Editoriale

L'addio di Berlusconi e il futuro del centrodestra

Primarie dopo le elezioni in Sicilia, e subito riforme della carta Costituzionale

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

erlusconi, dunque, ha fatto un passo indietro. Ma cosa significa veramente? Nulla e tutto. Nulla, perché  - in tutta evidenza - pur se fosse stato fermo sul posto, è stato il mondo a spostarsi, tutto, perché, comunque, in politica la comunicazione e i simboli se non sono tutto, sono molto. Quel che c’è da capire ora, è cosa accadrà nel centro destra. Si apre la stagione delle primarie, forse una fase prodromica alla normalità, forse un ritorno ad un passato, oramai remoto, fatto di anime sparse, probabilmente, invece, si compirà un nuovo rassamblemant più o meno variegato. Più o meno convincente, più o meno vincente.

Se si escludono, infatti, le proclamate pulsioni all’azzeramento, anzi alla “soluzione finale” del partito, provenienti dalle amazzoni berlusconiane (non totalmente prive di contenuti ma inquietanti tanto nei toni quanto nella proposta dal sapore sado-masochistica), buona parte delle maggiori personalità del Pdl, in testa Alfano e Schifani, e Alemanno anche, ora spingono per una costituente di centro destra che includa tutte le forze politiche alternative alla sinistra, i gruppi parlamentari, Mario Monti e i principali esponenti del governo tecnico, i movimenti e le associazioni della società civile, al fine di promuovere una vasta alleanza su basi metodologiche, organizzative e politiche condivise.

Culturalmente a me le primarie non convincono molto: mi sanno di parodia degli Stati Uniti, non sono nella nostra tradizione politica, checché se ne dica, non dimostrano una forza dei partiti, ma la loro debolezza strutturale. Però ora - nel centro destra - sono necessarie. Per certi versi rappresentano un’ultima spiaggia. Riaprono al dibattito, costringono a posizioni chiare, sono una cartina di tornasole utile per capire dove il nostro elettorato (ora attonito) guarda con maggiore interesse. Mi dispiace, però, che ancora una volta - così è stato per la nascita del Pdl (per nulla necessaria, come si è visto) - il nostro mondo rincorra metodologicamente quello di sinistra. Vorrei che nel centro destra si trovasse una via originale alle primarie. Onestamente non so quale sia. Ma non vorrei che diventasse una bagarre peggio di quella messa in mostra nel Pd.

Ci sarà, qualunque soluzione si adotterà, da affrettarsi perché appena le amministrative siciliane avranno dato il loro responso (qualunque esso sia, pur nella speranza che sia Musumeci il nuovo governatore), Alfano, (speriamo coadiuvato da un nuovo blocco di classe dirigente), dovrà assolutamente organizzare (entro la fine dell’anno) le primarie nazionali e locali, per scegliere nome e simbolo del nuovo partito, i candidati a Sindaco (Roma attende!), a Presidente di Regione e - infine - a Presidente del Consiglio.

Ma un'altra possibile partita dovrà, a mio avviso, essere contemporaneamente giocata: quella che prende in considerazione il ruolo del centro-destra in un’ipotetica “grande coalizione”. Non per essere per forza più realista di quanto la ragione dell’appartenenza richiede di essere, ma personalmente credo che, anche guardando nel versante di sinistra (il duello Renzi-Bersani, la strana alleanza con Vendola e variabili varie, compreso il peso dei grillini), il risultato elettorale più presumibile porterà a questa ipotesi.

E allora, mi chiedo, perché non lavorarci da subito, ponendo delle questioni concrete e qualificanti, come per esempio, la riforma della Carta costituzionale? A mio avviso spiegare agli elettori che una grande coalizione può divenire un momento di profonda e condivisa trasformazione del Paese, e di individuazione delle tanto richieste (e necessarie) nuove regole della politica, oggi sarebbe un argomento fortemente persuasivo e riporterebbe a destra il dibattito generale. Un’ammissione di consapevolezza degli errori da parte della politica certo, ma nel contempo anche di presa di responsabilità e di forza, di nuova capacità - insomma -  di auto-regolamentazione, che emanciperebbe i partiti dall’immagine di apparati stanchi e inermi.

Sul tavolo le proposte sarebbero molte. Molte le esperienze fin qui lasciate sul libro dei sogni e elencate nella lista delle buone intenzioni: si va dalla riforma per una Repubblica presidenziale alla, più modesta (ma non banale), riformulazione dell’art. 49, quello per intenderci che i padri costituenti (rammento che tra questi c’era anche quella volpe di Togliatti) hanno lasciato talmente vago e privo di regole (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”), che… ci siamo persi.

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