Taci Imbecille

Alessandro Baricco, Una certa idea di fondo, Repubblica, 24 giugno 2012

Per molti anni non ho nemmeno preso in esame l' eventualità di leggere Malaparte: era fascista.
Lo dico senza particolare fierezza, ma anche senza alcun complesso di colpa. L' antifascismo è un modo di stare al mondo che val bene il prezzo di certi svarioni. Il privilegio di aver ereditato la capacità di riconoscere i fascismi e l' istinto a combatterli vale largamente qualche scaffale vuoto, e un po' di bellezza o intelligenza persa per strada.
Detto questo, ci si ammorbidisce col tempo, e quando Adelphi ha deciso di sdoganare Malaparte, io ero pronto. In realtà qualcosa era già successo, e cioè che per studiare la Prima Guerra Mondiale, qualche anno prima, mi ero imbattuto nel suo Viva Caporetto, un' incredibile racconto-riflessione sulla mitica disfatta: non c' era niente da fare, traboccava talento e indipendenza di pensiero, e se avevi i tuoi soliti luoghi comuni su quanto era successo laggiù, quel libro te li faceva a pezzi, portandoti via oltre qualsiasi ovvietà di comodo.
C' era anche da annotare che un libro del genere, antimilitarista e contropatriottico, Malaparte l' aveva pubblicato nel 1921 (subito bloccato dalla censura) e lì iniziavi a capire che liquidarlo come "fascista" doveva essere un sistema comodo ma impreciso, almeno quanto definire Messi una seconda punta.
Insomma, era chiaro che la faccenda era più complicata: e tutta la biografia di Malaparte sta lì a ricordarlo. Senza aver troppa voglia di capire, ho finito per trovarmi a leggere La pelle come se fosse un libro e basta, che forse è la situazione più augurabile. Ci ho lottato parecchio, perché è difficile trovare libro più sgradevole, sotto ogni punto di vista, ma adesso eccomi qui ad annotare che in dieci anni ho letto pochi libri più belli (e a scrivere "belli" ho fatto una certa fatica, perché, di nuovo, non è la parola giusta).
Com' è noto, in quelle pagine Malaparte racconta la Napoli liberata dagli americani. 1943. Un inferno. Cioè: un' infernale [sic] palcoscenico di esibizionismo, miseria, degrado morale, paradossi, sceneggiate, polsini candidi, mostrine e gambe spalancate. Malaparte parlava di cose che conosceva: nel 1944, in una delle sue tante giravolte biografiche, faceva l' ufficiale di collegamento tra l' esercito italiano e le Forze d' occupazione. In pratica era l' uomo che aiutava gli americani a capirci qualcosa.
La pelle è in teoria il resoconto di quei giorni, del suo andare in giro per l' inferno facendo da guida allo stupore infantile degli yankee. In pratica le cose stanno un po' diversamente perché La pelle è innanzitutto un romanzo, e quindi non registra il reale, ma lo traduce nello sguardo di un uomo particolare, che potrebbe anche essere pazzo, o s o l o m o l t o fantasioso, o semplicemente cieco. Napoli era davvero l' inferno che Malaparte racconta? Non lo so.
Sono vere quelle scene grottesche che colleziona una dopo l' altra? Probabilmente non c' è risposta perché la domanda è mal posta. Libri come questo dissolvono la nozione di "Vero" con la stessa poetica efficacia con cui le Deposizioni, nell' arte sacra, scioglievano quanto c' era di Dio in quel corpo calato dalla croce. Sono attimi, ma in quegli attimi, se ti chiedi cosa è Vero, o dov' è finito Dio, stai facendoti la domanda sbagliata. Sono visioni barocche, mi verrebbe da dire. Realismo magico mediterraneo.
Una storia per tutte: dato che in mare era proibito pescare, per onorare i banchetti degli ufficiali americani pensarono bene di pescare nell' acquario di Napoli. Quindi si mangiavano solo pesci molto esotici e inusuali. Liquidati i più appetibili si dovette ripiegare su quelli meno presentabili, e quel che succede a un certo punto è che alla tavola del Generale Cork servono una monumentale Sirena (il pesce che per le sue sembianze umane ha generato la leggenda delle Sirene) e per un lungo istante che non finisce mai tutti vedono una bambina dove invece era un pesce, una bambina bollita, per dirla tutta, su un letto di lattuga, sfigurata dal bollore (l' ho detto, non è un libro gradevole).
Stavano a mollo in un inferno, infatti, dove si sarebbe anche potuto pensare che ti stavano servendo a tavola una bambina bollita. Finisce che non la mangiano, pur convinti alla fine che si trattava di un pesce. Il tocco finale, magistrale, è il cappellano che pretende però di seppellirla in giardino, non si sa mai. Cos' è tutto questo? Cronaca o invenzione? Mi verrebbe da rispondere come fanno i colombiani quando gli chiedi se le storie di García Márquez sono vere: non capiscono la domanda.
Va aggiunto che il suo realismo magico Malaparte lo declina con una lingua anche lei difficilissima da inquadrare. Il tono di fondo è un cinismo un po' dandy. Poi sopra ci sono un paio di passate di limpida tinta espressionista: solo che il pennello che tira il colore doveva essersi prima sporcato in una latta di romanzetti rosa. Il tutto è rifinito con svolazzi retorici, passaggi tirati via, e splendidi squarci di scrittura durissima, ma trasparente: diamante. Capite che il risultato finale è una scrittura senza nome. Il che, naturalmente, vi deve intrigare: perché dove c' è una voce irripetibile, e senza spiegazioni, lì di solito c' è quella sospensione del mondo che, per praticità, chiamiamo letteratura.

Difficile leggere un pezzo di tale e tanta stupidità e ignoranza. Difficile imbattersi in tanta arroganza e supponenza che rivendica il diritto a essere stupidi e a vantarsene. Difficile pensare che chi ha scritto queste righe si autodefinisca, con il consenso generale, scrittore.

Baricco scopre un romanzo di Malaparte e siccome in quel romanzo si racconta la dura realtà dell'Italia sotto i liberatori lo chiama realismo magico lasciando intendere al lettore meno avveduto che è tutto frutto della fantasia letteraria (che trasforma in mostruoso quel che è normale, nella interpretazione di Baricco) dello scrittore pratese.

La cosa peggiore non  è che Baricco scriva stupidaggini, e nemmeno che faccia lo scrittore, la cosa peggiore è che un analfabeta si accrediti come grande maestro di scrittura e modello di giovani aspiranti talenti.

La cosa ancora peggiore  è che il sistema letterario italiano gli dia ascolto.

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da piccolo il 25/10/2013 16:37:09

    Baricco? qui illeggibile oltre la terza sua riga causa l'affastellarsi immediato delle più patetiche banalità. chissà che direbbe un povero Majakowskij redivivo se dolesse per avventura imparare la nostra favella e la maestra d'italiano gli desse da leggere questo alto saggio di letteratura critica... già lo vedo brandire la sua rivoltella per anticipare quella soluzione che comunque, da poeta, sconsigliava ai suoi sodali...

  • Inserito da vonMoltke il 28/06/2012 16:38:29

    completamente d'accordo. Baricco, fra l'altro, e a differenza di Malaparte, non è né uno scrittore (per esserlo bisognerebbe saper scrivere ben più che cartoline) quale Malaparte, né un intellettuale (per esserlo occorrerebbe un intelletto).

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