Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
er chi lo ha conosciuto, letto, compreso veramente, l’ “incendiario di anime” – come venne definito Pino Rauti, nel 1978, dalla “Pravda”, allora organo del Partito Comunista dell’Unione Sovietica - aveva ben poco dei tratti muscolari di certo neofascismo. La sua “intransigenza” era tutta culturale. Il suo “vigore” era spirituale. Il suo radicalismo era intellettuale, ma nient’affatto dogmaticamente sterile.
La scoperta – in origine - di Julius Evola, figura marginalizzata durante il regime fascista, l’attenzione nei confronti della cultura rivoluzionaria conservatrice tedesca, l’idea europeista (in alternativa alle superpotenze Usa-Urss), la critica non qualunquista alla partitocrazia, il rifiuto di quella “politica nostalgica” , praticato da certa destra, attenta –parole di Rauti – agli “applausi degli ultimi habituès dei comizi e i relativi, ricercatissimi voti preferenziali”, furono le basi di una strategia politico-culturale in divenire, che, con gli anni, seppe misurarsi con le nuove emergenze, prefigurando scenari riaggiornati e nuovi ambiti d’intervento.
Presentando, nel 1966, il periodico “Noi Europa”, Rauti evocava non l’Italia del Ventennio, ma una Nazione soffocata dall’ “abito stretto” dei suoi ritardi, “costretta a vivere sulla base di leggi superate, di regolamenti confusi, di norme incredibilmente arcaiche”. E, con il rientro, nel 1969, nel Msi, lanciava il suo “progetto” culturale, quello dello “sfondamento a sinistra”, invitando il mondo missino a superare certa retorica d’ambiente (“della Patria e della Nazione è doveroso, e bello parlare, e anche dell’Europa e del mondo occidentale; ma non basta”), ponendo sul tappeto le nuove tematiche della modernità: quelle legate all’urbanesimo, all’ecologia, alla scienza e alla tecnologia, alla congestione industriale, ai risvolti negativi della crescita italiana.
A quelle analisi, a quelle “fonti” culturali si è richiamato, anche in anni non facili e “di piombo”, il movimentismo giovanile “di destra”.
Da lì, dal demonizzato “rautismo”, venne l’idea dei Campi Hobbit, delle cosiddette “iniziative parallele”, delle associazioni ambientaliste, delle cooperative librarie, dei gruppi femminili, delle radio libere, del movimento giovani disoccupati, tutti strumenti inventati per fuoriuscire dalla sindrome del nostalgismo e dallo scontro generazionale post sessantottesco.
Strumenti a cui si affiancava una non banale rilettura culturale e politica della realtà, che evidenziava, già allora, l’usura della vecchia dicotomia destra-sinistra, che preconizzava la fine del comunismo, che “reinterpretava” il fascismo-movimento, criticando il fascismo-regime, che paventava i rischi del “mondialismo”, che guardava all’Europa, quale alternativa geopolitica e spirituale.
Tutto questo e molto ancora è stato il “rautismo”. Che fu “duro e puro” nella volontà politica e culturale ed insieme capace di non sclerotizzarsi nel radicalismo, tipico della vecchia destra, e che cercò di essere un passo avanti, rispetto alle contingenze e alle emergenze del momento.
Non sempre ci riuscì, pagando lo scotto dell’opportunismo politico e dell’essere oggettivamente minoranza all’interno di una minoranza. Ciò che riuscì a “seminare” resta comunque come un esempio della volontà di rinnovamento culturale e politico, sviluppata da destra, a partire dagli Anni Settanta del ‘900.
I decenni passati , con, in mezzo, tutti i traumi “epocali” accaduti e lo sconvolgimento del panorama politico nazionale ed internazionale, ed ora la scomparsa di Pino Rauti, impongono a tutti una rilettura attenta di quell’esperienza, evitando le facili “marchiature”, buone magari per qualche polemica contingente e per qualche cronaca superficiale, ma inadatte a cogliere la sostanza di percorsi personali e di gruppo , che, comunque li si voglia giudicare, furono tutt’altro che banali e che segnarono positivamente, grazie a Rauti, un’intera generazione.
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