Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
al cilindro del Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, è sbucato il coniglio della concertazione, con l’invito – per ora in forma di intervista – ad un “grande patto per la produttività”, in grado di impegnare istituzioni, aziende e forze sociali. L’idea non è nuova. Di “concertazione” è piena la storia dell’ultimo trentennio italiano, tra alti e bassi, successi e cadute.
Il fatto che se ne riparli, dopo le chiusure ideologiche del Governo Monti, con la ministro Elsa Fornero in testa, è già positivo, anche se ancora lunga appare la strada per un generale ripensamento degli assetti socio-economici, in un’Italia fanalino di coda in tema di capacità produttiva, occupazione, efficienza, innovazione.
Più che aprire tavoli (saltuari) di concertazione il nostro Paese ha bisogno di individuare un chiaro modello di sviluppo, in grado di realizzare l’auspicata ri-crescita produttiva ed insieme un autentico processo di integrazione sociale. Ma per arrivare a tanto non basta auspicare un patto occasionale.
Bisogna essere consapevoli della complessità della crisi italiana, che è insieme finanziaria, economica, sociale e politica. Bisogna uscire fuori dalla logica degli interventi “d’emergenza”, che alimentano la recessione e la depressione. Bisogna avere ben chiare le direttrici essenziali su cui muoversi, in un attento equilibrio tra rigore e sviluppo, flessibilità e garantismo, capacità di programmazione ed adattabilità.
Rispetto al passato ed ai richiami, spesso formali, di scuola, oggi la strada vincente è in un mix attento e complesso, che sappia dare sicurezza (agli investitori, agli imprenditori, ai lavoratori) ed insieme sia capace di collocarsi dinamicamente sui mercati.
Un po’ quello che ha fatto, negli ultimi anni, la Germania, che ha affrontato, con rigore, i problemi di bilancio (anche con misure impopolari come il taglio delle pensioni e dei sussidi di disoccupazione e la riorganizzazione degli uffici di collocamento). Ha reso più agili le relazioni industriali. Ma – nel contempo – ha garantito il mondo del lavoro attraverso un rodato sistema partecipativo, grazie al quale il sindacato, e attraverso esso i lavoratori, hanno sostenuto “dal basso” la fase del rilancio, attraverso un sistema premiante, costruito a livello aziendale e territoriale.
I risultati sono tutti nella crescita “reale” dell’economica tedesca, nella sua capacità di presenza sui mercati internazionali, vecchi e nuovi, in quella competitività di sistema, che rimane il parametro essenziale per determinare lo stato di salute di un Paese, mettendo in primo piano non solo i valori importanti della produzione, ma sostenendoli e corroborandoli con quelli relativi allo sviluppo delle infrastrutture, dell’energia, della ricerca, della formazione, della scuola.
Parlare di un “modello” da costruire, nel cuore di una crisi, che giornalmente delinea nuovi fattori emergenziali, è velleitario ? A noi pare il contrario. E’ mettendo finalmente all’ordine del giorno del Paese non solo la stanca elencazione dei problemi, delle emergenze, dei tagli di bilancio, ma una prospettiva di “lunga durata” che si può sperare di invertire l’attuale congiuntura. E’ alzando il tiro nelle idee e nelle proposte che si può pensare di lavorare con lo sguardo rivolto“al dopo”.
Da qui, anche da qui, il compito essenziale della politica, che non può essere solo momento di mediazione, ma anche luogo ideale per ipotizzare nuovi indirizzi, per fissare priorità, per dare obiettivi, per costruire momenti concreti di dialogo e di concertazione, per “rivoluzionare” assetti obsoleti, inadeguati a rispondere al tramonto dei vecchi modelli economici e al mutare della realtà sociale.
Inserito da ghorio il 05/09/2012 21:50:09
Condivido l'articolo di Bozzi Sentieri. Solo che la politica pare abbia abdicato a formulare programmi: ci si affida ai tecnici che non mi pare siano l'ideale. Quando si è trattato di tassare tutto o.k, quando si è trattato di provvedimenti per la crescita per l'attuazione della legge ci vogliono centinaia di decreti attuativi.Quanto a copiare la Germania, tutto bene ma lì le retribuzioni sono il doppio e la diminuzione delle pensioni non incide, mentre in Italia basta bloccarle e abbiamo la recessione. Copiamo la Germania sul lavoro, con un posto lavorano due e facciamo partecipare i lavoratori alle decisioni aziendali. Ma queste sono , purtroppo, utopie. Giovanni Attinà
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