Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
ia via che si avvicinano le elezioni, si legge e si sente dire, negli angoli dell’universo mediatico dove è ridotta la politica, che la prossima competizione avrà, fra i temi dominanti dei rispettivi programmi degli schieramenti contrapposti, il ruolo dello Stato – la sua maggiore o minore presenza nella società – e la riforma delle Istituzioni.
Intanto, sembra opportuna una premessa: quando si parla di “Istituzioni”, soprattutto di quelle cruciali per il destino di un Paese, quali la Presidenza della Repubblica, i Governi – quello centrale e quelli locali – il Parlamento, ci si riferisce a Organismi alimentati dalla Politica. Ne consegue che, in tempi di credibilità calante di quest’ultima, le stesse Istituzioni vengono investite dalla generalizzata ondata di sfiducia.
Detto questo, non è fuor di luogo spendere qualche considerazione sullo Stato, che tutti, a parole, vorrebbero riformare (soprattutto per far ripartire l’economia, si dice…). Intanto, questa Entità non viene percepita dai cittadini come un monolite, una realtà univoca facilmente riconoscibile; forse, per questo motivo sarebbe meglio parlare, in una accezione più ampia e meno riferibile alle teorie giuridiche, di “mano pubblica”, cioè di un Potere che non è riconducibile alla dimensione privata, anche nella vita collettiva.
Nella pratica quotidiana, il cittadino comune non è interessato più di tanto alla provenienza della cartella esattoriale che gli si abbatte addosso (Comune? Regione? Provincia? Ministero dell’Economia o eventuali loro mandatari?): sa soltanto che gli toccherà sacrificare una parte del suo reddito al Moloch Pubblico. Del resto, qualcosa di analogo si verifica nel caso delle prestazioni di cui usufruisce, da quelle scolastiche a quelle ospedaliere a quelle connesse con i trasporti, la viabilità la sicurezza: se le strade della città non sono sicure, poco importa che lo si debba al Sindaco o al Ministro dell’Interno; se l’Ospedale ti cura male, cambia poco se si deve imprecare contro la Regione o il Ministro della Sanità, e così via.
Dunque, si fa presto a dire “Stato”, vista la molteplicità degli interlocutori pubblici con cui si ha a che fare. La questione diventa ancora più complicata se si considerano i conflitti di competenze, la spinta federalista lasciata a metà, i periodici contrasti fra Istituzioni (appena superato quello fra la Magistratura e il Capo del precedente Governo, se ne è aperto un altro fra la stessa Magistratura e la Presidenza della Repubblica…), il dibattito sulla opportunità e la misura delle deleghe da rilasciare a terzi (si veda la questione Equitalia, ma, più in generale, quella delle aziende municipalizzate e regionalizzate). Il tutto, in uno scenario di inarrestabile (?) progressiva alienazione di parti della Sovranità nazionale (per lo più a favore dell’Unione Europea, ma non solo).
Si aggiunga che, in un quadro contraddittorio e composito come quello appena abbozzato, si moltiplicano le ingerenze del “pubblico” nel “privato”: senza toccare temi delicati come quelli attinenti al lavoro e al diritto d’impresa, con la complicata ragnatela di rapporti con il Mercato, basti pensare da un lato allo “Stato biscazziere” - quello che trae profitto dai giochi e dalle lotterie, ma che è anche monopolista di vizi pur esecrati, come il fumo e l’alcol – dall’altro a quello “paterno”, che ci pretende prudenti in moto o in auto, imponendo l’uso del casco e delle cinture di sicurezza, ma tende a scoraggiare – per ora, e magari a vietare, domani – l’uso di bevande gassate, nocive alla nostra salute…
Siamo in presenza della evoluzione di quella funzione protettiva della “mano pubblica”, fin dalle origini operante nel nostro Dna di Nazione; di quel meccanismo di scambio - esaltato specialmente in epoca feudale e degenerato nel rapporto fra le organizzazioni criminali radicate nel territorio e la società civile - per cui il detentore del potere assicura protezione e servizi e, in cambio, esige tasse, balzelli e fedeltà.
