Editoriale

DONNE IN BANLIEUES. Se la periferia parigina è come un villaggio musulmano del nordafrica...

Misoginia e antisemitismo nel cuore dell'Europa. Ma il politicamente corretto impone il silenzio.

Luca  Costa

di Luca  Costa

e è un caso. Forse è una sorta di gioco di prestigio. Questa maledetta storiaccia di donne cacciate a sberle dalle strade e dai bar de la Chapelle-Pajol, a Parigi (XVIII arrondissement, dove il comunitarismo islamico raggiunge livelli davvero inquietanti), ha atteso, diligente, la fine dell’elezione presidenziale per trovare spazio sui media.

Durante la campagna elettorale, le telecamere che seguivano i candidati della sinistra nei quartieri caldi di Parigi mostravano serenità, sorrisi, strette di mano, partite di calcetto ; poi, come per magia, usciti dalle urne…l’oscurità è tornata. Che coincidenza!

 Ma si sa, ahinoi, prima delle elezioni è fuori luogo parlar male delle banlieues, dei migranti e dell’islam, occorre costruire un’immagine positiva, luminosa, del “vivere insieme”. Persino Marine Le Pen si era sottomessa, mansueta, al diktat del regime mediatico politicamente corretto ; si sa mai che scappi qualche voto.

Guai a puntare il dito contro l’apartheid delle donne nelle periferie, e soprattutto, udite udite, vietato pronunciare una sola parola, una, a proposito dell’antisemitismo che dilaga nei quartieri a maggioranza musulmana, fosse anche per dare spazio ai fatti di violenza inaudita che colpiscono ogni giorno la comunità ebraica (o agli atti di vandalismo contro le chiese, che non si contano più).

 Ora che la campagna è terminata, la realtà può fare capolino sul palcoscenico e mostrarci la sua brutta faccia. Senza esagerare ovviamente, un po’ di fondotinta ideologico non guasta.

Finalmente, giornali e tg possono spendere due parole per dire che a la Chapelle-Pajol, così come in tutta la cintura periferica di Parigi, gli uomini non tollerano le donne nelle strade, nei café, nei parchi. Gli uomini, esatto. Andate a vedere, fate una prova, in quei quartieri si vedono solo uomini.

Certo, gli intellettuali di sinistra e le femministe più irriducibili vi diranno che nel Medioevo era così ovunque in Europa, che anche i cattolicacci brutti e cattivi trattavano male le donne! e non crederanno certo all’invincibile armada di storici pronti a smentirli fonti e documenti alla mano (fonti e documenti? per la sinistra sono roba passata…).

Va a spiegare alle femministe che nel Medioevo le donne erano ovunque: nei mercati, nei cantieri, nelle botteghe, nei governi, sui troni. Prova a mostrare loro l’Allegoria degli effetti del Bene Comune (o del Buon Governo, che dir si voglia) di Ambrogio Lorenzetti, dove le donne sono ovunque, protagoniste e libere. Sempre a testa alta.

Prova a far riflettere le femministe sulle evidenti analogie tra gli Effetti del Cattivo Governo e le nostre città di oggi, dove le donne sono vittime di ogni sopruso da parte dei c.d migranti, in un grigiore squallido che ricorda in modo inquietante le periferie francesi (e ormai, ahimè, quelle italiane).

 Non servirebbe a granché…l’ideologia è cattiva consigliera…

 Il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo (indovinate di che partito è) ha sentenziato che nelle banlieues le donne devono marciare in gruppo per vincere il sentimento di insicurezza. Perché quando ti sputano, ti insultano e ti minacciano, o quando volano ceffoni, il problema è “il sentimento”…la percezione. Certo, non è bello sentirsi in pericolo mentre ti stanno menando.

Le discepole del femminismo mi sorprendono sempre. Ah, dimenticavo. Presenza delle temibilissime Femen nelle banlieues di Parigi per denunciare la misoginia islamica? Non pervenuta: forse Soros ha dimenticato di mandare i 2 € per il biglietto della metro.

 Chi ha provato a ricordare a qualche femminista che una delle grandi caratteristiche del c.d. patriarcato islamico è proprio la reclusione tra le mura domestiche delle donne, ha ottenuto come brillante risultato l’essere accusato di islamofobia (what else?). Chi ha osato affermare che insulti e minacce verso le donne che escono la sera, figuriamoci se azzardano una gonna, non siano in realtà che un pretesto per i guardiani dell’orthopraxie coranica, impegnati nel ripulire i quartieri da ogni presenza miscredente, per occupare lo spazio pubblico, è stato etichettato come razzista xenofobo (e ci mancherebbe).

È esattamente quel che è successo a quei giornalisti che (muniti di telecamera nascosta) avevano coraggiosamente mostrato ciò che succede nei bar del quartiere di Sevran, dove la presenza femminile è ormai un lontano ricordo. I giovanotti musulmani, interrogati sulla latitanza del gentil sesso nei caffè, avevano risposto senza ambiguità:  "qui non siamo a Parigi, qui si vive come al bled" cioè  al villaggio d’origine in Maghreb. Tradotto: le banlieues non sono più territorio francese, sono ormai Dar-al-Islam, terra di civilizzazione islamica, dove si deve vivere come nei paesi arabi secondo i dettati maomettani.

