Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un farmaco ha parzialmente e temporaneamente restituito la vista ad alcuni topi di laboratorio attraverso un esperimento che propone dei nuovi tentativi per rigenerare la retina, il tessuto situato nella parte posteriore interna dell'occhio.
In questo caso, gli sforzi non provengono dall’utilizzo di cellule staminali o protesi elettroniche. La speranza di combattere la cecità arriva da una molecola costituita da nome complesso (acrilammide-azobenzene-ammonio quaternario = AAQ) di cui piccole quantità iniettate nel vitreo (sostanza gelatinosa che è all'interno dell'occhio) ridanno transitoriamente la sensibilità alla luce ad animali da sperimentazione.
Il tempo dirà se questa linea di ricerca, pubblicata sulla rivista Neuron, attualmente in una fase iniziale di sviluppo, potrà essere estesa, un giorno, agli esseri umani e serva per curare alcune delle principali cause di lesioni oculari nei paesi sviluppati, elencati per lo più con la degenerazione del tessuto.
La retina è stata tradizionalmente identificata con la pellicola di una fotocamera convenzionale.
La luce passa attraverso la cornea ed il cristallino, la lente di messa a fuoco, e si riflette in questa superficie, dove si trasforma in segnali elettrici che il nervo ottico trasporta nel cervello grazie ai fotorecettori, alcune cellule nervose chiamati coni e bastoncini, equivalenti ai pixel delle attuali camere digitali .
Alcune delle principali cause di cecità, siano esse per motivi ereditari, come la retinite pigmentosa, o acquisite, come la degenerazione maculare, sono causati dalla morte di questi fotorecettori, che non sono altro che un tipo di neuroni specializzati. Una volta distrutti, con la conseguente perdita della vista, non esiste una terapia in grado di restituire la vista ai pazienti. Di qui l'interesse a trovare trattamenti efficaci.
Il percorso intrapreso dai ricercatori della University of California a Berkley, l'Università di Monaco, e quella di Washington a Seattle, si basano sugli effetti della molecola AAQ nella retina. Questo farmaco non ha effetto su fotorecettori lesionati, ma su altri neuroni retinici. Nel loro stato naturale, queste cellule sono cieche , ma grazie al farmaco sviluppano sensibilità alla luce, come indicato nel lavoro di Richard Kramer, professore di biologia molecolare presso l'Università della California a Berkley, e si comportano allo stesso modo dei fotorecettori.
I ricercatori hanno testato gli effetti del farmaco nei topi con una serie di mutazioni genetiche che causano la morte dei fotorecettori poco dopo la nascita. Dopo l'iniezione di piccole dosi di AAQ negli occhi, gli scienziati hanno scoperto che quando i roditori sono stati esposti alla luce hanno contratto gli occhi e sono fuggiti da essa. Entrambi i comportamenti sarebbero impensabili se fossero rimasti ciechi.
Il Dott. Kramer ha messo in opera un lavoro che comporta vantaggi tecnici rispetto alle principali linee di ricerca che cercano di correggere i problemi della retina.
Finora hanno tentato delle applicazioni basate sull’uso di cellule staminali destinate a sostituire la funzione dei fotorecettori lesionati; nella terapia genica -per combattere le ferite genetiche responsabili di malattie come la retinite pigmentosa; nelle protesi elettroniche in grado di i trasformare la luce che raggiunge il fondo dell'occhio in segnali elettrici che, a sua volta, sono trasmessi al nervo ottico.
Tutti questi casi, con risultati diversi in ogni fase sperimentale, alterano permanentemente la retina o sono invasivi. "Il vantaggio del nostro approccio è che, poiché si tratta di un farmaco semplice, si può modificare la dose, o metterlo in combinazione con altre tecniche per interrompere il trattamento se i risultati non sono come sperato", spiega Kramer.
L'inconveniente sarebbe che i risultati, per il momento, oltre a essere parziali, restituiscono una certa sensibilità alla luce, ma non la visione totale e sono, quindi, temporanei.
Il professore di oftalmologia presso l'Università di Barcellona, Alfredo Adan, riconosce al quotidiano ELPAIS la novità del trattamento, ma avverte anche che è stato testato solo su topi sperimentali, "non tutto ciò che funziona in questi animali può essere trasferito alle persone.
Russell Van Gelder, capo del dipartimento di oftalmologia presso l'Università di Washington, co-autore della ricerca, è anch’egli piuttosto prudente. Pur essendo una nuova speranza per i pazienti con degenerazione della retina, indica che “dobbiamo ancora verificare se questi composti, che dovrebbero essere migliorati, sono sicuri e funzionino anche nelle persone così come nei topi”, … proprio come spiegato da Alfredo Adan.
Inserito da Loredana il 09/11/2012 10:07:45
Molto interessante! Mi auguro davvero che riescano ad ottenere risultati definitivi e duraturi anche per gli esseri umani...sconfiggere la cecità sarebbe una conquista stratosferica.
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