Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Der Rosenkavalier
Una bacchetta davvero imperiale. Zubin Mehta supera se stesso e regala a Firenze una delle interpretazioni più belle della sua lunga permanenza, paragonabile forse a quella ormai lontana del Tristano e Isotta di Wagner di tanti anni fa. E persino un pubblico per tanti versi ormai di palato grosso come quello del comunale l’ha compreso e si stretto (con le eccezioni dei soliti cafoni che si alzano addirittura a metà spettacolo o appena il maestro ha posato la bacchetta) attorno al suo direttore – e a un cast di interpreti di primissimo livello – con un affetto e un entusiasmo veramente degni dei grandi eventi.
Basterebbe infatti questa magnifica edizione del Rosenkavalier di Richard Strauss per ribadire il fatto che il Maggio Musicale Fiorentino deve vivere perché, quando è all’altezza della sua tradizione, è degno delle più grandi platee e golfi mistici di tutto il mondo. Certo questo poi non autorizza i tanti sprechi e le tante assurdità all’italiana, ma questo è un altro discorso.
Nostalgia, fascino, erotismo, gioia di vivere un po’ Biedermeier, mito della Felix Austria e dell’estate di San Martino dell’impero asburgico: tutto questo esprime il Cavaliere della Rosa, sicuramente massimo capolavoro del compositore bavarese, in un connubio per certi versi insuperabile tra modernità e tradizione, avanguardie e ricupero – non però “archeologico” – di forme musicali del passato. Tutto questo è riuscito a esprimere Strauss in una partitura scintillante e complessa, dove l’uso sofisticato del lietmotive si accompagna a reminiscenze settecentesche e all’uso di temi di valzer che le danno un sigillo davvero unico di atemporalità. Strauss, con questa partitura che ha dato voce e forza musicale a una storia divertente e malinconica creata da Hugo von Hoffmanstal è riuscito a consegnare alle note l’eterno mito dell’impero, con una nostalgia che allora era un presagio e oggi una triste realtà di un mondo perduto che era espressione di una civiltà altissima; si può anzi dire che il Rosenkavalier sia il suo monumento in musica. E sin dalle prime battute di quel preludio che descrive con viva sensualità una notte d’amore, si è subito compreso che Mehta si era impadronito in pieno della magie di Strauss; gli impasti timbrici, i passaggi sinuosi e incantevoli, la leggerezza straordinaria della strumentazione, il perfetto coordinamento tra golfo mistico e palcoscenico, come se quest’opera Mehta la possedesse da sempre: invece era la sua prima volta, a cui peraltro si preparava da tempo con grande studio e passione. “In Strauss la difficoltà e la peculiarità stanno anzitutto nel fatto che occorre liberarsi dalla rigidità del ritmo e assecondare l'espressione lineare, orizzontale della sua musica. Per questo è necessario seguire con la massima cura la parte del canto; cosa che dipende non da ultimo dalla qualità dei cantanti, giacché non tutti i cantanti possiedono l'intelligenza per realizzare tutto ciò che Strauss ha messo nella loro parte” Parola di Wolfgang Sawallisch, grande bacchetta anche se forse non sempre apprezzata nella giusta misura: ed è esattamente quel che è avvenuto nell’edizione fiorentina. Nessuna rigidità o pesantezza: quattro ore di spettacolo sono sembrare brillare e sparire nel giro di pochi minuti.
Merito di Mehta anzitutto; ma c’è da dire che tutti hanno egregiamente collaborato al risultato. Dalla regia leggera e incantevole di Eike Gramss con le scene di Hans Schavernoch, che evocavano una Vienna tra il ‘700 e il Novecento. Gramss è stato abilissimo nel far muovere sulla scena il gran numero di personaggi previsti dal libretto, con una caratterizzazione psicologica ben riuscita di quelli principali. E infine un cast canoro di tutto rispetto: dalla Marescialla seducente (anche sul piano vocale!) e saggia di Angela Denoke, al frivolo e ingenuo Octavian (che è parte femminile) di Caitlin Hulcup, al gradasso e divertente barone Ochs di Kristinn Sigmundsson; bravissima anche la Sophie di Sylvia Schwartz, fanciulla apparentemente ingenua ma in realtà ben decisa e consapevole dei propri obiettivi. Voci, strumenti e palcoscenico in perfetta sintonia hanno dato vita a uno spettacolo che merita davvero di restare negli annali del teatro.