Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Attilio Mordini
Suona, la pubblicazione di parte dei diari inediti di Attilio Mordini — parliamo di Passi sull’acqua. Dai quaderni di appunti 1954-1961 — come un giusto, per non dire doveroso, «risarcimento» (ancorché necessariamente postumo) a un autore che si è visto spesso, suo malgrado, applicare indebite etichette di «anacronismo» e di «inattualità». Risarcimento, sì, perché se c’è un pensatore di Destra — e cattolico — che non merita davvero di essere riposto in bauli da soffitta, e con lui i suoi testi più o meno introvabili e impolverati, quello è Mordini, appunto.
Filologo troppo rispettoso delle Sacre Scritture per cadere nelle esangui e accomodanti facilonerie proprie di certo cattolicesimo d’accatto, a Mordini ben si attaglia la definizione di «cavaliere di Dio», opportunamente attribuitagli da Primo Siena in un dimenticato articolo pubblicato in memoriam sul primo numero della rivista Adveniat Regnum all’indomani della morte, che lo colse, prematuramente, il 4 ottobre del 1966, all’età di 43 anni. Dove per «cavalleria» si intende qui, mordinianamente, il requisito sine qua non del vero cristiano, che è chiamato a fare proprio il motto paolino vita super terram militia est. Non si comprenderebbe, diversamente, tutto il faticoso, travagliato decorso della civiltà cristiana che è — sono parole di Mordini che citiamo pour cause — «storia di lotta e di sacrificio... Se portare Cristo nel mondo è portare la pace tra gli uomini, la guerra è, pur tuttavia, l’ultima e più certa garanzia di spiritualità. Ovunque con entusiasmo si sa combattere, ovunque si sa portare la morte e offrire al tempo stesso la propria esistenza terrena, là c’è il distacco dalla materia e l’amore del sacrificio...» (cit. in Tradizione e restaurazione. Saggio introduttivo al pensiero di Attilio Mordini, a cura del Centro Studi Mordiniani, Roma 1973).
Ora, tra i molti meriti che a posteriori vanno riconosciuti al Nostro, vi è senza dubbio quello di aver intravisto e denunciato, dall’alto della sua rupe solitaria, fatta di metafisiche certezze, il fenomeno — escatologicamente inquietante — della progressiva secolarizzazione della civiltà europea; una civiltà la cui parabola sempre più si allontana da quella «matrice» cristiana che pure essa — nolente o volente — porta indelebilmente inscritta nel suo DNA, nel suo atavico «destino» (per usare un vocabolo sì caro a Spengler).
Felix culpa di Mordini — ci pare di poter asserire — è stata quella di aver profetizzato (al pari, mettiamo, di un Solov’ev) l’avvento dell’Anticristo in versione new age, buonista e vegeteriana; vale a dire, di quella mentalità moderna e neopositivistica che — non paga di aver profanato tutto il profanabile — vorrebbe ridurre quel che resta del Sacro, in un mondo ormai orbo di Dio, a un giulebboso kit pseudomistico e sentimentaloide, da acquistarsi possibilmente con carta di credito in apposite chiese o sette-supermarket, senza tanti problemi di coscienza. Nella proterva illusione di poter eliminare dalla faccia della terra quel «senso del Mistero» che rappresenta — checché se ne pensi e se ne dica — il «cuore» della rivelazione cristiana (e non solo).
Enigma a cui Attilio Mordini si è costantemente rifatto nell’ambito delle sue numerose opere, tutte ricchissime di spunti e di riflessioni metafisiche e spirituali degne di non cadere in desuetudine. Opere che in questa occasione ci sembra opportuno richiamare, almeno in parte, e tra cui spiccano Il tempio del cristianesimo (1963), Dal mito al materialismo (1966), La verità del linguaggio (1974) e Il mistero dello Yeti (1977). A queste — grazie all’impegno della curatrice Maria Camici, che li ha riportati alla luce con filologica acribia — si aggiungono oggi molti degli appunti contenuti nei quaderni manoscritti provenienti dal lascito inedito dello stesso Mordini.
Il testo in questione è — ovviamente — di quelli che non si lasciano facilmente epitomare. Di «diaristico» in senso stretto, come osserva acutamente la curatrice nella presentazione, Passi sull’acqua ha comunque poco o niente. Si tratta, piuttosto, «di pensieri fermati sul momento», concepiti perlopiù «sotto l’urgenza dell’intuizione, con la commozione e la gratitudine di chi si è sentito porgere le creature come se fossero parola di Dio, e per questo si vede tenuto renderne testimonianza contemplando, interpretando, pregando»
Esperto di religioni e di miti, tanto orientali quanto occidentali, Mordini in questa circostanza indossa — come e più che altrove — i panni dell’umile scoliasta il quale, illuminato dai raggi della fede, si sofferma su questo o quel passo del Vangelo, su questa o quella parabola, onde poi rivelarcene — all’improvviso — i simbolismi e le allegorie più sottili, quali le nostre menti ottenebrate dall’ignoranza delle scienze sacre mai avrebbero potuto cogliere da sole. Come quando, ad esempio nel capitolo secondo, intitolato non a caso «Nodi di rete», è fatta da Mordini piena luce sulle segrete simmetrie che possono instaurarsi e rinvenirsi tra il Linguaggio Universale dello Spirito e la Grande Opera del Tessitore, tra il Logos e la Veste. Veste che è insieme Sudario e Tappeto da preghiera, come Mordini chiarisce in questo suo straordinario «passo» (nel senso di brano) con cui ci piace concludere questa nostra recensione-rievocazione: «Come in ogni tradizione il simbolo del tessuto è schema dell’universo e della Sacra Scrittura ordita di passi su trama divina; così lo è la Sindone e in modo più reale ed eminente. La Madonna, e in Lei la Chiesa, trova il sepolcro vuoto del corpo di Cristo; la Sindone è ripiegata in un canto, e Maria la raccoglie e la conserva. È il lenzuolo che ha su di sé l’impronta del corpo di Cristo.
Filo per filo, la trama ci mostra le fattezze di Lui, il di Lui sangue, le battiture subite, le Sue piaghe. Filo per filo tutto di Lui ci viene detto dalla Sindone e su quei fili è ordita l’intera Bibbia. Ciò che è ritenuto l’unico documento materiale e storico dell’Incarnazione e della Passione, è ad un tempo Sapienza della Scrittura: è come la tradizione orale senza di cui i sacri testi son lettera morta... Fili di Sindone gli Stromata di Clemente Alessandrino, i Sutra dei Vedanta, l’ordito e l’ordo romano che sarà trama universale della Chiesa. Ogni tradizione ha il suo simbolo nel tessuto, ma solo la Chiesa di Cristo, del Dio fatto veramente uomo, di Carne e di Sangue, del Dio che volle nutrire di respiro umano una manciata di giorni terreni della nostra storia perché il mondo fosse veramente in Suo nome, solo la Chiesa dell’Incarnazione custodisce il tessuto materiale del sepolcro e della conoscenza, il lino grande da dispiegarsi agli uomini perché la fiaccola sia posta nel mezzo della stanza a illuminare l’intelletto d’ognuno».