Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un lungo addio
L’Hotel Raphael non è Palazzo Grazioli. E Silvio Berlusconi non è Bettino Craxi. Tanto che al premier uscente non è toccato nemmeno l’onore – o l’onere, a seconda dei punti di vista – delle monetine lanciate all’indirizzo del primo presidente del Consiglio socialista d’Italia. No, a Berlusconi è arrivato soltanto qualche grido soffocato, lontano, un’eco sommesso del “buffone, buffone” toccato a Maurizio Lupi o “dimissioni, dimissioni” incassato da Roberto Formigoni entrando a Palazzo Grazioli.
Fra Craxi e Berlusconi, dunque, c’era, e c’è ancor oggi, una distanza siderale. Cosmica a tratti, oltre che comica, nella parabola finale di Berlusconi. Soltanto l’italietta non è cambiata. Anzi, quella parte del Paese degna di questo basso impero è rimasta uguale a se stessa, irritante e commovente al contempo.
Irritante nel trascinarsi, come vacche al pascolo, fra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli per vedere da vicino i vip della politica, invece di sbirciare le vetrine di via del Corso. Eppoi che palle il solito apparire dietro alle telecamere con il telefonino all’orecchio per avvertire casa di guardare la tv. Fino a ieri questa folla armata di cialtronesca curiosità dov’era? Per chi votava? Con chi pascolava? Eppure c’è anche un tratto commovente in tutto questo. La maggior di coloro che hanno consumato le scarpe fra i due palazzi della politica romana, spendendo il sabato del villaggio in una transumanza senza senso, a cui vanno sommati i telespettatori di tutte le reti, non hanno capito nulla, o forse poco di quello che è realmente accaduto.
Di come Berlusconi sia uscito di scena per far entrare sul palco Mario Monti. Come in tutti gli artifizi teatrali e cinematografici i trucchi non vanno svelati. Del resto chi avrebbe dovuto farlo, nel giorno della caduta degli “dei” e nella ascesa all’olimpo del potere, ha dato vita ad una rappresentazione degna di una corte sfiatata di nani e ballerine rimasti senza scrittura. Fuor di metafora la piazzata milanese dei vari Sallusti, Ferrara, Feltri, Santanché e compagnia cantante, convocata al teatro Manzoni per chiedere le elezioni subito, è servita solo e soltanto a loro per dire al Cavaliere “ non lasciarci soli”, “non tradirci così”.
Ma Silvio non è Bettino, e la piazzata milanese non è piazza San Giovanni a Roma quando il popolo (ma è mai realmente esistito?) del Pdl cantava “meno male che Silvio c’è”.
Che tristezza vedere i presunti emuli di Montanelli scendere al livello di un qualunque Scilipoti di turno. E in questo finale di partita non sono riusciti a salvare la faccia nemmeno i ministri “fascisti”, secondo l’ultima definizione di Franco Frattini, un altro francamente imbarazzante per attaccamento alla poltrona.
I vari Altero Matteoli, Ignazio La Russa, Giorgia Meloni hanno dato la sensazione di più attaccati alla poltrona più che al bene del Paese. Chiedendo le elezioni anticipate lasciano il sospetto di voler allungare la loro permanenza nei dicasteri assegnati dalla ruota della fortuna, e non certo dalla storia o da manifeste capacità (almeno per alcuni di loro).
Prendete la Meloni. Nel momento più drammatico del Paese il ministro della Gioventù (quale? dove? perché? ) non ha trovato di meglio che dire a «Libero», nella più inutile delle interviste, che è «la politica che deve dare risposte a problemi politici»!
Francamente non sai se c’è o ci fa. Sino a ieri chi a governato? L’armata Brancaleone o i politici scelti da Berlusconi? La Meloni dovrebbe avere il coraggio di ammette che la politica fatta dai politici, questi politici, ha fallito. In tutto…. Forse non saranno fascisti come dice Frattini, ma fuori dal mondo sì. E allora dovremmo davvero ricordarci che se Berlusconi non è Craxi, è perché Bettino avrà anche “rubato”, ma ha governato l’Italia, mentre Silvio ha solo giocato a fare il presidente del Consiglio, ricordandosi sempre della famiglia. Ma questa, in fondo, è un’altra storia. Nel frattempo l’italietta balla, ride, passeggia, insulta, applaude, in piazza l’addio a Silvio e il benvenuto a Mario.
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