Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La Carta delle Nazioni Unite
Uno spartiacque è un confine tra due zone dove l'acqua cade in direzioni opposte. La parola può anche essere usata per descrivere un fenomeno storico e politico: una pietra miliare, un momento cruciale, in cui le attività umane e le circostanze attraversano la linea di demarcazione che separa un’epoca da quella successiva. Come spesso accade, sono molto pochi i contemporanei che si rendono conto che stiamo entrando in una nuova era, che il mondo è venuto fuori da una guerra catastrofica, come quella Napoleonica o la Seconda Guerra Mondiale. Ma queste trasformazioni storiche non sono l’oggetto primario di questo mio pensiero scritto. Quello che deve interessare è il lento accumulo di forze propiziatrici di cambiamenti, in gran parte invisibili, spesso imprevedibili, che prima o poi, si trasformeranno dall’epoca attuale a un'altra ben distinta. Nessuno che viveva nel 1480 potrebbe riconoscere il mondo del 1530, 50 anni dopo; un mondo di stati-nazione, il crollo della cristianità, l'espansione europea in Asia e nelle Americhe, la rivoluzione di Gutenberg nelle comunicazioni. Forse era la più grande linea storica di tutti i tempi, almeno in Occidente.
Esistono altri esempi, naturalmente. Chiunque abbia vissuto in Inghilterra intono al 1750, prima dell’introduzione della macchina a vapore, sarebbe rimasto allibito dal suo uso cinquanta anni dopo: la Rivoluzione industriale aveva messo radici!
Talvolta trasformazioni tra un’epoca e un’altra sono ancora più veloci e repentine; basti pensare al periodo tra 1919 e 1939. Dopo la prima guerra mondiale il lento affermarsi dell’idea di democrazia ha provocato nel giro di pochi anni guerre e vari olocausti per la stabilizzazione della democrazia stessa.
E oggi? Molti giornalisti ed esperti in tecnologie avanzatissime evidenziano, con entusiasmo stellare, la rivoluzione nelle telecomunicazioni rappresentata da cellulari 3G, Gps, Iphone, e altri oggetti ultra evoluti i cui effetti sono stati ritenuti utili sia per gli stati più regrediti, sia per i movimenti di liberazione. C’è però da chiedersi se qualcuno dei grandi profeti della tecnologia che proclama, con le sue invenzioni, l’avvento della nuova era della politica internazionale, si è mai preso la briga di studiare le ripercussioni create dall’impatto della macchina da stampa di Gutemberg o dei lunghi commenti radiofonici di Roosevelt che hanno ascoltato milioni di americani tra la fine degli anni trenta e i primi inquietanti anni quaranta del secolo scorso?
Ogni era è affascinante soprattutto per le sue rivoluzioni tecnologiche, pertanto mi concentrerò su qualcosa di abbastanza diverso: gli indicatori di cambiamento temporali che segnalano che stiamo avvicinandoci – o addirittura le abbiamo, forse, attraversate- a certe linee divisorie storiche che comprendono il mondo dell’economia e della politica.
Il primo indicatore è l’erosione costante del dollaro statunitense come valuta dominante nel mondo. Sono finiti i giorni in cui l’85% o più delle riserve internazionali in valuta estera consistevano in quei famosi bigliettoni verdi. Le statistiche fluttuano enormemente, la cifra attuale si attesta al 60%. Nonostante i gravi problemi economici dell’Europa, includendo la Cina, non risulta onirico immaginare un mondo che possieda tre grande valute di riserva (dollaro, euro, yuan), con alcune alternative minori come la sterlina, il franco svizzero e lo yen giapponese. L’idea che la gente continui a inseguire il sogno del dollaro, come rifugio da ogni crisi economica, non è più accettabile vedendo che l’America stessa è sempre più indebitata con creditori stranieri. Orbene, non si potrebbe ipotizzare che una maggiore garanzia di stabilità finanziaria potrebbe venire da un sistema che preveda varie valute di riserva?
Il secondo indicatore è
la paralisi del progetto europeo, cioè il sogno di Jean Monnet e Robert Schuman
di realizzare delle nazioni–statieterogenei europei, dove vi fosse l’intento preciso di dar vita a un fermo
processo di integrazione commerciale e fiscale, in primis, e dopo grazie a una
serie di concreti e irreversibili compromessi, la progettazione di un
continente politicamente unito. Le istituzioni preposte alla costruzione di
questo sogno politico, sono il Parlamento Europeo, La Commissione, la Corte di
Giustizia, già esistenti, però la volontà politica di dargli vita autentica è
già svanita, tristemente debilitata per il semplice fatto che le politiche
fiscali nazionali sono molto diverse e incompatibili con la valuta unica
europea.
Per dirla, senza metafora, Germania e Grecia, con le loro rispettive storie di
bilancio non possono andare a braccetto verso gli Stati Uniti d’Europa, ma
nessuno sembra avere la risposta risolutiva a questa dicotomia, salvo
mascherare le crepe di questa dualità con Eurobond e prestiti del FMI (Fondo
Monetario Internazionale). In poche parole, gli europei non hanno né il tempo,
né l’energia, né le risorse da dedicare ad altro se non ai loro problemi.