Davvero un grande successo l’integrazione à la française!

Il celebre presentatore David Pujadas, per aver osato far passare il servizio in prima serata, è stato appena licenziato dalla rete (pubblica) France2 dopo sedici anni di onorato servizio. Liberté!

Un esordio incoraggiante per il nuovo governo Macron, plebiscitato dalle banlieues e sostenuto (e finanziato) da tutta la galassia dell’associazionismo, delle istituzioni e delle fondazioni propagandiste islamiche francesi. Laïcité!

 La segregazione e la violenza sulle donne non è il solo problema delle periferie francesi.

Ce n’è un altro, forse ancora più scottante, sul quale la sinistra e i media hanno steso un velo di oscena omertà: l’antisemitismo dei musulmani.

Un esempio significativo, tra i tanti. Ve ne sono tutti i giorni…ma questo mi ha fatto davvero venire la pelle d’oca: il brutale omicidio di Sarah Halimi.

 

Siamo sempre nella periferia di Parigi (bel posticino vero? attenti italiani, che la sinistra sta replicando l’esperimento in TUTTE le periferie delle città italiane…a buon intenditor…), a Bastille-Vaucouleurs. È il 4 aprile 2017, mancano poco più di due settimane al primo turno dell’elezione presidenziale.

Sarah Halimi, 66 anni, tre figli, direttrice di asilo in pensione, viene aggredita in casa sua, torturata e seviziata per ore, e infine gettata dalla finestra del suo appartamento da un musulmano di 27 anni. Un delinquente già pluricondannato per i cosiddetti “reati minori” (quelli che è il popolo a dover subire: furto, spaccio, percosse). Insieme alla sua banda di quartiere, il giovane maomettano da tempo minacciava e insultava Sarah Halimi. Motivo? Sarah è francese nonché ebrea praticante.

Sale juive, on va te niquer un jour…

Il 4 aprile, la polizia arriva sul posto. I vicini di Sarah sono allarmati dalle urla strazianti della donna provenienti dal suo appartamento. C’è un uomo che la sta torturando al grido di Allah-u-akbar alternato a sure del Corano recitate ad alta voce, a memoria. La polizia esita. Non interviene. Passano i minuti, finché il corpo di Sarah, ancora in vita, vola dalla finestra del condominio, si schianta a terra. Sarah muore.

L’assassino, al momento delle precedenti condanne, non aveva mai presentato anomalie psicologiche, tuttavia, in periodo elettorale, un processo di psichiatrizzazione è stato immediatamente avviato. L’islamista si trova ancora in una confortevole struttura di cura, e non in prigione.

 

Ma la cosa che lascia basiti, esterrefatti, increduli, sono le tre settimane di silenzio dei media, le tre settimane di indifferenza delle istituzioni. Dopo essere stata brutalizzata in nome dell’ideologia islamica, Sarah è stata nuovamente uccisa dall’ideologia della sinistra francese, impegnata a conquistarsi il favore delle banlieues e a non sporcare il bell’affresco del vivere insieme. Sarah è stata condannata per tre settimane di Damnatio Memoriae perché colpevole di essere ebrea, colpevole di esser stata ammazzata da un musulmano che la odiava perché ebrea.

Ancora oggi, solo il quotidiano LeFigaro ha avuto il coraggio di parlare del caso, dando voce all’avvocato della famiglia Halimi, il grande intellettuale conservatore Gilles William Goldnadel, presidente dell’associazione France-Israel.

 

Ogni anno oltre cinquemila ebrei francesi sono costretti ad abbandonare le periferie delle metropoli. Chi non può permettersi di traslocare in luoghi più sicuri della République si trasferisce in Israele. Ancora una volta gli ebrei non sono al sicuro in terra europea. Un nuovo totalitarismo, quello islamico, li minaccia. Nel silenzio più fitto e nel vergognoso collaborazionismo delle sinistre occidentali.

 

Non si può parlare, non si può criticare. L’Islam di Francia è ormai forte di uno status che mai, mai, nella storia del paese era spettato ad una religione. Porre domande, denunciare ciò che avviene nei territori perduti della Repubblica, significa essere ineluttabilmente accusati di islamofobia, razzismo, e ritrovarsi di fronte a un tribunale. È quello che è successo a tutti coloro che hanno osato porre pubblicamente la questione dell’antisemitismo islamico: George Bensoussan, Eric Zemmour, e tanti altri.

Manuel Valls, ex Primo Ministro, è stato praticamente fatto scomparire dal panorama politico dalla sinistra francese per aver solamente provato ad accennare pubblicamente a tali questioni. I Mentana, i Gramellini e i Saviano locali gli hanno scatenato contro l’artiglieria pesante del totalitarismo politiquement correct.

 

Scommettiamo che la magia stavolta non basterà a farlo ricomparire

 

 

 

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