La leggenda del cappero

Storia di amore e morte fra il delfino Ippo e la piantina Caparina

Fu una tragedia il a niente valsero gli sforzi di tutti pesci del mare

di Franco Matteucci

Storia di amore e morte fra il delfino Ippo e la piantina Caparina

«Sbucò dai flutti come una cometa, luccicante d'arfgento sembrava un'astronave»

La leggenda del cappero

 

C’era un’isola dove il mare brillava come uno schermo al plasma e trasmetteva le immagini dai fondali. Pesci giganti, aragoste fosforescenti, meduse arcobaleno, sogliole verdi, piovre martello, squali trapano, cozze liquirizia.

Di notte l’acqua si colorava di blu di prussia. Dall’alto l’isola sembrava affogata nello sciroppo di mirtillo. Neanche un uccello viveva su quella torta delle meraviglie. Nessuna mucca, pecora, asino.

Il solo abitante era Ascanio, un uomo con il naso gobbo, le gambe pelose e sporche, le mani ruvide su cui grattava il formaggio prodotto dall’unico animale che viveva con lui, una capra piccola e bisbetica, di nome Bertola.

Lei gli produceva un po’ di latte, ma Ascanio campava soprattutto di pesca, tutti i giorni scrutava i fondali e poi con una fiocina centrava fin negli abissi qualche pesce pieno di colori, lo portava a sé e sul fuoco lo arrostiva.

I giorni passavano dipinti d’azzurro mentre Ascanio e Bertola cercavano di distruggere tutto quello che poteva rendere ospitale l’isola. Lui si appostava accanto al grande carrubo e cacciava tutti quegli uccelli e pappagalli che si fermavano durante le lunghe migrazioni.

Anche se imploravano aiuto, anche se gli giuravano che solo una notte sarebbero rimasti sull’isola, Ascanio li uccideva con la fionda.

La capra Bertola che era una straordinaria scalatrice, divorava tutto ciò che  prendeva vita tra le rocce, un fiore giallo, un ibisco rosso, una pianta di rosmarino, un cactus, subito li estirpava fin dalle radici.

Solo un luogo non era riuscita mai a raggiungere, il costone che si infilava a strapiombo nel mare. Sembrava una lama di coltello. E proprio lì era nata una piccola pianta, forse un seme portato dal vento o dal mare. La capra aveva provato a scalare la parete ma era scivolata in mare.

Ascanio si era tuffato nell’acqua, lui che odiava bagnarsi e la salvò. Buffi abbracciati l’uno all’altro. Un uomo e una capra in mezzo al mare.

I due non si persero d’animo. Ascanio trascorse il tempo a tirar colpi con la fionda ma la piantina era troppo distante, né poteva raggiungerla da sopra perché la rupe era così aguzza che rischiava di farsi infilare come un pollo.

Avrebbe dato cento pesci colorati pur di eliminare quel cespuglio che si allungava rigoglioso. Una pustola che tormentava i sonni di Ascanio e della capra Bertola.

La pianta ostentava sicurezza e coraggio, talvolta prendeva la forma di una ghirlanda festosa, le foglioline saltellavano nel vento, tintinnavano piccoli canti felici.

Fu in una di quelle notti quando la luce bianca della luna si rifletteva sulla roccia slavando i colori, che un delfino di nome Ippo sbucò dall’acqua e si fissò ad osservare quel cespuglio. Trasmetteva uno strano fascino, come se brillasse di luce propria. Fu un’attrazione fatale. La pianta di nome Caparina, si accorse di essere ammirata dal delfino dagli occhi viola, ebbe un sussulto e lentamente i rametti s’intrecciarono a formare come per magia un diadema.

Può un delfino invaghirsi di una pianta, e esserne corrisposto? Evidentemente sì. Fu un amore impossibile tra Caparina, pianta orgogliosa, piegata dal vento, verde e solitaria, attaccata al cielo, e Ippo, delfino romantico, dagli occhi dolci, costretto a vivere affogato nell’acqua.

Lui avrebbe voluto volare come un gabbiano, conoscere da vicino quello strano essere, delicato, vestito di verde, lei precipitare nel mare e galleggiare accanto a quel pesce possente e gioioso.

Alonsa, la fidanzata delfina, bella ed attraente lo aggredì con  una scenata di gelosia.

“Ippo, sei proprio bizzarro, stai ore e ore a guardare quel cespuglio spelacchiato che non è bello, fosse almeno di alloro o di bosso, o un ciuffo di alghe fosforescenti, capirei, ma anche nel caso, ti fermeresti un attimo a osservarlo, poi continueresti a giocare con me negli abissi del mare.”

Alonsa decise di usare tutte le sue arti, quelle che facevano impazzire da sempre Ippo, mosse le ciglia, allungò la bocca rossa di corallo, si incurvò con il suo corpo d’argento. Ma il delfino aveva gli occhi spalancati, sognanti d’amore, tutti per quell’arbusto verde sulla roccia bianca.

“Stai anche dimagrendo, metti a rischio la tua vita, c’è in agguato quel pescatore cattivo con la sua capretta, devi stare attento.”

Il delfino non ascoltava.

“Che Dio ti assista per questa stupida e innaturale passione.”

Alonsa con un colpo di coda sparì nei fondali a cercarsi un fidanzato normale.

