Editoriale

Neve e terremoto, ma la vera calamità è nel sistema squinternato.

Per fortuna la capacità abnegazione e coraggio dei singoli, che non comandano, ma agiscono evita stragi di portata superiore

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

a la tara alle polemiche strettamente politiche, chi “vince” e chi “perde” nella gestione terremoti-neve, che ha devastato ampie zone dell’Italia Centrale? L’onore delle armi e delle citazioni va certamente a quanti sono e sono stati in prima linea nelle difficili operazioni di soccorso: Corpi dello Stato, associazioni di volontariato, semplici cittadini hanno offerto esempi significativi per spirito d’abnegazione e professionalità. E’ l’immagine di un’Italia “bella” quella che si è vista accanto alle popolazioni segnate dalle calamità naturali, un’Italia della quale c’è da essere fieri, al di là di qualsiasi retorica d’occasione.

A mancare, dietro quegli uomini e donne, è però la capacità di programmazione e d’intervento, della quale dovrebbero interessarsi le Istituzioni. Qui il nostro Paese “perde”: nella cesura tra “apparati” e competenze, strutture amministrative e prevenzione. Si dirà: ma i Corpi dello Stato utilizzati durante le diverse emergenze non sono espressione stessa della realtà istituzionale? La vera questione è che gli interventi dettati dalle varie emergenze arrivano a coprire, quasi sempre le debolezze “strutturali” del sistema-Paese, la scissione tra competenze e Istituzioni. Si corre ai ripari certamente, ma quello che manca è la capacità di programmare, di prevenire, di fare in modo che le diverse competenze siano interne alle scelte istituzionali. E perciò in grado di rendere le scelte rapide, adeguate, trasparenti.

Agostino Miozzo, ex capo della Protezione civile europea, è arrivato a dire: “In emergenza non c’è democrazia. In emergenza comanda una persona. Adesso non è chiaro quale sia la catena di comando”. Osservazione corretta nello specifico, ma inadeguata allorquando si voglia andare oltre l’emergenza, dotandosi di adeguati strumenti di prevenzione, di previsione e di programmazione.

Per arrivare a questo occorrono chiare catene di comando, ma anche ben definite competenze istituzionali e professionali. Si pensi al ruolo del Genio Civile e alla sua capacità di presenza, attraverso scelte immediate e dirette oggi perdute. Ed ancora al ruolo della vecchia Anas (Azienda Nazionale Autonoma delle Strade), con la fitta rete di case cantoniere, autentico presidio del territorio, quasi completamente dismesse. Per non dire del paradosso di un Paese, che detiene il triste primato del 70% delle frane di tutta Europa, nel quale - come ha denunciato il Consiglio nazionale dei geologi - a mancare sono proprio i geologi, visto che, a forza di “razionalizzare” i costi, i dipartimenti di scienze della terra sono passati in pochi anni dai 29 del 2010 ad appena 8 con un’inevitabile riduzione di docenti, ricercatori e studenti.

Istanze politiche e istanze tecniche debbono – in definitiva – tornare a dialogare, individuando, in ciascun ambito, chiare competenze ed ugualmente definiti spazi decisionali, costruiti sulla base di funzionali catene di comando. Per fare questo il primo passo è favorire una presa di coscienza sui limiti decisionali e strategici dell’attuale “sistema” e sull’eccessiva sovrapposizione delle competenze. Con lo sguardo rivolto al di là dei troppo bassi orizzonti della politica-politicante. Per tornare a programmare e prevenire, pensando ai reali interessi delle comunità locali e di quella nazionale, piuttosto che degli “affari” delle cosche malavitose e di una politica senza principi

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