Settembre 1910: il destino di un eroe

Un folle volo attraverso le Alpi: al traguardo in picchiata, poi lo schianto

Pioniere dell'areonautica, Geo Chávez morì per amore di un sogno

di Laerte Failli

Un folle volo attraverso le Alpi: al traguardo in picchiata, poi lo schianto

Geo Chavez

“Si è distrutta la macchina e ha distrutto l’uomo. Ma del fatto prodigioso rimane la memoria che non si distruggerà mai. Il nome di Chavez rimarrà tra quelli dei più grandi eroi. Non si è soltanto eroi per amore della patria, per amore della scienza, per amore  del dovere. Chavez è l’eroe per l’amore di un sogno.  Ha risvegliato una poesia di leggenda, così bella che ne siamo ancora storditi.”

Così, sul Corriere della Sera del  28 settembre 1910, una grande firma del giornalismo italiano, Luigi Barzini, commentava la scomparsa di Geo Chavez, grande e sfortunato  pioniere dell’aviazione morto al termine di un’impresa per l’epoca eccezionale: la trasvolata delle Alpi. Proprio nel finale quando il trionfo era ormai a portata di mano era stato tradito dal suo aereo ed era precipitato. Era il 23 settembre, il pilota morì dopo una dolorosa agonia di quattro giorni all’ospedale di Domodossola.

Geo Chavez nasce a Parigi il 13 giugno 1887: è di padre peruviano e madre inglese e viene iscritto al consolato del Perù come Jorge Chavez Dartell.  Al battesimo, il nome spagnolo viene francesizzato in George, da cui deriva il diminutivo Geo. La sua è una famiglia di banchieri ma alla finanza preferisce  lo sport, lasciando invece gli affari al fratello: in una sorta di crescendo del rischio, passa dal calcio all’equitazione all’automobilismo, per approdare poi all’aviazione.

Quando pertanto nell’estate del 1910 il Touring  Club Italiano, in collaborazione con il Corriere della Sera e alcuni imprenditori lombardi, propose una sfida internazionale  per compiere il sorvolo delle Alpi con una “macchina più pesante dell’ aria”, Chavez fu il primo a iscriversi. Il "Gran Premio della Traversata delle Alpi" prevedeva che i partecipanti percorressero la rotta partendo da Briga, (città svizzera nell’Alto Vallese, ai piedi del Sempione)  sorvolando  il Sempione, Domodossola, Stresa, Varese arrivando infine a Milano-Taliedo, entro 24 ore dal decollo. Il primo premio era di centomila lire, ma non era certo il denaro che poteva spingere  Chavez  a una simile impresa.  Luigi Barzini, che lo conobbe proprio nei giorni della sfida, ci ha lasciato il ritratto di un giovane cameratesco ma serio, gioioso e ilare in compagnia, impegnato e concentrato nella sua attività: Barzini ricorda come il giovane aviatore ridesse di cuore assistendo allo spettacolo di due ubriachi che scendevano dal fianco di un monte, salvo poi gettarsi in loro soccorso.

“Era sempre di buon animo,sempre calmo, sempre gentile. Diventata grave e riflessivo soltanto quando pensava al suo gran volo imminente.  (…) Mi pare di rivederlo la mattina del volo, quando siamo andati insieme a visitare le valle oltre i colli del Sempione. E più tardi, quando si inerpicava insieme a Paulhan per studiare il vento. (…) Fu lì che egli decise: - Je Part! Il faut che je parte – (io parto! Bisogna che io parta!,)  mi disse salendo sull’ automobile di Paulthan per correre all’hangar.  Non l’ho più rivisto in piedi.” 

Chavez era un poi un pilota completo, che amava oltre al volo anche l’aereo, ovvero la struttura del velivolo, il motore di cui conosceva personalmente i segreti. Il suo aereo era un Bleriot XI, un monoplano come quello con cui, per l’appunto, Louis Bleriot aveva compiuto l’anno precedente la traversata della Manica: sicuramente notevole per leggerezza e manovrabilità, ma con un motore rotativo a pistoni di soli 50 CV.

Il 18 settembre le condizioni atmosferiche erano particolarmente favorevoli, ma per problemi sollevati dal governo cantonale vallese a causa di una ricorrenza religiosa non fu possibile effettuare la traversata. Le Alpi erano peraltro una assoluta incognita da un punto di vista aviatorio;  nessuno aveva esperienze precedenti per poter calcolare a quale sforzo sarebbero stati sottoposti le strutture e il motore degli aerei, che avrebbero dovuto volare per circa un’ora a quota elevata a temperature sconosciute e in mezzo a forti correnti di vento.  Dal 19 al 22 le condizioni sono proibitive e anche il 23 fa freddo e c’è un po’ di nebbia, anche se i venti non sono forti.  Dopo il sopralluogo di cui narra Barzini, Chavez è però deciso a partire.

L’aereo decolla dunque da Briga alle 13,29. Un frate, che vede per la prima volta un aereo in cielo, si getta in ginocchio a pregare. A Domodossola, dove è previsto l’arrivo,  ( era una tappa per giungere poi a Milano dove  attendevano le autorità organizzatrici, assieme al Corriere della Sera ) c’è una attesa febbrile.

E’ stato possibile ricostruire il percorso del Bleriot attraverso il grafico di volo, le indicazioni del barometro  aneroide che il pilota portava al collo, alcune testimonianze e le dichiarazioni, per quanto sconnesse, rese durante i giorni di agonia. A un certo punto, in vista del Gondo, è investito da fortissimi colpi di vento. “ Mi pareva – dirà a Barzini – di rimbalzare come una palla. Facevo salti di cinquanta, sessanta metri. (…) Mi sentivo portar via dal beccheggio. Pareva che l’aeroplano volesse sfuggirmi di sotto, era una lotta accanita. “

Alla fine di questa lotta, nella quale sicuramente l’aereo subisce qualche danno,  Chavez scorge la Valle dell’Ossola: vede da lontano un prato, una croce bianca, della gente …. La vittoria?

“ Lo indovinammo sul fondo del Cistella … vedevamo l’ apparecchio avvicinarsi a velocità inverosimile …. Duray  agita pochi metri innanzi la croce di Lorena bianca, una grande bandiera perché Chavez veda il proprio punto di atterramento …. Ma perché Chavez non si abbassa? A trecento metri dal campo finalmente scende con una picchiata vertiginosa. In un attimo è sopra di noi ed è proprio sopra la testa dei presenti che avviene lo schianto dell’apparecchio che s’abbatte trenta metri più in là, coprendo con i suoi rottami il corpo del trionfatore. Chavez aveva il viso insanguinato, l’occhio spaventosamente sbarrato, gemeva c’est terrible. “  Così testimonia un altro inviato del Corriere della Sera,  C. Rossani.

Inizialmente le condizioni dell’aviatore non sembrano gravissime, anche se ha il femore e la gamba sinistra spezzati. Ma secondo Barzini è’ lo shock del volo a ucciderlo: egli rievocava il suo volo con frasi deliranti: “ il motore, il motore, devo abbassarmi”…

Paralisi cardiaca in seguito a caduta di aeroplano . Un referto quanto mai vago; probabilmente morì di una paura radicatasi nel fondo del suo animo da dove non si poté estirparla; ma anche il suo trionfo rimane incancellabile.

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