Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Umberto Croppi ha scritto della sua esperienza di assessore alla cultura capitolino. Lo ha fatto diverso tempo dopo lo strappo con il sindaco Alemanno che su di lui si era a lungo basato.
Perché parlarne ora, a 20 mesi e passa dall’epoca del rimpasto di giunta che espulse Croppi? Come anticipando il lettore, l’autore nel prologo delle istruzioni per l’uso, nella casella mette vari motivi, con le mani avanti dato che in fondo nulla è cambiato nell’andazzo.
Una minimizzazione indicativa, come è indicativo che nel racconto si accenni appena alle accuse rivolte al sindaco di Roma di essere ultimo responsabile della mancata presentazione della lista regionale Pdl nelle elezioni del Lazio. Accuse che poi sarebbero ultima causa del rimpasto e che racconterebbero dell’avvio di una stagione di subalternità del primo cittadino romano al Pdl, cioè a Berlusconi, deinde a Monti.
Il titolo del libro avrebbe potuto essere Ricordi di un Assessore, Denuncia di un uomo non politico, e invece no; è molto più accattivante, Romanzo Comunale. Come se le vicende del primo Comune d’Italia fossero accostabili alla storia Criminale. Come se si trattasse del racconto di nostrani ragazzi missini della via Paal, che da piccoli e poveri diavoletti assurgano a grandi protagonisti del noir politico. Come se il Libanese fosse Rauti o Alemanno ed il Freddo fosse Fini. Il panni del Dandi calassero su Augello o Urso. Rampelli o Granata impersonassero il Bufalo. Il Terribile, vecchio boss non potrebbe che essere Storace e Bontempo, il Sardo, boss di Ostia. Così il ruolo di Patrizia e di Donatella – absit iniura verbis, toccherebbe alla Angelilli ed alla first lady capitolina.
Sarebbe il gioco di società della stagione trovare la corrispondenza per Zio Carlo, Scrocchiazeppi, Fierolocchio, i Buffoni, Gigio, il Nero, Trentadenari, Ricotta, i Gemito, il Sorcio, Nembo Kid, il Maestro, il Puma, Satana, il Secco, Ranocchia, il Vecchio e Don Mimmo. Non è così, però.
Non è un libro di Maltese, o di Giannini, o di Serra, non è Fai notizia o il Fatto. Superato il titolo, Romanzo Comunale è moderato e onesto come l’autore; addirittura specifica che uno dei protagonisti del racconto, Francesco Maria Orsi, un Piccolo o Visconti dell’epoca, coinvolto dalla cronaca del periodo trattato in vicende giudiziarie, nel frattempo è stato assolto.
Addirittura nel suo finale lascia aperta la porta ad una redenzione del Sindaco che potrebbe sempre fare in tempo a cambiare, addirittura.
La parte più gustosa è il concitato rimpasto di giunta, racconto gogoliano, applicabile ad ogni trattativa politica, anche fuori dalla partitica; ben rappresentativo delle trattative, dei pesi, dei contrappesi che si sbilanciano reciprocamente fra le esigenze personali, territoriali, nere, azzurre, bianche, sottocomponentische, consiliari, nazionali con il trionfo finale del Cicikov vicesindaco, il meno votato, il meno potentato, il meno dotato.
Dimostrazione che neanche con i tanto vantati superpoteri di sindaco in Italia ce la si fa. L’ilarità non può però nascondere la serietà del panorama bellico politico sul quale gli attori si muovono. Nel novembre 2010 Croppi scopre che Fini, da lui sempre osteggiato all’interno dell’Msi, è divenuto croppiano.
Lo segue, divenendo responsabile cultura del Fli. Ha scelto quindi con chi stare tra i due leader di centrodestra nello scontro bellico di dicembre, preparato da una sinistra in crisi di nervi che cerca tutti i metodi legali e non per defenestrare Berlusconi.
Il Cavaliere a sorpresa resiste, si garantisce un altro anno di calvario e Croppi, come già quando Rauti divenne segretario Msi, venendo meno ad accordi precedenti, si ritrova tra i perdenti.
