Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Leopoldo II di Toscana
Se la Toscana avesse ancora un po’ di quel suo vecchio DNA che l’ha resa celebre in tutto il mondo, dovrebbe chiedere agli scalda sedie (profumatamente pagati come tutti i politici nostrani) di Palazzo Panciatichi (sede della Regione) due cose. Prima di tutto: come risposta all’orgia di retorica per le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità nazionale, chiedere che il 27 aprile, data fatidica di quella che è stata definita La rivoluzione toscana del 1859, sia dichiarata in tutte le terre dell’ex granducato giornata di lutto. Se infatti quella è stata una rivoluzione allora riscriviamo tutta la storia dalla A alla Z. Ma non è tanto questo il punto: non si capisce bene infatti cosa ci sia da esser lieti, o peggio da festeggiare, nella scomparsa di uno stato che vantava quasi di tre secolo di storia e civiltà davvero fuori dal comune e che ben si poteva definire uno dei migliori d’Europa (e questo è un discorso che si potrebbe estendere ad altri stati preunitari , compreso il tanto deprecato regno borbonico) .
Non vuol essere questo un proclama secessionista né un impossibile (almeno nelle attuali condizioni storico-politiche) progetto di restaurazione di una dinastia, quella degli Asburgo Lorena, che ha comunque sempre saputo tenere un profilo davvero regale, sia durante il regno che dopo nell’esilio: ben altra cosa, sicuramente, da coloro che grazie a un’opera di colonizzazione militare, intrighi diplomatici e balletti di logge di vario genere si assicurarono (per neppure un secolo) il titolo e la corona di re d’Italia. Molto più semplicemente, una presa d’atto e un gesto di coraggio e di giustizia; presa d’atto del fatto che l’unità italiana ben pochi benefici ha portato alla Toscana e a Firenze e riconoscimento della dignità di uno stato che veramente, nei secoli, dimostrò quasi sempre di avere il senso del bonum commune e della dignità e del benessere dei propri sudditi.
Rivoluzione Toscana? Quella che si preparò nell’Aprile del 1859 fu un’abile messinscena orchestrata da Torino dal solito Cavour, tramite il proprio ministro a Firenze Carlo Boncompagni, che da un lato rassicurava il legittimo governo granducale mentre dall’altro faceva di tutto per suscitare un moto di piazza (anche, pare, importando “dimostranti” dal Piemonte) che scattò puntuale il 27 aprile 1859, il giorno dopo dichiarazione di guerra dell’Austria al Piemonte. Boncompagni giunse al punto di spudoratezza di ospitare presso la legazione sarda i capi della “rivolta”, giusto per essere sicuro che le trattative tra la piazza e il legittimo governo fallissero. Alle 18 di quella giornata davvero “gloriosa”, Leopoldo II lasciava Firenze senza che contro i dimostranti fosse sparato un solo colpo o senza il minimo accenno di reazione. Si tentò di accreditare la calunnia che l’arciduca Carlo, figlio minore del granduca, avesse voluto far bombardare Firenze dal forte Belvedere, ma almeno questo senza successo.
Il risultato di un secolo e mezzo di storia i Toscani possono vederlo benissimo con i loro occhi e un ormai legittimo e comprensibile sentimento nazionale italiano non dovrebbe togliere quella capacità critica e quella vis polemica che un tempo fu il loro biglietto da visita. Un omaggio al passato non significa tornare indietro ma anzi affrontare il presente e il futuro con una consapevolezza maggiore. E a questo proposito; chi era veramente Leopoldo II, ultimo granduca regnante di Toscana?
“…Dico addio alla Toscana, affetto del mio cuore, oggetto di ogni mia cura, pregando in cielo per Lei. Ringrazio tutti quelli che nel tempo che la governai mi mostrarono amore come a padre, e quelli che in governare mi prestarono aiuto. Vi raccomando la Toscana, la fortuna sua sia la vostra gloria; l’amore per Lei premio alle vostre cure . La Maremma, la prima inferma, bisognosa di assistenza, bella e ricca di speranze. Se tu, figlio, torni in quelle contrade, poni in su per la via detta di Badiola presso Grosseto, una pietra e una croce sola, e siavi scritto: Pregate per Leopoldo II Granduca di Toscana.”
Così nel suo testamento, ormai esule e lontano, Leopoldo II, ultimo sovrano di quel granducato di Toscana che era stato il capolavoro politico di casa Medici, raccomandava al figlio e erede Ferdinando quella terra che, dimenticando le origini austriache, aveva già come i predecessori fatto sua. Un atteggiamento, del resto, che egli mise bene in chiaro sin dal momento della sua ascesa del trono nel 1824: l’Austria avrebbe voluto esercita un’influenza più profonda sulla Toscana, quel delicato momento di passaggio offriva buone opportunità. Ma quando l’ambasciatore imperiale chiese di poter conferire con “l’arciduca” Leopoldo (come membro della famiglia Asburgo, era infatti arciduca d’Austria), la replica fu che lì c’era soltanto il granduca di Toscana. E alcuni anni dopo, al rimprovero dell’ambasciatore austriaco che la censura non faceva in quello stato il proprio dovere, Leopoldo replicò stizzito: "ma il suo dovere è quello di non farlo!".
