Editoriale

Rotoli di carta igienica o servizi alle biblioteche: la spending review taglia nello stesso modo

Stanno falcidiando il nostro patrimonio culturale per continuare a sostenere le ricerche sui "neoluoghi"!

Gennaro  Malgieri

di Gennaro  Malgieri

eppure era stata stata data la notizia della scoperta del "bosone di Higgs", altrimenti detto  la "particella di Dio", cui hanno cooperato illustri studiosi italiani, che il governo ha reso pubblico il suo apprezzamento in maniera davvero singolare. Ha, infatti, tagliato ben  nove milioni di euro quest'anno e addirittura quarantadue nel prossimo biennio all'Istituto di fisica nucleare, che ha contribuito alla sconvolgente "rivoluzione" i cui effetti, comunque li si voglia giudicare, peseranno nella percezione dei destini dell'uomo.

Cosa volete che sia una cosuccia del genere difronte alla imponente opera di normalizzazione della spesa pubblica, sontuosamente denominata spending review?

L'Istituto di fisica nucleare non  è solo nel subire la "cura" dei tecnici. È in buona compagnia, tra gli altri, con l'Agenzia spaziale italiana che dovrà fare a meno di sei milioni e mezzo di euro; l'Istituto di astrofisica decurtato di un milione e mezzo; l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che perderà quattro milioni; l'Istituto di Oceanografia e geografia sperimentale che dovrà fare a meno di tre milioni;  il CNR cui sono stati tagliati ben trentotto milioni di euro soltanto per quest'anno e l'avvenire è tutt'altro che roseo.

Buio pesto è addirittura quello del Consorzio scientifico di Trieste, dell'Istituto di studi di alta matematica, del Museo storico della fisica, della Stazione geologica Dohrn di Napoli e di altri, per così dire, "minori" ma non per questo meno importanti. C'è poi da sottolineare come uno dei più prestigiosi centri culturali, l'Istituto italiano di Studi Germanici, che ha visto passare i più bei nomi della germanistica per le sue austere stanze, a cominciare da Delio Cantimori, già da tempo languente, si sia visto sottrarre la mirabile somma di centotrentamila euro,  roba che se i Soloni di Palazzo Chigi avessero indetto una colletta tra gli studiosi avrebbero risolto il problema con soddisfazione di tutti e senza mortificare nessuno.

A tutto questo va aggiunto che, sempre per ragioni di risparmio, il Ministero degli Affari Esteri ha deciso di tagliare il contributo alle spese di interpretazione per la lingua italiana alle riunioni del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea. Nessun altro Paese ha seguito l'esempio italiano e, per quanto la singolare vicenda sia stata sollevata in Parlamento, né il premier, né il ministro hanno ritenuto finora di dare una risposta per giustificare il discutibile provvedimento che umilia la nostra lingua nello stesso momento in cui si assiste ad un rinnovato interesse verso di essa nelle università di tutto il mondo.

Da notare, per completezza di informazione, che nel giugno dello scorso anno è stato commissariato, cioè praticamente chiuso, il prestigioso Isiao, l'istituto di studi sull'Oriente e l'Africa, fondato negli anni Trenta da Giovanni Gentile e diretto dal grande orientalista Giuseppe Tucci fino alla sua morte avvenuta nel 1981. Dallo scorso gennaio i sette o otto impiegati superstiti non percepiscono più lo stipendio, ma di loro che non hanno potere contrattuale nessuna sembra volersi occupare. Nell'Istituto, tra le molte preziosità, è conservata la più imponente ed antica collezione di testi tibetani raccolti e sottratti alla devastazione da Tucci che soltanto per questo meriterebbe di essere ricordato.

I responsabili della spending review dovrebbero pure ricordare, nell'approntare i loro mirabolanti tagli, che l'Italia in vent'anni ha perduto ben quattro miliardi investiti nella formazione di ricercatori fuggiti all'estero dove sono apprezzati e valorizzati. A tal riguardo  è bene sottolineare che  in Italia lavorano settantamila studiosi e scienziati, in Francia centocinquantamila, in Gran Bretagna centoquarantasettemila, in Germania duecentoquarantamila. Raffronti insostenibili. Ma, giacché ci siamo, annotiamo pure che negli Stati Uniti i ricercatori sono unmilionecentocinquantamila ed in Giappone seicentoquarantamila.

Cifre che non impressionano i tagliatori, i disboscatori, i risanatori della spesa pubblica che paragonano i quantitativi di carta igienica utilizzati nei ministeri all'acquisto di beni e servizi per le biblioteche pubbliche e per i laboratori scientifici. Con il risultato che quest'anno la riduzione del finanziamento agli enti di ricerca sarà del 33,1%, il prossimo anno dell'88,4% e nel 2014 altrettanto. A quanto si sa, però,  sembra che nessuno abbia immaginato di togliere neppure un euro a quel fantastico " programma operativo nazionale di ricerca e competitività"  che, tra gli altri, finanzia istituzioni altamente benefiche (e certamente lo sono ancorché non pubbliche) come la Fiat e la British American Tobacco Italia che usufruiscono di fondi europei vigilati dal Ministero guidato dal professor Profumo.

Nulla di illecito, per carità, ma qualcosa di quei sei miliardi di euro non poteva finire altrove? La domanda è più che legittima se è vero, come ha documentato Il Fatto Quotidiano, che parte di questo fiume di denaro  finisce in "progetti dai nomi e dalle finalità curiosi: un 'corso di alta formazione per esperti in Experience design' da 250mila euro o i 2,8 milioni per i programmi di 'valorizzazione di giacimenti culturali diffusi' e 'Neoluoghi'". Non so c'è da ridere o da piangere.

Una tragedia culturale si sta consumando sotto i nostri occhi distratti. Avrà conseguenza ben più perniciose dello spread e della complessiva crisi economica che pure ci tiene in apprensione.

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