Cacciato da piazza Campitelli, organizza un’assemblea dove le buone ragioni di una gestione competente si confondono con l’antiberlusconismo misto di destra e di sinistra. Ed è subito chiaro che dare alle stampe l’arrabbiatura avrebbe poco senso.
Oggi, invece, dopo che la ritirata del Pdl da Palazzo Chigi, ha determinato dopo un altro anno il crollo del Lazio e della Lombardia, ne vale la pena. Perché Alemanno, l’indeciso, il retromanno è in un fortino assediato, restando l’ultimo del Pdl con una forte presenza istituzionale di comando.
Ecco perché alla presentazione di Romanzo Comunale si è rivista l’assemblea mista destro-sinistra, a festeggiare l’autore, commendatore da un anno, l’uomo che ha chiuso la porta di Roma a Sgarbi ( e la porta di servizio a Borgna).
L’Espresso può ormai dare ragione a Lavitola e svergognare Fini, il cui 2% deve essere quanto prima incamerato a sinistra.
A Roma, no: l’apporto del Fli resta fondamentale per la futura vittoria di Zingaretti e Gasbarra. D’altronde Croppi è senza dubbio migliore di Fini. Fosse l’Umberto il leader Fli, ne farebbe una nuova formazione laica, fuori dalle divisioni destra-sinistra. L’ultima sua invenzione Roma si Muove, un blocco di referendum cittadini, mancati per 10mila firme, lo ha visto capitanare uno strano rassemblement di verdi e radicali.
Croppi ha vinto due campagne elettorali sul piano marketing, con Rutelli e Alemanno; ha vissuto la lotta congressuale dell’Msi, uno dei pochi partiti dalla vita interna estremamente democratica per poi essere eletto con i verdi. Per cui con spirito bipartisan, storicamente ed oggettivamente fuori luogo per il primo governo destro della capitale, non ha fatto spoil system.
Quando Veneziani ha fatto l’appello per tornare missini, si è subito defilato, dicendo chiaramente di non essere di destra, almeno nell’accezione italiana.
Allora chi è Croppi? A suo modo è un uomo della casta, della casta manageriale e meno politica; dimostrazione che anche nella casta ci sono i meritevoli. Lo si capisce dal suo stesso racconto, lungo elenco di buoni rapporti, di amicizie intessute, di collaborazioni franche fatte di stima reciproca e soprattutto di autoelogi sull’opera compiuta.
Chi non è della casta, vede i difetti e non riesce a stimarne gli autori, li accusa e li insulta. Chi non è della casta, però, o vince o sparisce perché nulla viene meno perdonato dell’attacco personale. Si può dire che la cucina fa schifo, ma il cuoco è sempre eccellente.
Eccedendo un po’ per compito d’ufficio nell’attacco al Sindaco, Croppi non gli riconosce nemmeno piazza San Silvestro ( e la nuova microlinea metro).
Ogni sindaco a Roma qualcosa lascia. Passata l’eco di roboanti Sistemi, restano la stazione Termini ripulita, il tunnellino, l’Auditorium e appunto la piazza.
Dopo l’attacco, però non chiude ai possibili miglioramenti. Croppi, a Piazza Navona nella sua Fondazione Valore Italia (l’esposizione permanente del Made in Italy e del Design, voluta da Urso) assieme al partner Arlecchino, sarà il cervello di nuove campagne elettorali.
Per chi? Per le destre o le sinistre romane? Forse con lui, Tea Party, 3L, Fermiamo il declino, Ali per la Sicilia, Zero positivo, Laboratorio Assergi, rottamatori ciellini-pavesi-leghisti, veneti, libertarians potrebbero essere liberati da tanti piccoli leader ed aspirare a raccogliere l’incredibile 20% del Pdl in libera uscita.
Più che fare il garante delle primarie, potrebbe essere l’organizzatore perfetto di un nuovo tipo di congresso, del congresso romano del Pdl, un partito nato acongressuale, maxime a Roma. Uno di quei colpi di scena da illuminare una platea convinta di aver visto già tutto. Molto meglio, di uno strapuntino tra un Gentiloni ed un Montino, con il rischio di finire defenestrato di nuovo magari da un Bonelli o un Boselli di passaggio.
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