Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Nel centrodestra scoppia la “manifesto-mania”. In attesa di capire quali saranno, alla fine, gli orientamenti di Silvio Berlusconi (Si ricandida ? Fa un passo indietro ? Ne fa uno di lato?) il PdL è percorso dalla guerra dei “manifesti”, lanciati, con piglio non proprio marinettiano, da vari ambienti interni al partito di Via dell’Umiltà.
C’è quello dei neo-conservatori (“Manifesto per il bene comune della Nazione”), capitanati da Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliarello.
Ci sono i “formattatori” con il manifesto “Italia chiamò”, sottoscritto da vari sindaci di centrodestra. C’è la preannunciata iniziativa di impronta liberal-socialista, a firma Fabrizio Cicchitto e Renato Brunetta.
Anche l’ex ministro Giulio Tremonti ha proposto le sue ricette, seppure in chiave antiberlusoniana. Proliferano le liste para-civiche d’origine pidiellina. Altri “manifesti” sono all’orizzonte, magari ispirati dai cosiddetti “pionieri” di Forza Italia, pronti ad evocare la rivoluzione liberale tradita e la “discesa in campo” del ’94.
Tra tante proposte “di contenuto”, tutte rispettabili per quanto spesso troppo generiche, permetteteci qualche considerazione “di metodo”.
Intanto a chi sono rivolte queste “proposte” ? A chi si vuole rivolgere, oggi, il centrodestra ? Chi vuole rappresentare? Su quale “base sociale” intende costruire le proprie politiche? Un richiamo “di principio” alla famiglia, alla sicurezza, all’efficienza, al merito rischia di dire poco al cittadino-elettore, se poi questi richiami non trovano concreta espressione, se non si materializzano in proposte realizzabili, in convinte campagne politiche.
E qui veniamo alla seconda questione “di metodo”. Finché i “manifesti” provengono da sodalizi intellettuali o centri studi autonomi, cioè non politicamente controllati, essi hanno una loro legittimità di fondo. Ma quando a scrivere e a sottoscrivere certe proposte sono gli stessi che avevano, fino a ieri, responsabilità di governo ed ancora ricoprono ruoli politici apicali all’interno del Pdl, qualche dubbio sull’opportunità di certe uscite – scusateci la franchezza – viene.
Di “manifesti”, di buoni propositi sono già zeppi gli archivi. Non è – del resto - una novità che ogni qualvolta i partiti, tutti i partiti, a destra e a sinistra, abbiano avuto problemi di ruolo e di consenso, il richiamo ai contenuti, il lancio dell’immancabile “Conferenza programmatica”, l’appello ai valori è apparsa come l’estremo salvagente da lanciare ai naufraghi delle proprie, rispettive politiche.
Oggi però la questione, sul versante del centrodestra, è un po’ più complicata. In discussione – per voce dello stesso Berlusconi – c’è una leadership, una classe dirigente, un apparato. Al centro del confronto non c’è solo una linea politica ma la stessa esistenza del PdL, mal sopportato, ai vertici, da alcuni, considerato come un’inutile zavorra da altri. E tutto questo in un contesto di grave confusione dell’elettorato e di gravissima crisi sociale ed economica, crisi che, proprio per la sua eccezionalità, richiederebbe assunzioni di responsabilità e proposte non banali.
Di fronte a questi scenari, i “manifesti”, con la loro brava elencazione di buone intenzioni, spesso già lette, lasciano un po’ il tempo che trovano, laddove da una classe dirigente di partito si richiederebbero iniziative più forti di presenza politica sul territorio, chiari indirizzi di moralizzazione interna, reale volontà di selezione di un nuovo ceto politico, autentica volontà di mobilitazione/coinvolgimento degli iscritti/elettori, chiare indicazioni sulle “primarie”, più volte auspicate, mentre le elezioni (amministrative e politiche) sono dietro l’angolo.
I “manifesti” appaiono insomma come i classici “pannicelli caldi” su un corpo malato, che richiede ben altre cure ed attenzione, pena la sua scomparsa.
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