A 150 anni da quel 27 aprile 1859 che vide la sua partenza definitiva da Firenze, tra il rispetto della gente che si levava il cappello al passaggio della sua carrozza, la storia può e deve – come in parte già ha fatto – dire l’ultima e definitiva parola, senza l’assurdo timore che questo significhi un attentato o un delitto di leso maestà verso l’unità italiana.
Nato nel 1797, Leopoldo II giunse al trono dopo due sovrani della sua casata (Pietro Leopoldo e Ferdinando III) che, sia pure in modo diverso, avevano lasciato un segno profondo nella Toscana, dimostrandosi degni eredi della grande dinastia medicea. Era un uomo mite e di grande bontà d’animo: fra i numerosi soprannomi con cui i Toscani lo chiamavano (il più noto era “Canapone”) ci fu anche quello di “babbo”. Era nota la sua abitudine di mescolarsi spesso, durante qualche passeggiata, tra le gente comune. Studioso di notevole cultura, iniziò sin da giovane a raccogliere e ordinare gli scritti di Galileo e di Lorenzo il Magnifico, esplorando gli archivi personalmente. . Non ebbe una grande preparazione politica e gli mancò, forse, la tempra del vero statista; ma, almeno sinché gli eventi non precipitarono, supplì magnificamente con la generosità e il buon senso, scegliendo tra l’altro ottimi collaboratori come Vittorio Fossombroni e rivelandosi eccellente amministratore: sotto il suo regno, il livello e la qualità della vita furono secondo i parametri dell’epoca, tra i più alti in Europa. Non per niente, i moti insurrezionali sino al ’48 non approdarono in Toscana. Ferrovie, illuminazione pubblica, congressi scientifici furono da lui promossi e seguiti con grande attenzione tutta “asburgica”, come rivela la lettura dei suoi documenti e delle sue lettere. La sua preoccupazione principale fu tuttavia la Maremma, (“ Io sapevo la Maremma esser malata; quindi in me il desiderio di soccorrere prima si potesse alla provincia inferma e bisognosa di cura; in una famiglia, l'infermità di una figlia richiede la cura del padre ed imbarazza ogni affare alla famiglia “ - scrisse) cosa di cui i grossetani gli sono tutt’oggi profondamente e giustamente grati, come testimonia il monumento in suo onore.
Non sapendo a che altro attaccarsi, gli vengono rinfacciati il ‘48 e l’ultimo decennio di governo; come se non fosse profondamente ingiusto condannare superficialmente l’opera di un sovrano che giunse ad andare contro la sua stessa famiglia e contro la Maestà dell’Impero in nome della “toscanità”, ma che certo non si sentì di farlo soltanto per assecondare le mire espansionistiche del Piemonte. Anche sul ’48 molte cose dovrebbero essere rivedute e corrette, soprattutto sulla cosiddetta “ prima guerra d’indipendenza”. In quel fatidico aprile del 1859 poi, Leopoldo si ritirò dignitosamente (anche troppo, secondo qualcuno) ) spiazzando pare con la sua decisione di partire gli stessi Cavour e Ricasoli. Se si fosse ritirato nel sud della Toscana, in quella Maremma che lo adorava, le cose avrebbero potuto essere un po’ più difficili per gli annessionisti. Ma Leopoldo si sentiva troppo legato alla Toscana e non volle correre il rischio di spargere sangue . E a questo proposito, la seconda richiesta ai signori consiglieri regionali (e non solo a loro): sarebbe ora che le sue spoglie, come sicuramente avrebbe desiderato, tornassero a Firenze nella “cripta dei Lorena”. Sarebbe per Firenze e la Toscana un riappropriarsi di 35 importanti anni della propria storia. E un atto dovuto al grande “Canapone”.
Inserito da domenico del nero il 27/04/2012 22:40:42
Grazie a te dell'attenzione, anche al pezzo su Praga. L'importante è non avere pregiudizi e essere capaci diguardare anche ai quali lati della storia che possono essere meno "gradevoli". Un cordiale saluto
Inserito da Loredana il 27/04/2012 17:26:11
Il titolo dell'articolo mi aveva lasciato un po' perplessa. Però mi ha anche intrigato e convinto a leggerlo, scoprendo un lato nuovo del processo di unificazione d'Italia, che conoscevo poco. Anche perché vivo nella regione del Tessitore e conosco "la sua versione", se vogliamo dire così. Grazie!
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