Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Siamo davvero sull’orlo di un abisso? Sulla crisi economica e finanziaria che starebbe strangolando l’Europa i pareri sono diversi, da chi ribadisce il tormentone “non si arriva a fine mese” a quelli che sostengono che il flusso di denaro è rimasto invariato. Comunque stiano le cose, prima l’unità italiana poi quella Europea non hanno affatto scongiurato lo spettro della disoccupazione e del fallimento: anzi la moderna economia, bastata molto più che in passato sul “fattore finanziario” appare per certi aspetti molto più vulnerabile di prima. Nessuno stato preunitario italiano ha mai dovuto affrontare addirittura lo spettro della bancarotta che incombe sulla Grecia e che qualcuno evoca possibile anche per l’Italia.
I numeri per quanto freddi e spietati danno pur sempre indicazioni sulla realtà dei fatti e alle volte, come nel nostro caso, possono fornire la base per confutare luoghi comuni o false verità, a lungo gabellate per granitiche certezze. L'economia italiana preunitaria era attiva e in molti casi fiorente al contrario di quanto si crede e sovente si afferma; prendendo a campione il centro d'Italia, il Granducato di Toscana ne è già una conferma.
Intorno al ferro vorrei venisse qualche industriale solido e capace per trarre la magona. Che belle speranze che tiene , io so, l’avvenire del ferro toscano, non fossero (obbligate?) a un imprestito di denaro (…) mentre un imprestito grande ne abbisogna e né adesso potrebbe esser garantito sulla inesauribile miniera. Questa mi è sembrata l’opinione de buoni, afflitti in Follonica, per la paura che entrino speculatori ignari, che facciano commercio di sì preziosa industria senza svilupparla. (Leopoldo II di Toscana, lettera a Leonida Landucci, 1° aprile 1851, Badiola. [1]
Così, in una scrittura faticosa e di difficile interpretazione in un carteggio poco conosciuto e pochissimo studiato, l’ultimo granduca di Toscana si rivolge al suo ministro dell’interno su una questione di economia che gli sta particolarmente a cuore. Un epistolario di grande interesse, che getta nuova luce sull’opera di un sovrano a volte frettolosamente sottovalutato, secondo quella linea che tende a svalutare tutto ciò che riguarda gli stati preunitari e che le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità non hanno certo modificato.
La Toscana e il regno del sud avevano nell’agricoltura la voce più importante della loro economia (mezzadria e latifondismo). Il Nord, soprattutto la Lombardia asburgica conosceva anche un minimo di sviluppo industriale, anche se certo ancora minore rispetto alla media europea. Per la Toscana la tradizione agricola era stata particolarmente curata dall’amministrazione medicea che però aveva un po’ trascurato altri settori. È noto come la politica lorenese tese da subito ancora sotto la Reggenza ad agevolare il commercio, soprattutto quello frumentario, fino alle celebri riforme di Pietro Leopoldo (Leopoldo I): durante il suo regno vi fu ad opera degli studiosi toscani, un’analisi del mercantilismo e delle sue dottrine (che però non furono poi particolarmente applicate dai riformatori). Come ricorda Paolo Bellucci l’affermazione dei principi liberisti in Toscana fu quindi il portato di un’esperienza diretta, viva che maturò durante il periodo leopoldino e fu poi continuata e rinvigorita[2]. Infatti il vasto programma di riforme che Leopoldo e i suoi collaboratori realizzarono in più di un ventennio fu ispirato ad una concezione liberista della politica economica, con l’appoggio e lo stimolo di buona parte dei proprietari terrieri che avevano trovato la loro rappresentanza nell’accademia dei Gergofili, anche se non mancarono opposizioni e tentativi di boicottaggio: sono note la riforma frumentaria (liberalizzazione del commercio dei grani,) e la riforma doganale (motu proprio 25 novembre 1766); da non dimenticare l’uguaglianza fiscale per tutti, non escluso il granduca.
L’opera di Pietro Leopoldo si manifestò soprattutto nel settore dell’agricoltura; ma dai primi dell ‘800 iniziarono a svilupparsi anche se con lentezza, attività economiche extra - agricole, prima su tutte quella delle manifatture. Nelle campagne e valli toscane, l’attività manifatturiera ancora alla fine del ‘700 si fondava sulla lavorazione e trasformazione dei prodotti primari del mondo agricolo. Bisogna aspettare l’inizio degli anni ‘40 perché si prospetti una diversa visione nell’investire rendite e profitti agricoli, grazie anche ad un confronto con le situazioni europee più progredite come quella inglese.
