Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
onti è più generoso di Paganini. Benché lo dica e nel contempo lo smentisca, lui sarebbe ben disposto a concedere il bis. Piuttosto complessa e affollata di dubbi, quanto di incognite è, invece, la strada che lo porterebbe (o lo farebbe rimanere) a palazzo Chigi.
A parte la sortita improvvida - da abbraccio mortale - del duo Fini Casini (ma i due non avevano litigato?) che, come è noto, hanno pubblicamente dichiarato di voler metter su - come se fossero degli impresari del mondo dello spettacolo - una compagnia di attori, un po’ professionisti un po’ no, e affidargli il ruolo di capocomico; la faccenda di un nuovo governo Monti è assai seria. Per certi versi direi quasi, oramai, ineluttabile.
I distinguo tra coloro che ne chiedono una riedizione sono molti e di natura diversa. La maggior parte dei politici (soprattutto coloro che approderanno alla Camera nel listino bloccato), è chiaro, vedono in Monti un’opportunità di sopravvivenza personale - che passi attraverso le larghe intese o meno - o un’occasione, come’ è nel caso di Montezemolo (che politico non è), di sdoganare finalmente e sotto un’insegna ben definita il suo ingresso tanto a Monte Citorio, quanto nei posti di comando che ancora gli mancano.
Quello che mi chiedo è se Monti sia d’accordo. Non di tornare a fare il presidente del Consiglio, quindi, ma di prestarsi a questo gioco che, è evidente, offusca la sua immagine tanto interna che internazionale. E’ abbastanza lampante , infatti, che molti tra i grandi veri “elettori” di Monti non hanno residenza in Italia. Le cancellerie di mezzo Mondo, gli asset della finanza internazionale sono addirittura più delusi e preoccupati della politica italiana, di quanto non lo siano i nostri elettori.
E non è un caso se è stato all’indomani della cena newyorkese con Obama, Soros e compagnia capitalista che il nostro tecno-premier si è detto disponibile ad un secondo mandato. Ma attenzione, ha detto anche con chiarezza: se le condizioni lo richiedessero. E le sue condizioni, non credo siano le stesse di Casini e Fini. Pensando ai due terzopolisti mi viene in mente quando ero bambino e il mio compagno di banco mi confidò di essersi fidanzato con lo più bella della scuola, solo che lei, venni a sapere più tardi, non lo sapeva!
Comunque sia, tanto più l’ombra di un Monti bis si proietta nel futuro, tanto più Bersani vede sfumare il suo “sogno del carbonaro”. Non solo la sua alleanza con Vendola mostra con maggior evidenza tutte le debolezze già viste in altre occasioni, ma il confronto politico, direi antropologico tra il segretario del Pd l’ex preside della Bocconi è oggettivamente tutto in sfavore del primo. Ma ragassi! E poi c’è la bega primarie che, seppure vedranno anche Vendola in lizza, rimangono pur sempre una grana tutta interna al Pd per un verso, e un motivo di ulteriore attesa nel prendere posizione da parte del centro destra per l’altro.
Se dovesse vincere Renzi, infatti, lo scenario politico generale muterebbe al punto da scombussolare i piani anche nel Pdl (montiani e non), tanto da poter oggi azzardare che la soluzione dell’accordo sulla legge elettorale, potrà avvenire solo al pronunciamento della disputa per la leadership del centro sinistra.
L’orizzonte di un Monti bis non ha convinto del tutto neanche Angelino Alfano. Ed è giusto ricordare, come ha fatto il segretario del Pdl, che per giungere legittimamente alla presidenza del Consiglio, la prassi, vorrebbe un’investitura politica e popolare.
Ma nel centro destra, a mio avviso, la questione ha molte e più sfumature. Non solo perché tra le sue fila, anche numericamente, ci sono più e più genuinamente convinti sostenitori di Monti di quanti non ce ne siano nel centro sinistra, ma perché nel quadro politico attuale, dando per buoni i sondaggi e immaginando che la guerra tra ex-aennini e ex-forzisti - di cui il caso Fiorito è solo la punta dell’iceberg - Monti e un governo di larghe intese è il più concreto argine, all’assai probabile caos che potrebbe uscire dalle urne, e alla possibile sciagurata vittoria elettorale dell’alleanza Pd-Sel.
E se la legge elettorale rimane l’attuale, a conti fatti, tale iattura ha buone possibilità di avverarsi in parlamento. Con quale legittimità, non è chiaro (il trenta per cento che diviene per magia maggioranza), ma ricordiamoci che Prodi mise su il suo sgangherato governo (dei cento e più tra ministri e sottosegretari) a dispetto dei numeri e, soprattutto, della logica politica, pur di sedersi, tutto tronfio, sulla poltrona di palazzo Chigi.
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