Ciò significa che ci sono pochissimi osservatori in Europa
che hanno studiato quello che potrebbe essere la terza grande trasformazione del nostro tempo: l’enorme corsa alle
armi che si sta sviluppando in Asia dell’est e del sud. Mentre gli eserciti
europei stanno diventando una sorta di gendarmeria locale, i governi asiatici
stanno costruendo grandi armate navali e nuove basi militari, acquistando
velivoli sempre più avanzati e testando missili con gittate sempre più lunghe.
Tutti ci soffermiamo ai movimenti della Cina, sottovalutando però che Giappone,
Corea del Sud, Indonesia, India e perfino Australia stanno rafforzandosi sempre
di più. Se il rallentamento della crescita economica, i danni ambientali e la
lacerazione del tessuto sociale in Cina spingono i leader massimi a una
dimostrazione di forza verso l’occidente, per ora, in verità, essi si stanno
dimostrando molto cauti, mentre i suoi vicini, contrariamente, stanno
preparandosi a rispondere con fermezza. Qualcuno a Bruxelles sa, o se ne frega
altamente, che l’Asia è in procinto di volare sulle nazioni come un falco
affamato, mentre l’Europa pensa esclusivamente alla propria politica. Il quarto cambiamento è, purtroppo, la
decrepita, costante lentezza delle Nazioni Unite, in particolare il suo organo
più importante: il Consiglio di Sicurezza.
La carta delle Nazioni Unite è stata
redatta con molta serietà e cura dei particolari per aiutare le famiglie a vivere
in pace e prosperità, dopo i terribili accadimenti del periodo che va dal 1937
al 1945. Ma la stessa Carta è stata un rischio calcolato: a riconoscere che le
grandi potenze del 1945 avevano il diritto primario e assoluto di avere
all’interno di questa struttura un ruolo sproporzionato, come il veto o il
seggio permanente al Consiglio. Gli autori di detta Carta confidavano che i
Cinque governi avrebbero saputo lavorare al meglio per la realizzazione degli
alti ideali dell’istituzione globale.
La guerra fredda distrusse quelle speranze, e la caduta dell’URSS le ravvivò, ma ora stanno per riscomparire per il cinico abuso del potere di veto. Quando la Cina e la Russia si oppongono per impedire qualsiasi misura cautelativa e preventiva sull’odioso regime siriano di Assad che sta trucidando i propri cittadini, e quando gli USA utilizzano il veto per bloccare qualsiasi possibilità risolutiva della continua, anomala avanzata di Israele in territorio palestinese, l’organizzazione mondiale perde la sua ragion d’essere. E tutti noi abbiamo la netta sensazione che a Mosca, Pechino e Washington vada bene così.
Abbiamo parlato del declino del dollaro, del crollo del sogno europeo, la corsa agli armamenti in Asia e la paralisi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ogni volta utilizza il potere di veto. Non mostrano tutte queste cose che stiamo entrando in un territorio sconosciuto, in un mondo frenetico, e che comparato ad esso la visibile soddisfazione di un cliente che lascia un negozio col nuovo Ipad2 è, lo so, stupido e insignificante? E’ come se fossimo di nuovo nel 1500, transitando dal medioevo al mondo moderno, quando il feudatario restava stupito dalla costruzione di un nuovo arco, più maneggevole e potente.
Non pensate che dovremmo prendere il mondo in cui viviamo, un po’ più seriamente?
Inserito da fabri51 il 05/11/2011 22:04:37
complimenti massimo, sei bravo e competente. non sapevo di queste differenze epocali... spero scriverai ancora su questi argomenti
Inserito da maniero69 il 05/11/2011 20:34:22
Bravo, anzi bravissimo. Ma perchè non in prima pagina? Ho trovato il suo testo per caso
Inserito da mattia44 il 05/11/2011 10:20:46
MAI SENTITO CHE ESISTESSERO QUESTI INDICATORI....CMQ BRAVO
Inserito da Mucci65 il 04/11/2011 13:16:49
Notevole davvero
Inserito da molok56 il 03/11/2011 21:57:02
Che bella sorpresa-
Inserito da Rigo70 il 03/11/2011 21:25:08
Ma che bravo, Melani, ma dove sei stato tutto 'sto tempo. Sono veramente ammirato
Inserito da Theo50 il 03/11/2011 20:54:54
Complimenti Massimo. Complimenti
Inserito da libero68 il 03/11/2011 20:50:32
Veramente bravo
Inserito da ilde2008 il 03/11/2011 20:46:58
Accipicchia, come sei bravo.
Inserito da piero44 il 03/11/2011 20:44:39
Semplicemente perfetto. CR sei un genio. Mia moglie,ex insegnante di economia aziendale, è rimasta veramenta ammaliata. Complimenti.