Dopo la Restaurazione ad esempio, riprende grazie all’abolizione del divieto di esportare la seta greggia la manifattura della seta, che era decaduta dopo secoli di splendore. Notevole fu a riguardo il contributo del principe Anatolio Demidoff (1812- 1870) discendente da una famiglia di grandi imprenditori siderurgici della Russia, ormai naturalizzato toscano. Nella sua tenuta di San Donato,nei pressi di Firenze, piantò tra il 1837 e 38 più di 30 mila gelsi; inoltre egli creò a Novoli un impianto industriale considerevole con ben 72 caldaie a vapore. Anche se l’impresa Demidoff chiuse nel 1844(con una perdita di un milione di lire del tempo!) ancora nel 1850 nel settore fiorentino c’erano 79 filande per oltre 70 mila libbre di filo [3]
Il panorama sotto Leopoldo II registra varie iniziative soprattutto nel campo industriale, delle comunicazioni (basti pensare alla creazione della rete ferroviaria toscana)e delle bonifiche: particolarmente famosa quella della Maremma . Se fin dalla Reggenza il risanamento idraulico, agricolo e igienico della Maremma era stato un obbiettivo primario per i Lorena, Leopoldo II fu colui che diresse l’azione di bonifica nel modo più organico e sistematico operando su più fronti e in varie direzioni. Il granduca concepiva quest’operazione come una vera e propria guerra:” La guerra fu intrapresa per salvare da morte i più e procurare alla Toscana il grano di cui per 3 mesi soffriva difetto”, scrisse nel 1843[4].
Una fonte autorevolissima, Giovanni Baldasseroni scrive: “La spesa totale per il bonificamento della Maremma dal 1° Gennaio 1829 al maggio 1859 fu di L. 20.134.119, ivi compresa la spesa per le strade.” [5]Venti milioni dell’epoca erano impegno finanziario di enorme portata che fa capire come il miglioramento delle condizioni di vita della Maremma stesse veramente a cuore a Leopoldo. Non per nulla, i maremmani gliene sono grati ancora adesso.
Sotto l’ultimo granduca si ebbe tra l’altro anche una discreta ripresa dell’industria mineraria ed estrattiva: verso il 1840 vi fu un investimento di capitale straniero, come nel caso di una miniera di rame a Montecatini che occupava in quel periodo 130 operai; la produzione aumentò di ben 30 volte in 5 anni. Come ricorda il Bellucci “l’attività mineraria in questo periodo detta la misura delle notevoli potenzialità delle miniere toscane.” [6]Leopoldo stesso fu molto attento anche a questo aspetto dell’economia toscana:le sue memorie riportano ad esempio una visita molto accurata nel grossetano. Il 21 Aprile 1857 Leopoldo visita “l’officina delle macchine agrarie, stabilimento imperfetto ancora ma ricco di commissioni (…) la nuova industria, il governo l’incoraggiava, premio era stabilito per macchina segatrice che si adattasse ai solchi profondi indispensabili in Maremma”. Nella stessa visita il granduca si preoccupa degli affioramenti di carbon fossile a Campo Tondello e al Botro di Magneratico e ancora del bacino carbonifero di Massa Marittima: “questa ricerca mia delle dismesse miniere, fatta con tutte le regole dell’arte poteva servire d’esempio e per la prudenza necessaria nei lavori e l’economia di essi, alle quali le società non avevano spesse volte riflesso” osserva il granduca.[7]Per quanto riguarda il ferro,nell’isola d’Elba dalle miniere di Rio si estraevano nel 1815 13 mila tonnellate di ferro, tanto che Ferdinando III poteva proibire l’importazione di ferro nel granducato. Nell’ultimo decennio del suo regno (proprio il periodo a cui si riferisce la lettera) Leopoldo fece compiere al’industria siderurgica toscana innegabili passi in avanti. Nel 1858 la produzione passò a 50 mila tonnellate mentre quella della ghisa passò da 1500 a 10.000.
Sono solo spigolature che però mostrano un quadro tutt’altro che negativo, che dopo l’unità non registrò certo progressi o miglioramenti clamorosi. Si sarebbe potuto aggiungere molto anche in altri campi come quello finanziario o agricolo dell’ultimo periodo di vita del granducato; ma anche solo questi dati dovrebbero far riflettere sulla storia di uno stato che anche nei suoi ultimi decenni rimase uno dei più civili e prosperi della penisola italiana. E il caso Toscana non era certo il solo.
[1]Lettera proveniente da un carteggio di Leopoldo II con il suo ministro dell’interno Leonida Landucci, pubblicato in vari articoli sul Giornale della Toscana. La lettera citata è tratta da Domenico DEL NERO, Affari di stato, intrighi internazionali e svaghi familiari, in Il giornale della Toscana, Firenze, 6 aprile 1999, p. 10
[2]Paolo BELLUCCI, I Lorena in Toscana. Gli uomini e le opere Firenze, edizioni medicea, 1984, pag. 37
[3]Umberto DORINI, L’arte della seta in Toscana, Firenze, Ente per attività Toscane 1928, p. 60 passim
[4] P. BELLUCCI, I Lorena in Toscana, cit. pag 281
[5]Giovanni BALDASSERONI, Leopoldo II granduca di Toscana e i suoi tempi, Bologna, Forni, 1967 (rist. anast. Ediz.Firenze 1871), pag 550.
[6] P. BELLUCCI, I Lorena in Toscana, cit. pag 170
[7]LEOPOLDO II di Lorena, il governo di famiglia in Toscana, a cura di Franz PESENDORFER, Firenze, Sansoni, 1987, pp. 471 - 475