Editoriale

Accadde 90 anni fa, e... sembra oggi

Anzi no, oggi siamo messi peggio di allora e non accadrà niente di simile

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

erto, la tentazione, oggi più che mai, potrebbe esserci.  Facendo un parallelo tra 90 anni fa e adesso, sembra di trovarci a distanza non di un secolo scarso, ma di un millennio. Anzi neppure perché un millennio fa, nel cosiddetto medioevo, le energie dell’Europa si stavano ormai rimettendo in moto per portare al massimo apogeo quella civiltà di cui ormai restano solo squallide vestigia.

Ma non divaghiamo. 90 anni fa era il 28 ottobre 1922, un anniversario che sicuramente non troverà celebrazioni  “ufficiali”, ma al massimo qualche schifata denigrazione, magari anche da parte di chi non più tardi di un paio di decenni  or sono non disdegnava di fare una sosta a Predappio.

Si sta parlando, ovviamente, della marcia su Roma, e la tentazione potrebbe essere quella di dire: “Torniamo all’antico, sarà un progresso”.

Ma Mussolini per primo, da uomo pragmatico quale era, respingerebbe una tale tentazione. Anzi, diciamolo subito chiaro e netto: poche cose hanno fatto male alla Destra italiana come un certo tipo di nostalgismo, offrendo  tra l’altro  su un piatto d’argento  il pretesto agli “sfascisti” da Fiuggi in poi  per trasformare la destra in una cosa informe e senz’anima.

Il Fascismo, dovrebbe ormai essere chiaro, appartiene alla storia; questo perché le condizioni storiche e politiche dell’inizio del XX secolo, prima e dopo la tragedia del primo conflitto mondiale, ne spiegano i presupposti e l’affermazione;  insieme – senza dubbio – alla personalità straordinaria del suo fondatore, che riuscì ad emergere ad imporsi in mezzo ad altri personaggi carismatici di varie estrazione politica, da D’Annunzio a Gramsci a Nenni.  Basterebbe leggersi quel che Renzo de Felice scriveva a proposito negli anni  ’70: “ Un’altra indicazione ancora può essere quella che i nuovi studi sul fascismo, lungi dall’accettare ogni sorta di “parentesi” tendono a stabilire una continuità assai stretta tra molti aspetti della realtà fascista e di quella prefascista (e anche postfascista): ma in genere, con tutt’altro animus di quello che sosteneva la pubblicistica radicale: non per emettere facili e antistorici verdetti di condanna a senso  unico, ma per discernere le radici  remote del fascismo, comprendere perché si siano sviluppate in certe circostanze e non in altre e distinguere nella politica fascista cosa era tipicamente fascista  e cosa invece, non era che il portato dei tempi, la conseguenza (a volte sana, a volte patologica) della trasformazione di una società a limitata partecipazione in una società di massa. [1]

Quando si tratta di De Felice, quasi nessuno adesso osa contestarlo apertamente, ma si preferisce sovente far finta che neppure ci sia stato e adagiarsi nel vecchio adagio crociano del fascismo come malattia morale,  al quale sembra sostanzialmente rifarsi anche l’impostazione di Emilio Gentile. 

Il problema comunque non è solo di interpretazione, quanto per una volta riuscire a parlarne in termini oggettivi e spassionati. Questo non significa necessariamente “rivalutare”. De Felice non ebbe mai intenzioni di questo genere e comunque, quando esprime giudizi, essi non sono certo  “teneri”; alla fine della Intervista sul Fascismo, egli dichiarava di essere convito che “ Se da tutta la mia opera un personaggio esce intimamente criticato a fondo e anche distrutto quello è Mussolini” Ma aggiungeva: “ distrutto al di là della sua capacità tattica, della sua capacità politica – che credo nessuno in buona fede gli possa contestare.   [2]

 Noi oggi sappiamo benissimo che il periodo tra le due guerre fu in Europa un momento di grandi idealità (che di solito vengono sistematicamente denigrate o addirittura negate) come di grandi aberrazioni  che vengono invece sistematicamente enfatizzate: in qualche caso giustamente,  come quando si tratta delle persecuzioni a sfondo razziale, mentre in altri colpiscono certe omissioni ricche di distinguo e di colpevoli silenzi. Non può e non deve esistere la “graduatoria degli orrori” ma proprio per questo non si capisce bene perché di alcuni si debba parlare sottotono e con sufficienza; di quelli, per intenderci,  legati all’altra grande matrice totalitaria, quella comunista, che sono continuati ben oltre la fine del secondo conflitto mondiale e in certi casi continuano ancora,  senza che qualche animo gentile gridi alla soppressione dei diritti umani.

Ma non c’è solo questo. Quello che non bisognerebbe mai dimenticare è che il Fascismo prese il potere grazie all’esaurimento, alla viltà e all’ignavia della vecchia classe dirigente, che dopo aver spinto il paese in una guerra tanto sanguinosa quanto in definitiva inutile e nefasta non aveva poi saputo minimamente gestire il dopoguerra. E’ facile oggi ridere e ironizzare su certi atteggiamenti  e certe enfasi tipiche del Fascismo , che in qualche caso possono senz’altro al nostro “raffinatissimo” gusto apparire obsoleti. Ma non bisognerebbe dimenticare che Il Fascismo seppe catturare l’attenzione e la passione di buona parte delle energie più fresche e sane del paese, oltre che quella dei migliori ingegni italiani come Pietro Mascagni, Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi, solo per far qualche nome; e sono semplicemente risibili le contorsioni più o meno assurdamente “psicologiste” quando non addirittura psicoanalitiche per spiegare tali adesioni.

