Editoriale

È arrivato il momento di dar vita ad un movimento per una nuova politica fra modernità e tradizione

Risposta all'appello di Marcello Veneziani per fissare insieme la rotta per Itaca

Gennaro  Malgieri

di Gennaro  Malgieri

opo la crisi politica del novembre scorso, culminata con la fine del governo Berlusconi, immaginavo (ingenuamente) che nel Pdl si prendesse finalmente a discutere, con serietà d’intenti ed animo scevro da idiosincrasie, di progetti, programmi e dell’identità stessa del partito nato da una innegabile “fusione a freddo” i cui effetti sono stati immediatamente manifesti. 

Mi sbagliavo nel ritenere che i vertici del movimento volessero cogliere l’occasione per impostare una campagna di primavera all’insegna di una salutare riflessione sul modello-partito e sulle nuove ragioni della politica a fronte delle squassanti convulsioni, non soltanto economico-finanziarie, che ci tengono in apprensione. Devo constare, con rammarico, che niente ridesta dal torpore il partito di Berlusconi finito in un girone infernale dopo l’esito delle elezioni amministrative. 

Continuo a credere, tuttavia, che qualcosa può ancora essere rivitalizzato nell’ambito del Pdl: le diverse soggettività che lo compongono potrebbero assumere, prima che sia troppo tardi, quella libertà di elaborazione e d’azione capaci di attrarre fasce diverse di elettorato e sottrarle all’obbligo di scegliere acriticamente (per scarsità di offerta politica) un partito-contenitore nel quale l’amalgama auspicato non è riuscito. 

Ciò vale soprattutto per coloro i quali si sono riconosciuti e continuano a riconoscersi in una destra politicamente resa irrilevante dal continuo compromesso con altre sensibilità politiche che non ha portato alla nascita di un soggetto fornito di una nuova e riconoscibile identità come pure chi scrive sperava, fin dal 2002, conducendo una battaglia insieme con pochi altri amici, affinché nascesse il partito unico del centrodestra coerentemente con il bipolarismo che all’epoca sembrava fuori discussione.

Continuo a pensare, rafforzato nella mia convinzione dagli avvenimenti delle ultime settimane, che al disfacimento del centrodestra potrebbe opporsi proprio quella destra negata che in tale schieramento sopravvive tra risentimenti e scoramenti. Da qui la mia totale adesione all’appello dell’amico Marcello Veneziani che, con la lucidità che lo caratterizza, ha lanciato una prospettiva unificante le varie “anime” della diaspora della destra in vista di una nuova stagione politica. 

Nei mesi scorsi anch’io mi sono impegnato con numerosi interventi su Libero, Il Tempo, Il Borghese, L’Occidentale.it e in tante occasioni pubbliche (perlopiù carbonare) nel sostenere la necessità avanzata da Veneziani e condivisa, a parole, da numerosi esponenti dell’ex-An oggi allocati nel Pdl, in Popolo e Territorio, in Coesione nazionale, in Fare Futuro, nei Cristiano riformisti, in Fli, ne La Destra ed in tanti altri soggetti meno conosciuti, ma non meno importanti. Inutile dire che finora non è sortita alcuna discussione degna di rilievo a testimonianza della grande confusione che regna tra coloro che pur non hanno mai rinnegato le proprie radici di destra (uso questo termine per esemplificare).

Che fare? Credo sia arrivato il momento di dare vita ad un movimento includente, sia chiaro, e non revanscista o, peggio, caricatura di un raggruppamento di “combattenti e reduci”, che tessa nuova tela politica guardando alle contraddizioni della modernità e riprendendo quei valori  tutt’altro che caduchi intorno ai quali ricostruire una trama d’intervento da portare in dote ad un nuovo centrodestra.

Insomma, ciò che rimane della destra, come presenza riconoscibile, dovrebbe agire da lievito per far crescere culturalmente e politicamente un grumo di idee che mai come oggi risultano attualissime. 

Temi come l’identità nazionale, il sovranismo, l’improcrastinabile costruzione di un’Europa dei popoli e delle nazioni da contrapporre a quella senz’anima dei tecnocrati e dei banchieri, il rilancio della centralità geostrategica del Mediterraneo, il recupero della cultura della tradizione quale fonte ispiratrice della modernizzazione sostenibile, la crescita e lo sviluppo “umanizzati” dalla salvaguardia dell’intangibilità dei diritti primari e naturali della persona, la funzione dello Stato come ente regolatore dei conflitti e promotore di una Big Society fondata sulla sussidiarietà costituiscono gli elementi di un patrimonio  che la destra non dovrebbe gettare al vento, ma rivitalizzarlo.

Intorno ad esso, chi nella destra si riconosce, potrebbe ritrovarsi riproponendo innanzitutto la Grande Riforma delle istituzioni (imperniata su un presidenzialismo credibile e non improvvisato), proponendo magari l’istituzione di un’Assemblea costituente, garanzia di intervento popolare, facendola finita con le solite conventicole di “piccoli saggi” destinate al fallimento, dalla quale venga fuori un nuovo sistema fondato sulla democrazia partecipativa e decidente. 

Ricordo che presidenzialismo e parlamentarismo, nel quadro di un bilanciamento di poteri chiaro e coerente con le esigenze che la crisi che stiamo vivendo ha evidenziato in maniera drammatica, potrebbero proficuamente convivere come nel tempo hanno sostenuto inascoltati studiosi e politici lungimiranti da Costamagna a Pacciardi, da Vinciguerra a Operti, da Calamandrei a Valiani, da Almirante a Craxi, da Miglio a Segni.

Perché dimenticare che la destra italiana, la sua cultura essenzialmente, è stata all’avanguardia nell’immaginare l’avvenire del nostro Paese, la sua inevitabile crisi, i possibili rimedi? Perché non dovrebbe rigenerarsi condannandosi all’estinzione? Personalmente non mi rassegno. E attendo risposte. Da chiunque.


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Veneziani: http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=1204&categoria=6&sezione=1

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