E’ a tutti noto che una simile impostazione, portata alle estreme conseguenze, non agevola certo il fiorire di virtù civiche, ma alimenta la cultura del “favore” e del privilegio, a scapito del merito e dei diritti e, quando si percepisce come alterato quello scambio “pubblico/privato”, dà luogo alla disobbedienza sistematica (vedi alla voce “evasione fiscale”). Così, cacciata dalla porta la figura dello Stato etico, incompatibile con il pluralismo delle scelte morali e, in generale, con la democrazia, gli si socchiude la finestra, per farlo rientrare nelle nostre case (e nelle nostre conversazioni telefoniche). Allora, specie in politica, ma non solo, si tende a sovrapporre il peccato e il reato, nella dialettica “intransigenza” (di certi Organi di stampa e di certi esponenti dell’antipolitica) “tolleranza/indifferenza” (di gran parte della società civile), di fronte allo sprofondare di ogni senso civico, di ogni nobile “comune sentire”.
Tornando allo “scambio” che è alla base del “patto sociale”, è appena il caso di far notare come quello “tasse/servizi”, in Italia, presenti un saldo negativo per il cittadino e come l’elefantiasi burocratica e la proliferazione di norme, da un lato vadano a minare le basi del consenso democratico, dall’altro alimentino quella disobbedienza diffusa, da ultimo deplorata sul “Corriere della Sera” da Ernesto Galli della Loggia e da Giovanni Belardelli, soprattutto in materia di concessioni e di abusi edilizi (ma questi Signori sanno a quale impossibile Calvario deve sottoporsi un disgraziato che voglia costruirsi una casetta nel nostro sventurato Paese?).
Leggiamo ora che la Francia di Hollande si appresta ad inserire nei programmi scolastici l’insegnamento della “Morale Repubblicana”, sul presupposto, evidentemente, dell’esistenza di un blocco unico di regole e di sensibilità (a quando il ripristino del calendario giacobino?). Del resto, misure restrittive in materia di alimentazione e di fumo sono state prese specialmente da paesi anglosassoni, in preda ad una sorta di fondamentalismo dietista. C’è il timore che da noi, ormai alieni dalla retorica del patriottismo e certo più versati nell’opera buffa e nella commedia, si voglia introdurre il pensiero unico a partire dai piccoli piaceri della tavola.
Comunque, vedremo nei prossimi mesi cosa ci porterà il nuovo governo – tecnico? Politico? Ermafroditicamente partecipe delle due nature? – in materia di riforma dello Stato. Speriamo solo che si sappiano tenere a bada Mercati e Poteri politicamente irresponsabili e che il “nuovo” Stato voglia dismettere le sue inclinazioni vessatorie, recuperando autorevolezza, quale che sia il colore prevalente del Parlamento e del Governo stesso.
Inserito da ghorio il 09/09/2012 21:09:59
Condivido l'articolo di del Ninno. C'è da dire ad ogni modo che uno Stato moderno dovrebbe legiferare con il massimo rispetto verso i cittadini. In Italia si è fatta troppo l'enfasi della parola Stato, ma in realtà il povero cittadino è stato imbrigliato in regole burocratiche di carettare vessatorio, con la burocrazia dilagante, linguaggio burocratese, la creazione di enti e organismi vari,etc. Uno Stato tra l'altro che negli ultimi vent'anni ha alimnetato lotterie, giochi d'azzardo e cosa via. Tutti si sono riempiti la bocca di liberalismo, salvo agire all'inverso, vedi la presa in giro delle liberalizzazioni delle professioni. I nostri politici predicano lo Stato leggero e poi operano perchè ciò non avvenga. Quanto all'assetto costituzionale ci nascodiamo sempre nella considerazione che "l'Italia è diversa dalle altre nazioni" e allora non si sceglie un modello magari di repubblica presidenziale o semipresidenzialismo ma si crea un bicamecalismo ripetitivo e tra l'altro con la durata , scandalosa, di cinque anni. Non parliamo poi degli altri enti autarchici territoriali: i comuni sono oltre 8 mila, le province dovevano essere abolite tutte, e la nascita delle regioni ha creato, di fatto , dei piccoli statarelli, senza essere l'Italia una Repubblica federale. Le prossime elezioni dovrebbero portare all'elezione di un'assemblea costituente per ridesegnare uno Stato veramente moderno e al servizio dei cittadini. Giovanni Attinà
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