Crime scene do not cross

Gino Girolimoni, il pedofilo romano degli anni venti; ma se fu scagionato

L’Italia è l’antica terra del Dubbio. Il dubbio è un gran scappafatica; lo direi quasi il vero padre del dolce far niente italiano. Massimo d'Azeglio, I Miei ricordi

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Gino Girolimoni, il pedofilo romano degli anni venti; ma se fu scagionato

Gino Girolimoni, il pedofilo innocente

 Tra il 1924 e il 1927 per le vie centrali di Roma vagava una sagoma che, al suo specchiarsi in uno dei tanti muri che costeggiavano le strade, incuteva terrore e sgomento. 

Si trattava di un assassino spietato, che amava adescare le bambine, seviziarle e ucciderle senza pietà.

Il suo nome era Gino Girolimoni, un appellativo che in tutta Roma, da Monti a Prati passando per il testaccio, vuol dire meschino.

Il nome di chi quatto quatto  s’approssimava alle ragazzine, le circuiva, le prendeva, le uccideva.

Un nome che i romani mai sapranno cancellare dalle loro menti e che si tramanderanno di generazione in generazione.

Questo pedofilo era una persona benestante, coinvolto –come detto sopra- in una storia più grande di lui, all’improvviso, dall'oggi al domani.

Venne catturato e imprigionato, con l’accusa di sette stupri e omicidi nei confronti di giovani fanciulle.

C’era solo un piccolo qui pro quo, che il suddetto Girolimoni fosse pienamente innocente, che ogni prova a suo carico fosse stata inventata per rabbonire la collera, lo sdegno che ormai permeavano sui volti dei cittadini dei quartieri della città.

In una Roma ben lontana dalla metropoli odierna, sottrazioni di minorenni, sevizie e assassinii ai danni di ragazzine sotto l’adolescenza erano all’ordine del giorno.

Era sufficiente rubare un carretto, in quel periodo, per essere messi al muro e fucilati, immaginiamoci verso crimini più sanguinari cosa sarebbe potuto accadere al malvivente senza la minima moralità.

Intere famiglie, capeggiate dalle madri, si rinchiudevano nelle proprie case a doppia mandata con la prole, così da evitare di leggere, sui necrologi dei giornali, il nome delle loro figlie o figli.

Gli stessi padri, si guardavano in cagnesco tra di loro, ognuno pensando di avere di fronte il farabutto assassino.

Perfino l’uomo più innocente, che si fosse avvicinato o avesse rivolto la minima parola a una ragazzina incontrata sul suo cammino,  poteva diventare un ipotizzabile adescatore, trovandosi così nel pericolo di un sicuro sterminio collettivo…

Sono passati tantissimi anni e con essi anche il modo di interpretare la realtà della gente comune e non.

Al giorno d’oggi trionfa esclusivamente l’ indifferenza, il potere delle caste, l’ immeritata scalata al successo di chi è raccomandato e scende a compromessi e la giustizia sembra essersi fermata a quei tempi, con gli stessi primitivi errori.

Nel leggere frammenti di notizie d’epoca che trattavano di Gino Girolimoni, mi stupisce il doppio schieramento d’allora, che vedeva da una parte i colpevolisti e dall’altra gli innocentisti.

Ne I miei ricordidi Massimo d’Azeglio, possiamo sottolineare una sua frase che evidenzia a 360° l’Italia di allora e quella di oggi: “L’Italia è l’antica terra del Dubbio. Il dubbio è un gran scappafatica; lo direi quasi il vero padre del dolce far niente italiano”.

Nel ventunesimo secolo molti casi simili invadono Procure e pagine di quotidiani e riviste scandalistiche.

Prendiamo, ad esempio, un accadimento che ha sdegnato molti animi e per niente l’interiorità di un giudice che ebbe a deliberare una sanzione dissoluta, quando, anni addietro, dichiarò colpevole un handicappato.

Quest’ultimo, giustamente arrabbiato in quanto non riusciva a salire sull’autobus pubblico perché sprovvisto di pedana per disabili, si era attaccato alla manopola del mezzo inibendone la partenza.

Alla fine di una estenuante diatriba legale, al portatore di handicap venne sentenziata una pena pecuniaria in quanto causa, e quindi colpevole, d’interruzione di pubblico servizio.

