Al cinema con Michele

«The Lady», la vita segregata di Aung San Suu Kyi

Il film di Luc Besson racconta la storia di questa eroina birmana definita orchidea d'acciao

di Michele  Cucuzza

«The Lady», la vita segregata di Aung San Suu Kyi

The Lady, la vita di Aung San Suu Kyi

Che soddisfazione scrivere di The lady, il toccante e  necessario film sulle sofferenze e la lotta non violenta del Premio Nobel per la pace  Aung San Suu Kyi per la sua Birmania, dopo averla  vista (quella vera)  in televisione, finalmente libera dopo 15 anni di arresti domiciliari,  con la sua camiciola arancione, i capelli ingrigiti raccolti sopra le spalle, minuta e  magrissima come nel film, quasi identica, appena eletta a 67 anni  al Parlamento nazionale nelle suppletive del 1° aprile, tra la sua gente in festa, subito pronta a rassicurarci e entusiasmarci ancora : «è la fine di un lungo incubo e l’inizio di un nuovo viaggio», ha detto, riferendosi al cammino sconosciuto che l’attende fino al  2015, quando si terranno le prossime elezioni nazionali che la vedranno arrivare  – è l’augurio del mondo -  alla Presidenza del suo paese, il posto che aveva di fatto già ottenuto nel 1990, vincendo l’ultima competizione nazionale per il parlamento birmano, annullata con un pretesto dai militari, umiliati dalla sconfitta nel voto, e da poco costretti dalle pressioni internazionali a cedere il potere in favore di un regime civile obbligato ad aperture democratiche.

Il film di Luc Besson (un francese che ci sa fare: Nikita, Léon, Giovanna d’Arco, Adèle e la saga di Arthur) racconta con maestria il lungo incubo di cui parla  San Suu Kyi, eroina straordinaria ma semisconosciuta proprio come voleva il regime che l’ha tenuta per una vita prigioniera, grande personalità e determinatezza, seguace di Gandhi, incapace di risentimento e di spirito di vendetta come Mandela, un’orchidea d’acciaio, come la definisce il marito, interpretata dalla malese, intensa e misurata,  Michelle Yeoh (Memorie di una geisha): l’assassinio del padre politicamente impegnato per l’indipendenza e la democrazia da parte di una fazione militare, la parentesi serena – anni dopo -  a Oxford, dove sposa lo storico inglese Micheal Aris, dandogli due figli, il ritorno in Birmania per la grave malattia della madre, la decisione di non rientrare in Europa e di non lasciare più il proprio paese  di fronte alle violenze gratuite e feroci dei militari al potere e  la pressione del popolo che la vorrebbe già al governo, memore del sacrificio del padre, e che  la spinge a costituire la “Lega nazionale per la democrazia” e a impegnarsi in maniera definitiva per la liberazione dalla tirannia.

The lady non è soltanto un prezioso film politico: non rievoca in maniera didascalica le pressioni internazionali per la democrazia e a favore di San Suu Kyi (il Nobel nel 1991, le iniziative dell’Europa e degli Stati Uniti, compreso il più alto riconoscimento del congresso di Washington, la ‘Medaglia d’onore’) che solo  molto lentamente sono riuscite a smuovere le acque in un paese sotto l’”ala protettrice” della Cina. È anche la storia privata  di una donna innamorata del marito (l’inglese David Tewlis) e dei suoi figli, costretta  dalla missione che la vita le assegna, a vederli – da un certo punto in poi -  per periodi sempre più rari, quando ottengono il visto per Rangoon, fino al più crudele dei ricatti dei militari:  parti pure per l’Inghilterra, ma non tornerai più in Birmania.

Fino allo strazio finale: il marito che muore di cancro nel ‘99 e la moglie, obbligata dai soldati a non muoversi,  che – a migliaia di chilometri -  non può che averne notizia per telefono, l’indomani.

Una prova terribile, l’ennesima di una vita da sequestrata, di  una leader che ha sofferto in modo impietoso e che solo da poco il mondo ha scoperto:  liberata nel novembre 2010, quando Michelle Yeoh l’ha incontrata, ha detto di aver sentito la sua forza, malgrado il fisico così esile. Quella forza mai esibita  che pure  non l’ha fatta dimenticare dal suo popolo e che, da questo aprile in poi, la porterà, nel giro di pochi anni , finalmente apprezzata e sostenuta fuori dal suo paese,  alla guida della sua Birmania. ‘Difendete la vostra libertà’, chiede nei titoli finali the lady, ‘ci aiuterete a conquistare la nostra’.

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