Editoriale

Presidenziali francesi, e se Marx e Nietzsche si riprendessero per mano?

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

oggi guardi a Parigi, alla politica d’Oltralpe, con occhi non convenzionali, non può fare a meno di ripensare alla Storia francese tra le due guerre, percorsa dai fremiti di un “trasversalismo” culturale e politico che fu sul punto di ribaltare vecchie appartenenze ed immaginare nuove alleanze, lasciando comunque un’eredità con cui vale ancora la pena  confrontarsi.

Fu la stagione del “Romanticismo fascista”, descritto da Paul Sérant, la stagione di Drieu La Rochelle, Robert Brasillach, Abel Bonnard, Louis-Ferdinand Céline, Alphonse De Chateaubriant, Lucien Rebatet, autori diversi tra loro, ma accomunati da una lettura radicale della “decadenza francese”, rosa da un materialismo volgare (Céline parla della “trippa”, una  vergogna dell’uomo,  che non si riuscirà mai a trasformare in titolo di nobiltà); impegnati non a “restaurare”, ma ad immaginare “nuove sintesi”  (in cerca di una più alta autenticità, anche politica: “detesto le parole menzognere di destra e di sinistra” – scriveva Drieu La Rochelle); spinti verso un impegno rivoluzionario in grado di coniugare nazione e socialità, interesse politico e interesse spirituale; impegnati ad incalzare le giovani generazioni (per Bonnard “la gioventù di un grande Paese, in tempi felici riceve esempi, in tempi di crisi li dà”); ansiosi alla ricerca non solo di una politica, ma anche di un’etica, di un’estetica e di una metafisica, in grado di abbracciare secoli di Storia.  

Di questo lavorio intellettuale sono sintesi esemplare i giorni del febbraio 1934, allorquando  a Parigi, in Place de la Concorde, per la prima volta, si incontrano  in una grande manifestazione di protesta contro l’emblema della partitocrazia, il Palais-Bourbon (La Camera dei deputati), e contro il governo del radical-socialista Daladier, complice della corruzione,  militanti dell’estrema destra e dell’estrema sinistra, i Camelots du Roi, gli attivisti dell’Action Francais (il movimento  monarchico-tradizionalista di Charles Maurras) ed i giovani operai della “cintura rossa”, membri delle Jeunesses Patriotes e militanti comunisti, ex combattenti e disoccupati.

Una marea di quarantamila manifestanti che, tra ali di folla, marcia contro il simbolo del potere, cantando la Marsigliese e l’Internazionale, sventolando il tricolore e la bandiera rossa, urlando “Vive la France”, “Les Soviets partout”, “Via i ladri dal potere”…

“I capi si mescolino fra di loro come hanno fatto i soldati. Perché i soldati, Clérence, si sono mescolati su quella piazza. Ho visto i  comunisti vicino agli uomini dell’estrema destra; li guardavano, li osservavano turbati, con uno strano desiderio dipinto sul volto. Per un pelo non si sono incontrati, in un miscuglio stridente, tutti gli ardori della Francia. Capisci, Clérence ? Corri dai giovani comunisti, indica loro il nemico comune di tutti i giovani, il vecchio radicalismo corruttore” – così Drieu La Rochelle fa dire a Gilles, protagonista del romanzo omonimo, pubblicato, nel 1939, da Gallimard e censurato dal governo della III Repubblica.

Che  qualcosa di grande ed inusuale, insieme all’asprezza della repressione, fosse accaduto quel giorno a Parigi lo confermano anche le parole di un osservatore distaccato, come l’esule antifascista Carlo Rosselli, che, a ridosso degli avvenimenti di Place de la Concorde, così scrive alla madre: “E’ una grossa disfatta per la sinistra radicale e socialista che pagano il fio delle loro incertezze, debolezze e insincerità. Per la prima volta nella storia della Repubblica un governo è decapitato dalla piazza, non perché questa piazza fosse realmente rappresentativa (in provincia ci sono state, sia pure troppo tardi, vigorose risposte), ma perché le masse di sinistra erano o indifferenti o timide o compromesse dalla incapacità e dalla sottigliezza dei capi”.

Non a caso di fronte alle decisioni e alle collusioni dei vecchi capi del radicalismo socialista e dello stesso Partito Comunista Francese, mentre il fronte dei partiti antifascisti si ricompatta contro le minacce “reazionarie”, saranno i militanti comunisti, condotti da Jacques Doriot (mitico sindaco della rossa Saint-Denis, città operaia alla periferia di Parigi, Doriot, dopo i fatti del febbraio 1934, inizierà la sua rottura con l’apparato del PCF, rottura che lo porterà a fondare il Partito Popolare Francese, esempio di “fascismo autentico” alla francese) che il 7 febbraio rilanciano gli slogan antipartitocratici che avevano guidato i manifestanti a Place de la Concorde e pagano, con sei morti e centinaia di feriti, il loro tributo di sangue.

La Storia – lo sappiamo bene – non si ripete. Interrogarsi su certe inusuali “alleanze” conserva tuttavia  – ieri come oggi – un certo  fascino, nella misura in cui ci permette di cogliere l’autentica volontà di superare vecchi schematismi ideologici. In gioco – ieri come oggi -  la necessità di guardare  all’essenza della crisi,  sulla strada  di una politica che torni ad essere veramente “grande”, così come  indicato da Georges Sorel, un altro “eretico” del Novecento: “La grande politica è la comprensione dei bisogni superiori della collettività”. In questo senso di “grande politica” c’ è veramente bisogno. In Francia e non solo.

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