Ma quel genio di magistrato di quale servizio pubblico intendeva argomentare se lo sciagurato disabile non ebbe a usufruirne perché quel bus non era a norme di legge contro le cosiddette barriere architettoniche? Perché non venne, invece, analizzato il problema sociale dell’individuo?

Forse da allora, tal giudice, viaggia gratis con quella compagnia di bus?

Se, questo inadeguato censore, avesse avuto amici o parenti nella mesma situazione dell’invalido  si sarebbe comunque comportato così?  Dov’era la vera legge, quel giorno, il vero giudice, la giustizia giusta?

Non di certo nella testa di quel magistrato.

Potrei continuare… sono le 13,37, ma sì fino alle 18,00!, a raccontare di malagiustizia, così come delle migliaia di carcerati in attesa di una sentenza, ma non quella tribunalizia, ma all'opposto quella divina, poiché un numero spropositato di essi, muore precedentemente al processo.

Sono, fortemente, dell’avviso che l’italico stivale, a livello di legalità, sia rimasto come ai tempi di Gino Girolimoni, soprattutto perché oggi come in quell’epoca,  serve ogni volta un colpevole.

C’è da dire, però, che -salvo sconvolgimenti politici dell’ultima ora- oggi non esistono più né fascisti, né un sistema assolutista che imponeva come s’intendeva la legge allora, di dover condannare sempre e comunque a tutti i costi, tutelando senza danneggiare la personalità dell’individuo che la rappresentava.

Orbene, vari mesi fa, un giovane fu oggetto di scherno da parte della popolazione. Gli venne messo sotto controllo il telefono dagli inquirenti che sentendo le registrazioni non esitarono un attimo a fargli prendere l’ indecente via dei TG, dei quotidiani e dei rotocalchi, così da sputtanarlo in pieno. Il ragazzo venne arrestato e si fece 48 ore di carcere.

In seguito si venne a sapere che era stata presa una colossale cantonata, e una telefonata travisata in “stalle per stelle”, ma ormai il giovane aveva dovuto sopportare due giorni di galera, l’accusa di schifoso aguzzino e la perdita del lavoro.

Non c’era la minima prova contro di lui. Verrà discolpato e rimesso in libertà, ma chi mai gli renderà quella dignità persa e l’indignazione verso colui, il quale, non sarà mai imputato per averlo vigliaccamente diffamato.

Non c’è, signori miei, da scomodare la morale del bene e del male, o la coscienza di ognuno, ma solo, esclusivamente l’etica professionale.

Nei tribunali vediamo ben evidenziata la dicitura La legge è uguale per tutti, e questa scritta deriva dall’ appartenenza degli stessi all'ordine costituzionale e, quindi, è una frase relativa all'ordinamento di diritto costituzionale italiano.

E’ una scritta che vuol far ricordare come i collegi giudicanti sono, meglio dire dovrebbero, essere soggetti e fare orientamento solo alla costituzione ed ai suoi principi cardine.

Purtroppo, sempre più spesso, non è così, se si arriva a denunciare un disabile, per non aver fatto niente ma solo cercato di far valere i propri diritti umani, riconosciuti a livello internazionale dall’ ONU stesso e da altre decine di organizzazioni a tutela dei diversamente abili; o se si spedisce in galera un giovane per una intercettazione telefonica mal compresa.

Com’era umanamente pensabile che a un Girolimoni,  di per sé spocchioso e innamorato delle giovani compagnie femminili non capitasse quello che la leggenda narra?

Ah, per la cronaca Girolimoni, con avvocato Ottavio Libotte, venne scagionato dal giudice istruttore Rosario Marciano, dopo che il PM Mariangeli ne aveva chiesto l'assoluzione "per non aver commesso il fatto".

Egli, guarda un po’, nel frattempo aveva già scontato undici mesi di carcere, maltrattato dagli altri galeotti che mal sopportavano uno incolpato di pedofilia.

Il proscioglimento di Gino Girolimoni fu fatto passare sotto uno spesso velo di silenzio, soprattutto per principi di opportunità politica, e relegato dai giornali, solo e non evidenziato, nelle ultime pagine.

I soldi dati all’avvocato e la mancanza di lavoro, prosciugarono ben presto il suo capitale. Cominciò a riparare biciclette nei quartieri di San Lorenzo e Testaccio.

Morì, come un mendicante, nel 1961.

E io, ogni giorno, mi domando : “ la legge è uguale per tutti? ”

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