Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
on vorrei neppure per un attimo che si pensasse che voglio polemizzare, ma intendo soltanto cortesemente precisare. Nell'orazione funebre per Pino Rauti che ho tenuto nella Basilica di San Marco il 6 novembre scorso, mi è capitato di dire - consapevolmente, non di sfuggita - che il defunto dall'alto del suo "conservatorismo tradizionalista guardava ai fenomeni sociali per interpretarli e cavalcarli". L'espressione, con quel che ne consegue, ha indotto Giovanni Accolla a riprendere su Totalità.it , con la consueta amabilità, il concetto per respingerlo, almeno così ho capito (al contrario me ne scuso), rivendicando a Rauti l'appartenenza ad un ideale fronte "rivoluzionario".
"Conservatore tradizionalista" non è una qualifica che si acquisisce all'ufficio brevetti. È un atteggiamento spirituale e culturale sostanziato da valori imperituri, valori qualitativi che si intendono appunto conservare perfino tra le rovine, come ci ricordava Evola. E nessuno è più rivoluzionario di chi intende conservare appunto il patrimonio che ci viene da una tradizione che s'intende dinamica, cioè proiettata nell'avvenire e che si intende far vivere perfino nelle istituzioni politiche e civili, oltre che nella quotidianità e, al livello più nobile, è propria di chi coltiva un'"equazione personale" tipica di un uomo differenziato o di un anarca.
Rimando alle definizioni come quelle di Karl Mannheim, di Caspar von Schrenk Notzing, di Gerd-Klaus Kaltenbrunner, di Roger Scruton per una completa ed inequivocabile comprensione del termine "conservatore", da alcuni definito il "vero rivoluzionario". Ovviamente si può non essere d'accordo, ma per ciò che mi riguarda le cose stanno così. Mai, dunque, accosterei Rauti al termine di reazionario che è tutta un'altra cosa. Mi permetto di aggiungere, ad ulteriore scanso di equivoci, che ho anche detto che la sola rivoluzione nella quale Rauti credeva era "la rivoluzione morale, civile e culturale, della quale il partito politico doveva essere lo strumento, fondata su una visione del mondo e della vita rigorosamente spirituale, presupposto di una politica soddisfacente volta alla realizzazione del bene comune".
I fraintendimenti sono sempre possibili, naturalmente. Ma affinché non alimentino leggende infondate è meglio precisare e dissolverli una volta per tutte.
Inserito da Giovanni Francesco Accolla il 09/11/2012 19:37:10
Ops! Maledetto correttore automatico (vedi che sono anch'io conservatore?) ha scritto "ottone" al posto di "ottuso" nella citazione di Gomez Davila. Ottusità della tecnica... appunto, religione e vizio della modernità.
Inserito da Giovanni Francesco Accolla il 09/11/2012 19:30:00
Caro Gennaro, hai capito benissimo (al solito): con molta benevolenza, ma anche un po' strumentalmente, nel mio pezzo ho preso le mosse da quel gioco semantico (altro non é, come tu stesso hai sinteticamente ma magistralmente spiegato) di contrapposizione di senso tra i termini conservatore e rivoluzionario, per raccontare "il mio" Rauti e per sdebitarmi (fosse davvero così semplice!) - nell'occasione della sua morte corporea - di quanto da lui ricevuto nel periodo della mia formazione umana e intellettuale. Penso anch'io che essere conservatori possa tradursi in un atto rivoluzionario: si tratta non solo di capire cosa si vuole conservare, ovviamente, ma soprattutto che cosa si intende per tempo, storia e... Tradizione. Conservare la Tradizione (non la storia, semmai le storie) può voler significare tenerla viva, moralmente e politicamente prospettica. Hai, dunque, ragione. In tal senso Rauti é stato anche questo. Come scrive Gomez Davila: la tradizione pesa sullo spirito come l'aria sulle ali dell'aereo. E non c'é nulla di più ottone che percepire soltanto l'attualità. Ma ne converrai, i tempi son quel che sono: uno dice "conservatore" (perdona se la butto sul grottesco) e il pensiero va a ciò che oggi - io quanto te, ne sono certo - vorremmo solo obliare. Un abbraccio, se mi permetti, fraterno.
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