Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Gian Arturo Ferrari, «Corriere della sera», 8 dicembre 2013
Alla fine del «Signore degli Anelli», dopo che Sauron, l’oscuro Signore di Mordor, è stato annientato e con lui, con il male assoluto, è scomparso il suo regno di tenebra, anche gli Elfi, creature di luce, lasciano la Terra di Mezzo, si ritirano dal mondo. Tolkien — un uomo sottile e complicato, l’autore meno politicamente corretto della sua epoca — non raccontava favole ed era quanto mai alieno dal genere che oggi viene puerilmente denominato fantasy. Cercava e diceva la verità, la sua verità. Come la dicono gli scrittori naturalmente, attraverso l’invenzione e la libertà creatrice.
Pensava che la vittoria del bene avesse sempre un lato malinconico, quasi dolente, che fosse anche una perdita. La sconfitta del male implica l’evanescenza di coloro che quel male hanno combattuto. Sia nel senso, molto semplice, che quelle figure eroiche scompaiono. Sia nel senso che il mondo migliore che hanno contribuito a creare non richiede più la loro presenza proprio perché, grazie a loro, è diventato migliore. Sia infine perché anche gli eventi più tragici e le cause più nobili sbiadiscono nella memoria, cosa che ci rattrista. Ma insieme la tremenda ferocia del passato viene, per fortuna, dimenticata. E questo, viceversa, ci conforta.
Delle supreme malvagità del Novecento (ma anche l’Ottocento coloniale non aveva scherzato affatto...), l’apartheid è stata la più gretta, la più tignosa e per certi versi la più schifosa, condita com’era di rispettabilità, di decoro piccolo borghese, di difesa untuosa dei valori occidentali. Un’iniquità biblica. Senza neanche il teatro straccione e sanguinario del Ku Klux Klan (le croci di fuoco e le cavalcate notturne), ma al suo posto con il puntiglio impiegatizio del Paese, il Sudafrica, che può vantarsi di aver inventato i campi di concentramento.
Per le giovani e giovanissime generazioni, che trovano del tutto normale avere un presidente degli Stati Uniti nero, l’idea di un mondo in cui gli uomini erano ontologicamente diseguali e una loro parte era classificata per legge come più prossima agli animali, è remota quanto il feudalesimo del Medioevo o i sacrifici umani dei Maya. Ma così è stato fino a pochissimi decenni fa e se tutto ciò ci appare oggi tanto lontano lo si deve, oltre che alla voracità del nostro tempo che si avventa sul futuro trangugiando il passato, alla totale e definitiva vittoria della causa alla quale Mandela ha dedicato l’intera vita.
Mandela, come tutti i suoi simili — da Gandhi che scoprì la non violenza a Roosevelt che per sconfiggere il male esercitò la massima violenza —, lascia infinite eredità. Di metodo, con il rifiuto del leninismo come tecnica della presa e dell’esercizio del potere. Di contenuto, con quella novità assoluta che è la teoria della pacificazione e del perdono, cioè delle rivoluzioni senza ghigliottina. Di stile, con quell’amore ostinato per le cose comuni della gente comune (ah, quei camicioni...). Ma l’eredità principale e più preziosa, quel che ci ha detto e che continua a dirci, è che la storia ha un senso. Il che sembra per un verso un’ovvietà e per un altro in contraddizione con molto di quel che ci accade intorno.
Si può essere tostamente reazionari e asserire che nulla è cambiato, nulla cambia e nulla cambierà mai. Si può essere superficialmente cinici e irridere alle sorti progressive. Si può essere angosciati come Benjamin e guardare atterriti all’Angelus Novus che ha nelle ali il vento della storia, ma la testa volta all’indietro. Mandela, con la sua umiltà e la sua scarsa propensione alle teorie, ma con la forza d’animo che non l’ha fatto deflettere di un millimetro in decenni di carcere, ci dice che alla fine c’è un saldo positivo, un progresso netto.
Alcuni orrori — non tutti certo, non quelli nuovi che l’inesauribile creatività umana non mancherà certo di sfornare — ma alcuni pochi, almeno quelli, sono stati sconfitti, sono scomparsi, non torneranno più. Mandela, semplice e luminoso, l’ultimo dei grandi Elfi, si allontana dalla Terra di Mezzo, dal nostro mondo. Inizia, come dice Tolkien, l’età degli uomini. Ossia, dopo gli eroi, degli uomini normali. La nostra.
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