Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Disoccupazione giovanile italiana al 37%: una catastrofe per un’intera generazione. Eppure in altre parti d’Europa la crisi ha conseguenze diverse: secondo i dati Ocse il tasso di disoccupazione giovanile nella fascia 15-24 anni era pari al 51,2% in Grecia, al 48,1% in Spagna, al 51,1% in Italia al 35,9% e all’21,9% in Gran Bretagna; segue la Francia con il 21,8%; e solo all’7,9% in Germania.
Media UE 22,6%.
Sono in aumento i NEET (youth Neither in Employment nor in Education and Training), giovani che non sono impegnati né in percorsi di studio né in attività lavorativa. In Italia, come mostrano i dati del Rapporto sulla coesione sociale Istat (2011), i giovani NEET sono oltre 2 milioni, di cui 938 mila maschi e 1,17 milioni di femmine. Il 38 % ha un’età compresa tra i 20 e i 24 anni (800 mila giovani) ed il 14 % è di nazionalità straniera. Il 46% ha al massimo la licenza media, il 34% sono disoccupati e il 30% sono inattivi scoraggiati. Nel Nord i giovani NEET sono 660 mila (247 maschi e 362 mila femmine) mentre nel Mezzogiorno il loro numero sale a 1,2 milioni (564 mila maschi e 635 mila femmine).
Se il 35% di giovani in questo paese non trova lavoro, la colpa non può essere solo dello Stato che non mette in condizione di trovare un’occupazione, né la colpa può essere del giovane che magari non ha voglia di cercarla.
Nell’eterno dibattito tra giovani e lavoro si è davvero sentito di tutto: che il lavoro è un diritto garantito dalla Costituzione, che i giovani sono dei fannulloni, che cercano solo il posto fisso garantito da un giudice grazie magari all’art. 18. Si è anche detto che il lavoro c’è, basta saperlo cercare, basta sapersi impegnare anche se all’inizio della carriera il lavoro può essere umile , faticoso e demotivante.
La verità, come spesso succede, sta nel mezzo: c’è chi cerca occupazione e non la trova perché non c’è, e chi preferisce restare a casa con i genitori perché è più comodo.
Pensiamo ad anni bui e difficili come gli anni 70 quando la situazione non era migliore, anzi, poi negli anni ’80 (seconda metà) l’Italia ha avuto il coraggio di scommettere sui giovani e ha trovato nuovi settori nei quali investire: basti pensare al settore della moda e del terziario, e poi grazie ad una nuova generazione che ha sfruttato queste nuove prospettive il nostro paese ha vissuto un ultimo periodo di grande boom e oggi sono settori importantissimi della nostra economia.
Attualmente la valorizzazione del territorio e il settore digitale potrebbero essere strade percorribili.
Forse a bloccare i giovani può essere stato il mercato che si è fatto sempre più duro e competitivo.
Ogni anno si immettono nel mondo del mercato 40 milioni di persone che hanno fame e che sono disposte a fare qualsiasi lavoro; ciò è dovuto alla globalizzazione ed è uno dei fattori della disoccupazione giovanile
Si può dire che in Italia il lavoro non abbonda ma c’è, però spesso i posti disponibili non corrispondono a quanto desiderato dai giovani.
Da uno studio di Confartigianato, elaborato dai dati del Rapporto 2010 Excelsior-Unioncamere, risulta che a fronte di circa 550mila nuove assunzioni previste in svariati settori, le aziende hanno difficoltà a coprire oltre 147mila posti, pari al 26,7% del totale.
Figure professionali che sembrerebbe – almeno dai numeri, nonostante la crisi economica e l’aumento della disoccupazione – nessuno voglia ritagliarsi addosso o per le quali non vi è una corretta formazione e informazione.
Ma quali sono i mestieri a rischio estinzione?
Mancano soprattutto installatori di infissi, panettieri, pasticceri, sarti, ma anche falegnami e cuochi.
“L’Italia – spiega Giovanni D’Agata dello Sportello dei Diritti – rischia di diventare da terra esportatrice di mobili d’alto artigianato, a paese senza grandi falegnami; paese della grande cucina, senza cuochi, o della moda senza sarti e quindi con il rischio di far sparire lentamente, ma inesorabilmente prodotti tipici che tutto il mondo c’invidia”.
Nel dettaglio, per quanto riguarda gli installatori di infissi: su circa 1.500 nuove richieste d’assunzione le aziende non ne riescono a reperire una percentuale pari all’83%, mentre per quanto riguarda i panettieri artigianali risulta difficile coprire il 39,4% dei 1.040 nuovi posti disponibili anche perché è un lavoro sempre faticoso specialmente per gli orari notturni, nonostante l’evoluzione delle tecnologie di panificazione.
Latitano il 21,9% dei 1.960 sarti e tagliatori artigianali richiesti dalle aziende.
Lo “Sportello dei Diritti” cerca di ripristinare la cultura del lavoro tramite la “Campagna nazionale di recupero dei mestieri tradizionali e dei lavori dimenticati” che avvicini i giovani alla professionalità già in età scolare.
E’dimostrato che un’alta percentuale di ragazzi si dedica o ambisce a lavori altrettanto faticosi rispetto a quelli artigianali ma spesso meno retribuiti.