Ippo rimase fuori dall’acqua ad ammirare quell’arbusto che lo ipnotizzava. Caparina prendeva le sembianze di un sole, o di un piroscafo, o di un gabbiano. Comunicava così. Un giorno diventò una bocca sensuale. Fece cadere dai suoi rami una fogliolina verde, la più bella e lucente. Lenta come un paracadute danzò nei mulinelli del vento.

Il delfino seguiva con apprensione, non voleva che l’omaggio segreto, quel filo partito dal cuore di Caparina, finisse incastrato su una roccia o si spezzasse su qualche punta tagliente. Nei suoi occhi viola si rifletteva il movimento, il  percorso era inciso come su un navigatore satellitare. La fogliolina venne presa dalle correnti, una forza ascensionale la spostò tra le nuvole poi cadde verso gli scogli, Ippo soffiò con tutti i polmoni per deviarla verso il mare, ma la foglia volteggiò verso Bertola. Con un colpo di zoccoli la capra afferrò la fogliolina a mezz’aria. La divorò con grande piacere e belò di soddisfazione.

Caparina e Ippo si guardarono disperati, lei afflosciò per qualche giorno i suoi rami, lui girò nervoso nel mare, ininterrottamente, voleva dimostrare, con qualcosa d’eccezionale, il suo amore. Aspettò che il mare andasse in tempesta, poi quando le onde furono gigantesche decise di tentare. Si tuffò nelle profondità, sfiorò con il muso il vulcano marino, raccolse l’energia di Poseidon, accumulò il vortice dello tsunami, poi si lanciò forsennato verso il cielo.

Sbucò dai flutti come una cometa, luccicante d’argento sembrava un’astronave, raggiunse Caparina, che tremava mossa dal vento e dall’emozione. La sfiorò con un bacio delicato. Fu come si fermasse il mondo, l’uno contro l’altro, occhio viola e cuor di clorofilla. Si comunicarono i file d’amore, di amicizia, di eterna e reciproca fedeltà, fu un matrimonio celebrato nel cielo. Ippo ricadde felice nel suo mare e Caparina sagomò con i rami un cuore che per giorni rimase sulla roccia.

Tutto quel trambusto non era sfuggito ad Ascanio e Bertola, che seguivano con molta attenzione gli avvenimenti. Il pescatore non vedeva l’ora di mettere sul fuoco quel bell’esemplare di delfino e la capra di ruminare il cespuglio.

Su quel bacio si diffuse nell’isola un profumo di sonno e di salsedine, e dopo alcuni giorni sulla pianta che non aveva mai prodotto qualcosa, sbocciò un bellissimo fiore, dai colori tenui, bianco come il pudore di lei, viola come gli occhi del delfino. Aveva l’eleganza dell’orchidea, ma anche la lievità dell’alga fosforescente, come se traesse dalle profondità del mare la sua trasparenza. Il clamore di un incrocio impossibile. Era uno spettacolo così straordinario che molti uccelli e pesci tornarono a far rotta sull’isola, un brulicare che aprì il cuore ad Ascanio. Ogni giorno cacciava e pescava qualche bell’esemplare, ma il suo vero bersaglio era Ippo, e dopo tanta attesa prese la decisione. 

“Ora o mai più.”

Non si doveva concedere troppo alla fortuna, magari Ippo si sarebbe svegliato dalla fascinazione che lo legava a quella stupida pianta e sarebbe fuggito lontano. Appostato dietro uno scoglio Ascanio lanciò la fiocina che aveva affilato da giorni. Facile come centrare una zucca in un prato, trapassò senza alcuna pietà il delfino.

Da non crederci. Il cielo si annuvolò. Il mare trasmise come in un gigantesco schermo tv l’atroce sofferenza di Ippo. Caparina dall’alto del suo scoglio fu costretta a seguire lo spettacolo più terribile della sua esistenza. Un dolore indecente, né poteva rivolgere lo sguardo altrove. In diretta, sotto di lei, si svolgeva l’agonia di Ippo.

Nonostante che le aragoste fosforescenti con le loro tenaglie tentassero di tirar via l’arpione conficcato nel corpo di Ippo, le meduse arcobaleno e le cozze liquirizia di gettar liquido venefico in faccia al crudele pescatore, gli squali trapano di tagliare la fune della fiocina, nonostante l’impegno di tutti, anche di Alonsa e il suo nuovo fidanzato, Ascanio e Bertola riuscirono a tirar fuori dall’acqua il delfino morente.

Fu una tragedia immane. Caparina pianse per giorni e giorni. Il suo dolore sembrava insanabile. Pensò di farsi seccare dal vento e dal sole, il suo fiore splendido si disperse nel primo colpo d’aria. Le foglie diventarono brune, in segno di lutto.

La capra Bertola sostava sotto la rupe nella speranza che la pianta si staccasse dalla roccia e cadesse nella sua bocca vorace. Ma la natura lenisce e rassicura anche i più gravi dispiaceri e dopo un mese, per magia, fantasia, per dedizione suprema al suo Ippo, sbucarono tra i rami alcune piccole bacche verdi, dai riflessi d’argento come quelli di un delfino.

Il cappero! Nato da una tragedia d’amore. Cuor di mare e di cielo, scrigno di un sol bacio, aspro per le lacrime di Caparina.

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