per l’inconsistenza dimostrata dai leader politici di quella parte): “identificazione ragionata con il lascito del passato, con gli edifici, il paesaggio e i costumi di un luogo, l’attaccamento ai valori ricevuti, la diffidenza verso tutto ciò che distrugge la tradizione; e poi senso delle istituzioni, considerazione non formale per i ruoli, i saperi, le competenze, rispetto delle regole”.

Ma non è tutto. In una prima replica all’Autore, Francesco Borgonovo, dalle colonne de La Verità, sottolineava come uno dei cavalli di battaglia della destra politica dovrebbe essere rappresentato dalla rivendicazione della sovranità nazionale e, aggiungiamo, dalla salvaguardia delle identità, che è cosa ben diversa da quella “rabbia xenofoba” ingenerosamente attribuita da Galli della Loggia a talune componenti della “destra” (tanto a quella politica che a quella sociale).

Così, dentro il “contenitore” della sovranità nazionale e popolare, si possono trovare non pochi degli snodi cruciali dei nostri tempi: un progetto per ridisegnare l’Europa e i suoi rapporti con i singoli Stati; il rinnovato orgoglio per l’appartenenza ad una storia e ad una cultura troppo spesso dimenticate (a partire dalla scuola); una considerazione delle frontiere e dei flussi migratori in linea non solo con il diritto pubblico europeo, ma anche con le nostre tradizioni, che contemplano più una nostra presenza operosa fuori dai nostri confini che non un’accoglienza caotica e suscitatrice di disagi, come quella che vediamo ogni giorno; il ristabilimento della fiducia fra rappresentanti e rappresentati, finalizzato a rinsanguare il gioco democratico. Su queste linee dovrebbero concentrarsi le varie anime della “destra”, magari sacrificando i rispettivi, squallidi interessi di bottega.

Purtroppo, segnali in questa direzione non se ne colgono: l’elettorato – il che vuol dire la società italiana nel suo complesso – continua a privilegiare - almeno stando ai sondaggi, ma anche ai più recenti dati delle urne - l’astensione, un governo che non riesce a tirarci fuori dalla palude, accontentandosi di sbandierare qualche peraltro controverso zero virgola per cento di presunta crescita, e un’opposizione ritenuta senza alternative (proprio come il governo, per certuni…), malgrado i risultati negativi fin qui ottenuti alla prova del nove del governo della Capitale.

In altri tempi, la “destra”, al di là delle criticità della congiuntura storica, ha saputo affrontare le sfide della modernità, pur restando ancorata alle tradizioni nazionali, ma soprattutto ha saputo conciliare le sue anime: ci riferiamo al Fascismo e alla sua gigantesca opera in materia di Stato sociale, di riassetto del territorio, di urbanistica, di ricerca scientifica, di riordino della Scuola, di politica industriale, di riconciliazione con la Chiesa cattolica; e su quest’ultimo punto, tanto per tornare all’articolo di Galli della Loggia, liquidare come “clericalismo antiliberale” posizioni di religiosità perplesse di fronte a certe prese di posizione dell’attuale Pontificato, ad esempio in materia di rapporti con altre confessioni  e di immigrazione, ma anche su temi legati alla famiglia, appare a dire poco riduttivo. Ferme le acquisizioni sul terreno della laicità, appare infatti ingeneroso liquidare i preoccupati richiami alla tradizione cattolica - anche per quanto riguarda i riflessi sulla legislazione e sulle pronunce dei giudici - come “clericalismo antiliberale”. C’è a “destra”, e non solo in Italia, una corrente di pensiero che proprio nel cattolicesimo vede il baluardo contro la disgregazione delle nostre società e della nostra cultura: basti pensare a un Roger Scruton, a un Thomas Molnar, a un padre Samir Khalil Samir e, a livello della nostra pubblicistica, a un Camillo Langone e ad un Antonio Socci.

Certo, la destra politica ha commesso errori imperdonabili, quando è stata chiamata dagli elettori al governo del Paese, soprattutto quando non ha individuato nella famiglia il centro motore della nostra civiltà e – perché no? – della nostra economia, lasciando che si affermassero anche da noi processi malsani che hanno privilegiato la finanza e le sue speculazioni, col corollario del mostruoso aumento della precarietà e delle disuguaglianze, e non trovando la forza di opporsi alle guerre che hanno causato, fra l’altro, la diffusione del terrorismo e dell’instabilità e insicurezza internazionale, sullo sfondo di un confronto di civiltà trasformato in uno scontro, grazie anche all’arma demografica (e alla paura dei nostri governi di rispondere sullo stesso piano non solo con campagne, ma con provvedimenti concreti).

E’ tardi per rimediare? Non lo sappiamo; di sicuro c’è che senza un rimescolamento delle carte, sia politiche che generazionali, la barca della “destra”  non potrà essere rimessa in navigazione.

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