I problemi sono di lungo periodo. In Italia il sistema occupazionale è colmo di stage che oltre a non garantire alcuna forma di retribuzione, spesso non permettono ai giovani nemmeno di acquisire le competenze auspicate; e di svariate forme di rapporti di lavoro che dagli anni Duemila si sono moltiplicate. Il risultato è un mercato che concede alle imprese di sperimentare, per non dire sfruttare, il lavoratore, giovane e adulto, attraverso contratti discontinui e scarsamente retribuiti.
Non va meglio per i giovani che svolgono il praticantato: gli ordini professionali dovrebbero prevedere una “congrua” retribuzione ai praticanti. Invece nella maggior parte dei casi questo periodo è a totale carico della famiglia di origine del praticando.
Non trascuriamo il fatto che le prospettive di accesso alla libera professione poi non sono così scontate, sia per la saturazione presente in alcune professioni (basti pensare all’elevatissimo numero di avvocati in Italia) sia per le difficoltà che anche molti professionisti oggi incontrano nell’attività di consulenza a causa della crisi.
Il comportamento delle imprese verso i giovani è legato, come rileva il sociologo del lavoro Emilio Reyneri, a stereotipi che rappresentano i giovani come “poco produttivi”. Questa idea, osserva Reyneri, è causa ed effetto di quella che in letteratura economica è definita “discriminazione statistica”, che implica che la valutazione del lavoratore avvenga a prescindere dalle competenze personali dello stesso lavoratore e sulla base, invece, delle ipotetiche caratteristiche del gruppo al quale quest’ultimo appartiene.
Le imprese italiane, nonostante il periodo di prova presente in tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro, da almeno un decennio, utilizzano prevalentemente tipologie contrattuali che hanno un tempo definito: stage, contratti di somministrazione, contratti a tempo determinato, partite iva, apprendistato, contratti di collaborazione e lavoro a progetto, solo per citare alcune forme di lavoro non a tempo indeterminato. Queste forme contrattuali, più che a testare la forza lavoro impiegata, sembrano più funzionali a rispondere all’incertezza permanente nella quale si muovono le stesse imprese. Si tratta, evidentemente, di un quadro di incertezza che in Italia ha iniziato a manifestarsi già nella seconda metà degli anni Settanta, quando il rialzo delle materie prime dovuto alle crisi petrolifere ha contribuito a produrre un’ampia ristrutturazione del settore industriale, ristrutturazione che si è accelerata negli ultimi anni.[1]
Una volta raggiunta la fascia d’età 15 – 24 anni si dovrebbe maturare l’idea che nessuno ti regala una bella casa e un ufficio tra i quali fare quotidianamente la spola in giacca e cravatta e magari su un auto di lusso. La realtà è sotto gli occhi di tutti: il debito pubblico generato dagli sprechi passati è il muro contro cui ci dobbiamo scontrare continuamente.
I numeri parlano chiaro: l’unico margine di manovra possibile per cambiare le cose nel breve periodo è quello di lavorare sulla mentalità: non avere pregiudizi verso alcun lavoro e aver voglia di investire il proprio tempo per adattarsi e rendersi funzionali verso qualsiasi possibilità di lavoro pervenutaci.
La situazione attuale è frutto di sprechi e sbagli della generazione precedente per la quale noi giovani eravamo poco più di un pensiero, ma non per questo si ha il diritto di crogiolarsi in questo decadimento.
[1] IL BO, il giornale degli studi universitari di Padova, Disoccupazione giovanile: è un problema che viene da lontano, Tania Toffanin
Inserito da pietro46 il 05/10/2012 00:58:21
Parlo solo per il settore alimentare.Chi di dovere invece di "lacrimare"neanche fosse una Madonna,si adoperi per assicurare 1.200 euro netti,un monolocale a basso prezzo,magari facendo ristrutturare qualche "cattedrale nel deserto"tipo qualche carcere edificato ma mai utilizzato(forse per potersi lamentare del sovraffollamento delle carceri e poter invocare un'indulto o un'amnistia o aspettare la costruzione di altri nuovi per il ri-circolo delle tangenti)),o qualche caserma da dismettere non essendoci più naja e magari facendolo ristrutturare dai tanti nullafacenti, ma a "scrocco" degl'Italiani(vedi immigrati con diritto d'asilo già inquinati dalle usanze italiche)e proviamo a vedere quanti rimarranno ancora negli istituti professionali a "vegetare" o se triplica l'emigrazione dal sud verso il nord richiedente tali qualifiche.Anche perchè una minima contribuzione ripaga l'investimento.Pagheranno tasse,contributi ecc ecc. Come mai in Francia ai licenziati della renault vengono fatti,con l'avvallo delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori stessi,corsi di formazioni per "agricoltura biologica",impensabile in Italia?A già:diritti acquisiti...come le bi e tri pensioni dei signori del potere.Se la conclusione è che "la situazione attuale è frutto di sprechi e sbagli della generazione precedente",non rimane che la piazza...giornalmente,settimanalmente,mensilmente...Gandianamente o no a voi la scelta.Da noi tanta solidarietà.
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