Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
icuramente questa non è un’epoca di santi e neppure di imperatori, anzi neppure di re: quei pochi che ci sono rimasti, con qualche rarissima eccezione, contano meno del due di picche se non sui rotocalchi dove si divertono a fare concorrenza a divetti e attricette, badando più ai quarti … da esibire in spiaggia (o luoghi similari) che non a quelli di nobiltà. Che senso ha dunque, quando persino il popolo “sovrano” (dato ma non concesso che mai lo sia stato per davvero e che tale sovranità sia possibile e soprattutto auspicabile) ha abdicato in favore degli oscuri signori della finanza internazionale, ricordare un imperatore?
E che imperatore, poi. Carlo I, per grazia di Dio imperatore d’Austria e re apostolico d’Ungheria: così cominciava il suo lunghissimo titolo, che è stato per l’ultima volta recitato (anche se nella versione per l’arciduca ereditario) appena lo scorso anno davanti al portone della Cripta dei Cappuccini a Vienna, proprio per suo figlio, Otto d’Asburgo Lorena, scomparso nel luglio del 2011 a 99 anni e inumato con la spettacolare, sublime e commovente cerimonia riservata ai sovrani di quella che era l’ultima reliquia del Sacro Romano Impero.
Si tratta dunque di cose di cui, ora che anche gli stati nazionali che vollero la dissoluzione della stessa idea di impero stanno per cedere il passo a entità dove l’unica legge è quella del dio uno e quattrino, può sembrare inutile parlare , a meno che non si tratti di questioni puramente storiche. E può fare ancor di più sorridere che proprio nella laicissima, sinistra e massonica Firenze si tenga domenica 21 ottobre (ore 18) una messa in onore del Beato Carlo d’Austria , nella bellissima chiesa dei Santi Michele e Gaetano posta in piazza degli Antinori; una celebrazione solenne in Rito Romano Antico (niente chitarre o disco –messe, almeno per un imperatore!), curata dall’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote: Carlo d’Asburgo fu infatti proclamato beato nell’ottobre del 2004 da Giovanni Paolo II e la ricorrenza viene per l’appunto celebrata il 21 ottobre.
Ma cosa c’entra Firenze? Molto più di quanto si pensi . Intanto Firenze è la patria di Dante, l’autore che forse più di ogni altro celebrò, nel de Monarchia e nella Commedia, la più bella e appassionata apologia dell’impero come istituto provvidenziale, voluto da Dio per un corretto vivere civile; ma anche da un punto di vista laico, Dante vede nell’impero la sola e unica istituzione che si curi del Bene Comune e che sia, soprattutto, al di sopra delle parti. Non solo: anche il poeta esule ebbe il “suo” imperatore, l’alto Arrigo, quell’Arrigo VII di Lussemburgo in cui l’Alighieri confidava per riportare ordine in una Cristianità, e soprattutto in un’Italia, squassata dai disordini, dalle lotte civili e dalla profonda avidità di denaro e di potere che non risparmiava neppure la Chiesa. E fra questo imperatore cavalleresco e nobile e il suo ultimo successore si possono vedere alcune analogie: entrambi sovrani cristiani e nobilissime figure, entrambi dediti alla loro causa più che alla vita e soprattutto destinati ad essere traditi. Oltre a questo, Firenze e la Toscana sono la terra in cui la famiglia di Carlo, gli Asburgo Lorena, raccolse degnamente la nobile e splendida eredità di casa Medici e fece della Toscana uno degli stati più civili d’Europa.
Ma sarebbe sbagliato vedere nell’omaggio all’ultimo imperatore d’Austria un qualcosa di puramente devozionale. Nell’Europa di oggi la civiltà cristiana sta scomparendo non solo sul piano religioso ma anche e soprattutto sul piano culturale, sostituita da un mondialismo che, fingendo di accettare e legittimare tutte le culture, fa in realtà in modo che esse si elidano a vicenda e soprattutto che manchi qualsiasi radicamento, qualsiasi identità o senso di appartenenza. Quando in epoca romantica il grande poeta tedesco Novalis scriveva sulla rivista Athenaeum il saggio La Cristianità ovvero l’Europa, non parlava affatto da credente ma sul piano della storia e dell’identità. Inoltre – e qui sta il punto nodale e centrale –Carlo non fu “imperatore cristiano” solo per la sua pur eccezionale fede personale (il che non significa peraltro che fosse un monarca di tipo “teocratico”) ma anche per la sua condotta, per il suo intendere la sua carica come servizio degli altri, soprattutto degli ultimi.
