Editoriale

La piazza è una polveriera pronta a esplodere

C’è un’inquietudine sociale diffusa e preoccupante determinata dalla situazione economica e dalla precarizzazione

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

oliti “teppisti” ? Soliti “figli di papà” ? Solite strumentalizzazioni   da parte dei soliti estremisti ? Le immagini delle violenze di piazza, scatenate durante lo sciopero generale europeo,  hanno  riproposto, sui mass media, l’ennesimo (e già visto) gioco delle parti. Da un lato la “destra d’ordine” impegnata a stigmatizzare, recuperando immagini d’annata: i professionisti della contestazione, i figli di papà che giocano alla rivoluzione, gli autonomi che offendono l’Italia brandendo le sofferenze della gente normale.  Dal lato opposto la sinistra “giustificazionista”,  a mezzo servizio  tra richiami repressivi ed ambizioni protestatarie (vorrei…ma non posso).

Al centro una realtà che va capita per quello che è veramente, piuttosto che per quello che appare attraverso le lenti deformanti delle  analisi di parte e per-partito-preso.

A parlare prima ancora degli slogan  (di piazza e dei mass media)  c’è infatti un’inquietudine sociale diffusa, un’insicurezza economica, una precarizzazione avanzante a cui  le vecchie letture poco si adattano.

Quarant’anni fa la contestazione giovanile (i figli di papà che giocano alla rivoluzione – per usare l’immagine di certa stampa “moderata”) esprimeva un’Italia emergente che ha ben pochi riscontri nell’Italia d’oggi. Allo stesso modo l’autunno caldo, di matrice operaia, esprimeva una volontà di conquista sociale che, di questi tempi, appare inimmaginabile. Così come lontanissimo è il contesto culturale entro cui le piazze degli Anni Settanta alimentavano ed irrobustivano le loro speranze. 

Oggi, mentre nelle città sfilava la rabbia studentesca e dei lavoratori, veniva  diffusa l’indagine (ripresa anche da “Totalità”) su "Deprivazione e soddisfazione, aspetti di vita quotidiana" secondo  la quale, nel nostro Paese,  "si riscontra una contrazione del livello di soddisfazione per la vita in generale”, segnata dall’aumento delle  famiglie che dichiarano di non poter sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 33,3% al 38,4%), di non potersi permettere una settimana di ferie all'anno (dal 39,8% al 46,5%) o, se lo desiderassero, un pasto con carne o pesce ogni due giorni (dal 6,7% al 12,3%), nonché quella di chi non può permettersi di riscaldare adeguatamente l'abitazione (dal 11,2% al 17,9%). E’ l’ennesima indagine che si affianca a quelle sul crollo dell’occupazione, dei redditi, sull’aumento delle tasse, sulla contrazione dei consumi, sulla precarietà, analisi che vengono a costituire l’autentico brodo di coltura per una nuova conflittualità non-ideologica e  non-classista, ma in grado di aggregare realtà sociali, generazionali, territoriali lontane tra loro.

E’ questo il vero rischio: la saldatura tra le fasce “radicali” ed una grande massa grigia, ancora silenziosa, ma che quotidianamente paga la crisi e che, esaurite tutte le “riserve”, può effettivamente fare esplodere la propria rabbia, non sentendosi più rappresentata dalle istituzioni, dai partiti politici, dai sindacati.

Su questo bisognerebbe interrogarsi piuttosto che riproporre analisi fuori dal tempo, inadeguate a percepire quello che sta accadendo e  quello che, all’orizzonte, va profilandosi. Non certo per giustificare, ma per capire e – ove possibile – prevenire, con un’adeguata azione politica e sociale, consapevoli – per dirla con uno slogan d’annata - c’est n’est pas qu’un debut…

                                                                       

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