Oggi come nel 1922 ci troviamo con una classe dirigente alla sbando:  quella di allora aveva mandato al macero buona parte delle migliori energie del paese in una guerra voluta soprattutto dalla corona e da certi ambienti politico – sociali, a prezzo tra l’altro di ben un poco dignitoso giro di valzer, (quasi funesto presagio di quello ancora più abbietto del  1943, la cui ignobiltà prescinde del tutto da chi fossero i nemici o gli alleati)  sfruttando la buona fede e  i cuori bollenti di interventisti e futuristi che ebbero poi modo di vedere cosa fosse nella sua squallida brutalità e nella sua bruciante follia la “guerra sola igiene del mondo.”  Ma in quel pauroso macello che fu la guerra di trincea, senza dubbio una generazione si temprò e dette generosamente tutto ciò che poteva, sino all’inverosimile;  ed aveva il sacrosanto diritto di chiedere qualcosa di più e di meglio di quello che potevano offrire  mummie fossilizzate alla Giolitti (anche se restava un abile politico)  o tremule nullità tipo Luigi  Facta.

Certo, i politicanti nostrani oggi possono dormire sonni tranquilli (per ora, almeno). Nessuno che abbia un milionesimo  della statura politica del Duce è all’orizzonte, al massimo qualche grillo sbavante o qualche giovinotto  rampante . Ma al di là di queste considerazioni forse un’altra s’impone: siamo proprio sicuri che un domani i regimi che hanno caratterizzato l’Europa e l’Occidente dal secondo dopoguerra alle nostre radiose giornate saranno considerati come il bene assoluto? Visto che qualcuno in veste politico-istituzionale  (che ci azzecca con la storia quanto un noto politico  molisano con la grammatica) ha pontificato illo tempore di male assoluto  (dopo averci peraltro sguazzato dentro!) siamo proprio sicuri che un domani le generazioni future ricorderanno l’impero degli Usa, intenti a “esportare le democrazia” non con l’olio di ricino ma con bombe non sempre “intelligenti” e i governi  dei loro satelliti euroccidentali ridotti a fare i famuli dei banchieri  e dei finanzieri come l’impero del Bene?

Questo allora dovrebbe ricordarci il 28 ottobre, al di là di legittime simpatie e altrettanto legittime avversioni: che in certi momenti particolari la storia di un paese può prendere una brusca svolta, una direzione impensata. Facile, a seconda dei momenti, osannarla  o vituperarla; più difficile valutarla sine ira ac studio, specie quando,  malgrado il tempo passato, se ne ha per certi aspetti ancora paura: tutte le roventi polemiche, anche da cariche istituzionali,  per il convegno organizzato a Perugia per ricordare la marcia su Roma  ne sono un esempio tanto grottesco quanto eloquente.   Del resto, non per nulla la gentile signora governatore dell’Umbria si chiama Katiuscia e il sindaco di Perugia Vladimiro: ci mancava solo un … Palmiro poi il quadro era completo!

 Solo quando i discendenti di coloro che hanno festeggiato, da opposte frontiere e il 28 ottobre e il 25 aprile ( e pur continuando magari anche loro a farlo, ciascuno per parte sua) saranno finalmente capaci di incontrarsi, guardarsi negli occhi e stringersi la mano questo paese potrà veramente  guardare al Fascismo come a un fenomeno squisitamente storico: dividendosi magari su interpretazioni  e valutazioni, ma concordando sul fatto – in cui, ancora una volta, De Felice è stato pioniere – che esso fa parte della storia d’Italia e che forse – aggiungiamo noi – riuscì per certi aspetti, almeno in determinati momenti, a unire più di quel tanto osannato risorgimento i cui lati oscuri e sanguinari stentano ancora a venire alla luce e soprattutto a venire accettati.  Si potrà allora discutere se e quanto Fascismo sia stato realmente un “regime totalitario” e forse, senza doverne per questo condividere le ragioni, si riuscirà ad ammettere che anche chi  si schierò a Salò con la RSI era un combattente e non criminale; questo a prescindere da singoli, vergognosi casi che però (Pansa, e non solo, docet) non mancarono certo anche dall’altra parte.  Anche un uomo di sinistra come Luciano Violante riconobbe, da presidente della Camera,  che bisognava perlomeno porsi il problema del perché tanti giovani fecero la scelta di Salò, salvo in seguito ovviamente precisare che :L'antifascismo è un valore fondamentale della Repubblica; è giusto ribadirlo come ha fatto recentemente anche il Presidente Fini.”[3]  Certo, se poi lo  ha riconosciuto anche Fini ….

Si potrebbe obbiettare che “forse”, i problemi della Repubblica Italiana sono ben altri che l’antifascismo. Quando si sarà capaci di guardare serenamente a questo fenomeno storico, (e il non averlo saputo o voluto fare ha la sua responsabilità nella scia di sangue degli “anni di piombo”)  si farà il bene di questo sciagurato paese e sarà forse finalmente giunta l’ora in cui, aldilà di etichette per tanti aspetti  obsolete, gli uomini degni di tale nome potranno trovarsi dalla stessa parte delle barricata, per dare all’Italia e all’Europa la certezza di un futuro e non solo perdersi fra le nebbie del passato.



[1] Renzo DE FELICE, Antologia sul Fascismo. Il giudizio storico, Bari, Laterza, 1977, p. 7

[2][2]Renzo DE FELICE, Intervista sul Fascismo, a cura di Michael A. Ledeen, Bari, Laterza, 1975, p.112.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da cordiale il 28/10/2012 22:41:23

    ho letto con la soddisfazione di chi assetato trova una fonte di limpida e fresca acqua. metto in cornice.

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