Salito al trono in un momento terribile e difficilissimo, nel novembre 1916, mentre l’Europa stava dilaniandosi nella “inutile strage” del primo conflitto mondiale, Carlo succedette tra l’altro a un imperatore entrato nella leggenda già da vivo, il prozio Francesco Giuseppe, che peraltro aveva molta più fiducia in lui che non nello sfortunato Francesco Ferdinando, morto assassinato a Sarajevo. Come ricorda un suo biografo d’eccezione, lo storico inglese Gordon Brook Shepherd, neppure i nemici poterono negare a Carlo l’appellativo di imperatore della pace : sin dal primo giorno del suo purtroppo breve regno, egli si adoperò in ogni modo possibile (purché dignitoso: non avrebbe mai accettato soluzioni badogliane stile otto settembre) per far cessare la guerra o perlomeno per trarne fuori il suo impero; e va ricordato che I suoi tentativi per avviare trattative di pace cominciarono proprio nel momento in cui l’Alleanza austrotedesca raccoglieva i suoi successi più significativi. Sul piano politico, invece dell’improponibile trialismo tedesco slavo magiaro di Francesco Ferdinando, Carlo auspicava una trasformazione in senso autenticamente federale del suo impero multinazionale, con un notevole anticipo sui tempi.
Sin dallo scoppio del conflitto, nel 1914, Carlo sebbene principe ereditario fu sempre in prima linea , rivelandosi tra l’altro anche un abile stratega e contribuendo a importanti successi; ma le rovine e gli stermini di quegli scontri, pur se vittoriosi, gli erano insopportabili. Come ricorda Paolo Mattei in un bellissimo articolo[1]: “ Nell’agosto del 1917, al termine dell’undicesima battaglia dell’Isonzo, il fotografo di corte Schumann vide Carlo piangere davanti ai cadaveri carbonizzati e dilaniati, e lo sentì sussurrare: "Nessun uomo può più rispondere di questo davanti a Dio. Io faccio punto, quanto prima possibile". In Austria — e dovunque in quasi tutta Europa — c’era penuria di viveri; la povertà, la fame e la morte erano le vere vincitrici di quel conflitto. Carlo lo sapeva, e ridusse al minimo il tenore di vita nella sua casa, dove lui e la sua famiglia si nutrivano con le razioni di guerra. Al comando supremo di Baden, Carlo rifiutò il pane bianco facendolo distribuire tra i malati e i feriti e, davanti ai suoi ufficiali confusi, mangiava tranquillamente pane nero”
“Nulla mi è stato risparmiato su questa terra” esclamò Francesco Giuseppe sembra in più di una occasione, durante la sua lunga e non certo felice esistenza. Invece quello che fu risparmiato a lui si abbatté sulle spalle del giovane e sfortunato successore: la sconfitta e la dissoluzione del suo impero, l’esilio, un tentativo di restaurazione in Ungheria fallito per vile tradimento, quindi l’esilio definitivo e la morte a Funchal, nell’isola portoghese di Madeira dove tutt’ora è sepolto, nella primavera del 1922 ad appena 34 anni. La sera del 27 marzo volle accanto suo figlio Otto, benché avesse solo dieci anni, anche se per pochi minuti: “ Povero ragazzo. Gli avrei risparmiato volentieri la visita di ieri. Ma era mio dovere chiamarlo, per l’esempio. E’ necessario che sappia in quale modo ci si comporta in simili situazioni, come cattolico e come imperatore”.[2]
Un santo per l’Europa, dunque: un ‘Europa i cui politici (quelli italiani in primis, ma non solo) sono sovente ometti o pescecani, ma il più delle volte solo laidi burattini. E dove si è perso soprattutto, insieme al resto il senso della dignità, del coraggio, dell’onore. Possa il Beato Carlo pregare, nonostante questo e proprio per questo, per lei e per noi.
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