Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Militari in Libano
Questione di punti di vista. Anzi di osservazione. Se dal Libano del Sud volgi lo sguardo oltre la Blu line, tracciata dell’Onu e controllata dall’Unifil, vedi la Palestina, non Israele. Secondo il pensiero corrente sul meridiano di Beirut Gerusalemme occupa la terra di altri. Se sei dall’altra parte della barriera metallica e stai calpestando la terra dei figli di Davide, scrutando l’orizzonte verso nord, prima vedi i caschi blu dell’Unifil, in particolare i soldati del contingente italiano, e poi il Libano. Una fastidiosa presenza, secondo il pensiero degli israeliani, che hanno provato più volte a invadere e sottomettere. Altrettanto fastidiosa e fuori luogo la presenza degli israeliani sul territorio palestinese, secondo i libanesi. Ecco, volendo fare un Bignami della storia di questo angolo di Medio Oriente, tanto importante quanto costantemente accesso e surriscaldato, potremmo giocare su questo visto da destra e visto da sinistra per provare a rendere un idea di ciò che si percepisce stando nel mezzo, ovvero con i soldati italiani dell’Unifil. Ma sarebbe comunque una riduttiva interprestazione di una già ridotta lettura dei fatti. Perché fra i Israele e Libano non si tratta più di una questione di punti di vista, ma di metri. Centinaia o migliaia poco importa, il dato fondamentale è che nessuno riconosce all’altro il diritto di occupare ciò che sta occupando attorno alla blu line. Certo, questa è la storia complessa e, a tratti, incomprensibile di quest’area del mondo, capace di occupare interi capitoli dei libri di testo, ma che non trova mai una sua definizione stabile, accertata e accettata dalle parti in campo. E’ un po’ come se le parole venissero scritte sull’acqua. E proprio per evitare che tutto prosegua senza una sorta di limite, come se la storia fosse finita in una lavatrice senza un programma definito, i militari italiani al servizio dell’Unifil stando provando a fornire a libanesi e israeliani l’inchiostro e la carta per fissare le parole che non riescono a dirsi. L’impegno non è affatto facile, considerato che la politica di casa nostra, avvitata su se stessa e avvinta come l’edera al proprio destino, al punto da non riuscire più ad alzare lo sguardo oltre la siepe, sembra aver perso la percezione di che cosa stia avvenendo qui. E un po’ come se i nostri militari fossero stati inseriti all’interno di War game e l’Onu avesse in mano i gettoni. Quello che si gioca in Libano, a due passi da Israele, non è affatto un gioco, ma un esercizio sul filo del trapezista fra politica e azione militare. Della quale la nostra politica estera sembra aver perso la visione completa. Certo, Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli, in questo frangente, sono due fronti caldi, anzi caldissimi. Ma è impensabile che il destino di questi soldati, sempre più preoccupati da quanto avviene a Roma – ”e se cade il governo che succede? Che ne sarà delle missioni?”, si chiedono in tanti – possa restare fuori dal quadro generale. Forse il Libano dovrebbe essere meno lontano dagli occhi e poiù vicino al cuore. Anche a costo di offrire risposte intermedie, che è sempre meglio che nulla. Pur essendo anche questa una questione di punti di vista.