Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
he passi per le primarie - necessarie come non mai per legittimare il futuro vertice - o per la differenziazione in più liste dell’offerta politica di ciò che fu il Pdl; nel centro-destra, è evidente, c’è bisogno di un repentino cambiamento: nulla può essere come prima. Anzi, nulla deve essere come prima, se il centro destra vuole ancora avere una rappresentanza e un ruolo nel Paese. La rappresentanza e un ruolo che le spettano.
Da più parti si cercano le ragioni dell’ultima debacle elettorale un po’ come alibi, come giustificazioni interne più che altro, o come rivendicazioni per una guerra intestina oramai giunta alla resa dei conti. “Abbiamo pagato l’appoggio a Monti” è il ritornello più ascoltato, come se per davvero la sconfitta del Pdl avesse le sue radici negli ultimi mesi e non fosse, invece, quel lento inesorabile suicidio perseguito, quasi celebrato, in tre anni e mezzo in molti settori di governo.
Un fatto è certo: l’elettorato di centro destra ora è stato fermo un turno. Attonito e sgomento in queste ultime amministrative, di fatto, non si è espresso. Ma giacché la vita, anche quella politica, ha delle inquietanti analogie con il gioco dell’oca, non possiamo aspettare che i dadi-destino ci facciano tornare alla casella di partenza, al grado zero! Qualcuno si prenda sulle spalle il partito. Qualcuno abbia il coraggio di cambiare, di rompere, di ripartire. Nel Pdl non c’è un Matteo Renzi che si espone per un ricambio generazionale o per chiedere le primarie, il buon Angiolino Alfano che giovane sarebbe, politicamente, purtroppo, è nato vecchio. Alla sua designazione io c’ero: fu una mattinata emozionante, ma fu un rito berlusconiano, un’acclamazione di popolo sincera, ma già in odore di disperazione. E non scordiamoci che Alfano è stato nominato segretario di un partito di fatto in mano (ancora lo è?) di un triunvirato ingombrante, risultato di una fusione a freddo che ha perduto pezzi e lasciato eredità pesanti come massi.
Ora si fa un gran parlare di un nuovo gruppo dirigente più giovane e più adeguato che potrebbe guidare il partito verso un cambiamento: Frattini, Gelmini, Meloni, tra i nomi che si fanno. Tutte persone davvero per bene e capaci, ma temo che arrivino troppo tardi. Se, fuori La Russa, Bondi e Verdini, si fosse operato questo cambio non solo generazionale (il giovanilismo in sé è una buffonata), ma di qualità e di idee un anno fa, forse non staremmo qui a leccarci le ferite. Forse il centro destra avrebbe continuato a governare il Paese. Anche perché già da diversi mesi prima del fatidico passo in dietro di Berlusconi, di soluzioni alternative ce ne erano state tante per tenere in vita il Governo: l’Udc di Casini (forse non solo), a certe condizioni, avrebbe dato il suo appoggio esterno. Nessuno rinunciò a niente per poi rinunciare a tutto. Ma è acqua passata. Tutto è passato, e nulla sarà come prima. Oggi chiunque giunga alla guida del Pdl (o di quel che sarà) dovrà passare attraverso il consenso della base. Non ci sono più leader senza le primarie. Questa, mi pare, la prima regola che vuole l’elettorato e nel contempo, il primo segnale di radicale cambiamento del partito che il centro destra, gioco forza, deve dare al suo elettorato.
Chiunque verrà a condurre il Pdl (o quel che sarà, insisto) verso le elezioni politiche, dovrà essere il paladino pubblico di una riforma elettorale immediata. Con il ‘porcellum’ ancora in vita, ho la netta sensazione che l’elettorato rimarrà, nella migliore delle ipotesi, ancora a casa. Il Paese sarà consegnato alle sinistre e ancora una volta sarà un organismo ingovernabile, retto da una maggioranza bislacca (in difficoltà perenne al Senato) e minato da un’opposizione, quella dei ‘grillini’, iper-aggressiva. Ma poi, vi immaginate il Pdl e la Lega a fare opposizione assieme al Movimento 5 stelle?
Altra ipotesi di cui si sente parlare è la nascita (o scissione) di due nuovi movimenti politici all’interno del centro-destra e dalle ceneri del Pdl. Per semplificare: da una parte i cosiddetti ‘falchi’, dall’altra le ‘colombe’. Si amplierebbe certamente la scelta dell’elettorato, mutuando il modello della sinistra. In fondo Bersani e Di Pietro, rispetto alle politiche di Monti, per esempio, sono su fronti diametralmente opposti, ma alle elezioni concorreranno assieme. Eccome se staranno assieme! Tale soluzione rimetterebbe in gioco nuove alleanze e farebbe probabilmente nascere altre liste che potrebbero portare ad una confederazione di forze di centro destra, alcune delle quali inedite. E’ un’ipotesi plausibile e, per certi versi suggestiva. Permetterebbe, probabilmente, a Berlusconi di avere ancora un suo spazio, all’Udc di Casini di convivere (e sopravvivere) con alleanze che al momento rifiuta; metterebbe nelle condizioni pezzi della società di organizzarsi e di trovare ampiezze e temi oramai impraticabili, incomprensibilmente da anni in esclusiva della sinistra o della cosiddetta anti-politica.
Tale strategia complessivamente porterebbe, inoltre, ad una sana riflessione sulle identità del centro destra oramai smarrite in meccanismi di convivenza coatta, anche se per decenni vincenti. Ma non è esente da rischi, finito il collante più forte, ovvero Berlusconi, infatti, la polverizzazione del centro destra potrebbe somigliare alla sgangherata macchina da guerra della sinistra: riformista e massimalista, cattolica e laicista, forcaiola e garantista. Ecco, quindi, dove si fa ardua l’impresa: come dividersi per unirsi meglio e più di prima. Il pluralismo ha più bisogno di idee del pensiero unico, ma al meno ha il merito non sembrare di plastica. Qualcuno, in primis Frattini, insiste sul perimetro dato in Europa dal Partito Popolare: questo riferimento ha, in effetti, una logica tanto politica che valoriale. Ha il pregio, inoltre, di mettere in difficoltà al meno concettualmente, la componente più moderata e cattolica del Pd che, su alcuni temi fondamentali (embrione, fine vita, famiglia ecc.) dovrebbe avere il buon gusto di guardare altrove.
C’è, infine, un’altra incognita: che ci si fa dei tecnici che ci stanno governando? Alcuni, tanto da centro-destra che da sinistra, li vorrebbero in parte imbarcare su rotte future. Non so. Tolto Monti - criticabile quanto si vuole, ma con un suo piglio e una sua (tutta sua) autorevolezza - a me personalmente, giorno dopo giorno, fanno rimpiangere i politici (in buona parte), ma certamente, conoscendo da vicino coloro che hanno abitato i Palazzi, di una cosa sono certo: non si faranno da parte tanto sobriamente come sono arrivati.
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