OPERA DI FIRENZE: 80° Maggio Musicale.

Un Don Carlo all’insegna della tradizione. L’edizione fiorentina del capolavoro verdiano presentata oggi all’Opera di Firenze.

Il regista Giancarlo del Monaco riscopre la Spagna del secolo d'oro e delle leggende nere.

di Domenico Del Nero

Un Don Carlo all’insegna della tradizione.  L’edizione fiorentina del capolavoro verdiano presentata oggi all’Opera di Firenze.

Don Carlo; una grande opera o semplicemente un …. Grand opéra?  La domanda non è affatto oziosa e per certi aspetti ha caratterizzato il dibattito su quest’opera di cui esistono, in tutto, qualcosa come sette versioni, anche se di norma le edizioni sono due: quella in cinque atti per il  Théatre Lyrique di Parigi  (1867, con il titolo Don Carlos ) e quella in quattro atti per la Scala nel 1884.

La stesura della prima edizione parigina richiese solo nove mesi; data non solo la mole dell’opera, ma anche la sua complessità e profondità, si tratta di una rapidità straordinaria. E’ vero che Verdi conosceva benele convenzioni dell’Opéra di Parigi:  un soggetto illustre e un libretto molto articolato.  Il soggetto, il dramma Don Carlo di Schiller (1785), doveva essergli ben noto, non solo perché Verdi conosceva bene il grande drammaturgo tedesco degli albori del Romanticismo, ma perché proprio il massimo teatro parigino gli aveva offerto il soggetto già nel 1850.

A partire da venerdì 5 maggio, per un totale di quattro recite, il Maggio Musicale Fiorentino ospiterà la versione in quattro atti, diretta da Zubin Mehta con la regia di Giancarlo del Monaco, che oltre ad essere notissimo regista teatrale è anche “figlio d’arte”: suo padre è infatti Mario del Monaco, uno dei più grandi tenori del secolo da poco concluso. L’allestimento, nuovo per l’Italia, è quello dell’ABAO-OLBE di Bilbao , della Fundaciòn Opera de Oviedo, del Teatro de la Maestranza de Sevilla e del Festival Opera de Tenerife.

  Lo spettacolo è stato presentato oggi al teatro dell’Opera: presenti, oltre al direttore d’orchestra e al regista, il coordinatore artistico dell’Opera di Firenze Pierangelo Conte e il responsabile della promozione culturale Giovanni Vitali.

Del Monaco, dopo aver evidenziato come la coproduzione tra vari teatri, dotati di palcoscenici di diverse dimensioni,  ha fatto pensare a uno scenografia che possa “respirare, ovvero dilatarsi o restringersi a seconda delle possibilità, ha evidenziato come da una necessità “tecnica” della scenografia si sia passati a una visione e a una prospettiva ben precise.  “Don Carlos è un’opera storica  - ha affermato il regista  - la tradizione non è  il vecchio,  essa può essere rinnovata ma non sradicata. Siamo nella Spagna di Filippo II, il Re prudente, con l’Inquisizione e il contesto storico dell’epoca. Molti dei personaggi dell’Opera del resto sono personaggi storici: non solo Filippo II e Don Carlos ma anche altri importanti, come Elisabetta o  la principessa Eboli.”

Del Monaco ha evocato  per contrasto una edizione dell’opera a cui gli è capitato di assistere, ambientata ai tempi di Franco: “si parla di un re e di una inquisizione, ma durante il franchismo non c’erano né l’uno né l’altra; per non parlare di un Filippo II in vestaglia che offre whisky al Grande Inquisitore …”

Le possibilità di sviluppo erano due: o attenersi alla storia o seguire, come fa del resto anche Schiller la “leggenda nera”, che vedeva il giovane principe, nella realtà personaggio ben poco attraente e quasi sicuramente non del tutto normale, come un martire della libertà  della Fiandre, capace di contestare e cadere vittima dell’autorità paterna; versione che, pochi anni prima di Schiller, aveva seguito anche Vittorio Alfieri per il suo Filippo.

“Abbiamo deciso di mettere in scena la leggenda nera, probabilmente falsa, ma del resto è quella che segue il libretto. Abbiamo solo fatto terminare l’opera con l’uccisione vera e propria di Don Carlos perché il finale di Verdi (o meglio, dei librettisti Méry e Du Locle) e abbastanza ambiguo e oscuro, con un “salvataggio” del principe da parte di un monaco che è in realtà l’ex imperatore Carlo V. “

Anche i costumi, rigorosamente scuri, sono precisi e calati nella realtà storica dell’epoca, quasi “cinematografici”. Per quanto riguarda la scenografia “ Per simboleggiare l’epoca del “secolo d’oro” in cui è ambientato il dramma, non potendo certo riprodurla integralmente, abbiamo scelto una sorta di “scatola”sulle cui pareti sono raffigurati i paesi su cui esercitava il dominio di Filippo II, un gigantesco impero su cui non tramontava mai il sole” E’ un “contenitore” molto efficace  anche per scene di grande effetto come ‘L’Auto da Fè’ del secondo atto, caratterizzato da un gigantesco crocifisso  modellato su un’opera di Cellini.

“Si tratta di una regia molto … musicale, che serve anche a dar risalto agli ottimi cantanti che abbiamo a disposizione – ha dichiarato il Maestro Mehta  - del resto l’orchestra la conosce molto bene, l’abbiamo fatta più volte e in un caso anche la regia di Visconti.

Giovanni Vitali ha concluso ricordando il grande convegno articolato in due giornate ( venerdì 5 e domenica 6 maggio) dal titolo  Ma lassù ci vedremo in un mondo migliore. Il Don Carlo(s) di Giuseppe Verdi;  un momento per approfondire tutti i vari aspetti, storici, musicali letterari e iconografici che fanno di quest’opera una vera e propria summa della cultura romantica e tardo romantica.

 

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