Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Ragazza con orecchino di perla di Vermeer
Le mostre rigorosamente tematiche, come quella organizzata alle Scuderie del Quirinale su “Vermeer e il secolo d’oro dell’arte olandese”, oltre allo scrupolo scientifico ed alla coerenza nella scelta delle opere da esporre, devono fornire spunti di riflessione e suscitare emozioni nei visitatori.
Sotto questo profilo, la rassegna del Quirinale raggiunge lo scopo, rendendoci l’immagine complessa di una nazione agli albori, e lo fa non già ritraendo i potenti della Politica, della Chiesa, delle Armi, bensì attraverso lo spaccato di tante esistenze private, ritratte dai pittori contemporanei, che preferirono dipingere i personaggi della realtà domestica, a scapito di quelli mitologici o paludati.
Di Vermeer abbiamo letto molto, da quando un fortunato film di Peter Webber, La ragazza con l’orecchino di perla, ispirato all’omonima tela del Maestro di Delft - impersonato da Colin Firth e con Scarlett Johansson nei panni della protagonista femminile - ce ne ha illustrato la vita breve (morì a 43 anni), la produzione artistica numericamente scarsa ma artisticamente vicina alla perfezione, i tormenti discreti (soprattutto di natura economica e familiare).
Qui basterà ricordare la sua abiura della Riforma, in occasione delle nozze con la rampolla di un’abbiente famiglia cattolica, nel contesto di una società calvinista appena uscita vittoriosa da una delle guerre di religione che caratterizzarono quel periodo e che segnò, fra l’altro, l’indipendenza della futura Olanda, allora cuore delle “Province Unite” e nascente potenza marittima e commerciale. Se si pensa che Vermeer, dopo la conversione, non ebbe problemi con i suoi concittadini - nella stragrande maggioranza, protestanti – e che rivestì addirittura cariche pubbliche, si possono cogliere i prodromi di quella tolleranza che anche oggi contrassegna l’Olanda.
Sappiamo meno, invece, non solo delle correnti pittoriche dominanti nel paese, ma dei suoi costumi e della sua storia, che pure ha avuto un’influenza non trascurabile su quella dell’intero Continente, che ancora fatichiamo a unificare politicamente. Ebbene, la mostra ci consente di acquisire nozioni e consapevolezze destinate a restare – e magari ad essere sviluppate e a dare frutti – anche dopo il fisiologico svanire delle emozioni innescate dai quadri esposti.
Ad esempio, in materia di religione, i dipinti di Hendrick van Vliet (Interno della Nieuwe Kerk a Delft) e di Emanuel de Witte (Interno della Oude Kerk di Amsterdam) ci mettono sotto gli occhi il contrasto fra una spiritualità disadorna, privata di ogni supporto antropomorfico nel suo afflato verso il divino e perciò stesso “difficile”, e la sua capillare, profonda recezione nel quotidiano, attraverso costumi austeri e frugali, pur nella aurorale prosperità (si veda, ad esempio, un dipinto come Ritratto di famiglia in un cortile a Delft, di Pieter de Hooch). Gli interni di quelle cattedrali calviniste mettono allora in evidenza le spoglie strutture architettoniche e le insegne – umane, troppo umane – delle famiglie di notabili, tanto che proprio in questi luoghi sacri è possibile intravedere l’avvio del processo di secolarizzazione, poi intensificato dal successo della borghesia mercantile (senza contare la presenza, in tutte le chiese ritratte, di cani che gironzolano liberi e – perfino! – che pisciano contro le colonne).
Ritratto di famiglia in un cortile a Delft, Peter de Hooch
Così, non è un caso se, fra le 36 opere attribuite a Vermeer – di cui 8 esposte alle “Scuderie” – si contano sulle dita di una mano quelle di soggetto religioso o biblico (ad esempio, la giovanile “Santa Prassede”, ispirata all’identico soggetto dipinto da Felice Ficherelli, suo contemporaneo fiorentino).
Lo stesso approccio simbolico – più sul filo della metafora “laica” che non su quello del Simbolo vero e proprio, di natura sacrale - viene utilizzato da questi Maestri per dare mistero e “profondità” ai quadri di vita quotidiana degli interni borghesi: si vedano il ritratto di Ufficiale che scrive una lettera, di Gerard ter Borch, dove sul pavimento occhieggia una carta da gioco con l’asso di cuori, allusivo dell’argomento trattato nella lettera, oppure i ricorrenti planisferi e le mappe che fanno bella mostra di sé nelle case di eleganti signore e di agiate famiglie, tanto per ricordare le imprese dei grandi navigatori olandesi e degli esponenti della Compagnia delle Indie, protagonisti di questo “secolo d’oro”.
E questo fu anche il tempo della “nuova scienza”, che fa tramontare quella “tolemaica”, come illustrano i frequenti ritratti di astronomi – uno importante si deve anche a Vermeer – come l’Astronomo al lume di candela, di Gerrit Dou, che figura tra le opere in mostra.
Ma parliamo delle case, e soprattutto dei loro interni, dato che la pittura en plein air è di là da venire e che gli esterni vengono, per lo più, ritratti a memoria (si veda la celebre Stradina di Vermeer, qui esposta). Si resta ammirati, di fronte al gioco delle fonti di luce e dei volumi, all’incrocio delle prospettive, perfino alla meticolosa riproduzione – a volte compiaciuta – delle pieghe degli arazzi o dei tappeti turchi alle pareti o sulle tavole o di quelle dei raffinati abiti in velluto o in satin delle dame intente a leggere o scrivere lettere o a suonare strumenti musicali.
La stradina, Vermeer
E se è vero che il realismo di questi ritratti non arriva al punto di farci sentire gli odori della casa – il cucinato, le liscivie, le lavande – di fronte alla frequenza con cui vengono dipinti concerti, cantate familiari e strumenti musicali, di cui ogni dimora che si rispetti è dotata (lo ha potuto constatare di persona chiunque abbia avuto l’occasione di visitare, ad Amsterdam, quella della famiglia Geelvinck), sembra quasi di sentir riecheggiare le note di Frescobaldi o di Monteverdi. Si vedano, di Vermeer, Giovane donna in piedi al virginale (sorta di spinetta da tavolo) o, di Jacob Ochtervelt, Il concerto.
E a proposito di lettere, vale la pena di sottolineare una ulteriore nota comune di questi Maestri: si ha l’impressione che i protagonisti occulti di queste tele siano esterni ad esse, invisibili, attesi. E’ a questo che alludono gli sguardi di quelle giovani donne (maritate? Nubili?), rivolti allo Spettatore ignoto, che le ammira nei secoli: si veda, in particolare, Giovane donna con bicchiere di vino, di Vermeer (il vino, altra presenza ricorrente e metaforica, sta a rappresentare un veicolo di seduzione tra i più efficaci); mentre il corteggiamento si fa esplicito in tele come La visita o Due soldati e una cameriera con un trombettiere, di Pieter de Hooch, e a volte non esente da un sottile erotismo, come ne La visita del dottore, di Frans van Mieris. Avvisaglie di un’Europa galante, i cui esiti più espliciti si possono osservare nell’Olanda di oggi, con i suoi costumi disinibiti.
In un momento di crisi della coscienza europea, ecco dunque un modo intelligente di conoscere quella che, scetticismi o meno, è la nostra grande casa comune, senza necessità di allontanarsi dalle pareti domestiche.
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