Editoriale

Tu chiamale, se vuoi, primarie. Renzi docet e Meloni esplode

Un tempo i cambiamenti avvenivano nei congressi dei partiti ora si ricorre al voto popolare. Adesso tocca al Pdl

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

ulle primarie del centro-sinistra (ancora scrivo centro, ma non dovrei, visto che Tabacci ha dichiarato di essere molto più di sinistra di altri candidati), concettualmente non la penso come Grillo, ma poco ci manca.  Sono senz’altro importanti, ma del tutto autoreferenziali. Sono state, comunque sia, un congresso di partito mascherato, appena più allargato e senz’altro mediaticamente più efficace. Se gli elettori di sinistra ci son cascati, ben per loro e bene per la coalizione che ha raccolto una gran quantità di quattrini. Ciò nonostante, qualche non banale riverbero politico in campo nazionale, ancora lo potrebbero avere: se vincesse Renzi (tanto non succede) la scena generale potrebbe davvero mutare, così pure se il sindaco di Firenze, conscio della sua forza, rompesse con il Pd bersaniano - fisiologicamente sempre più schiacciato sulle istanze del popolo di Vendola - per virare definitivamente al centro, la strada verso la composizione delle forze politiche per le elezioni sarebbe ben diversa. Sull’estrema sinistra, per altro, l’arancione sembra più rosso del rosso: il partito “giustizia e libertà” è oramai nato e, se cancellerà definitivamente Di Pietro, qualche grattacapo potrà darlo anche a quelli del Sel.

Sul fronte del centro-destra Giorgia Meloni, rompendo gli indugi (e finalmente emancipandosi da Gasparri, La Russa e colonnelli vari ), che le primarie si facciano o meno, ha mostrato coraggio, senz’altro, ma anche una certa intelligenza politica: è diventata nel giro di pochi giorni il Matteo Renzi del centro-destra che tanto mancava. Comunque vada  - che Berlusconi faccia una sua lista è ormai quasi certo - Giorgia  non sarà più la “giovane Meloni”, ma un leader nazionale con cui fare i conti. Certo, anche su questo versante… primarie di che? Questo è un vero (legittimo) assalto alle vecchie gerarchie del partito, non attraverso un congresso ma con nuove modalità. E, a mio avviso, ce ne era bisogno.

Ma tanto da una parte che dall’altra, il centro - a dire il vero - non c’è più, almeno è sempre meno definito. Ci sono illustri esponenti più centristi (si definiscono moderati) da ambo gli schieramenti, ma il vero discrimine per l’immediato futuro, al meno mi pare, è - per sintetizzare -  tra montiani e antimontiani. E, alla lunga, la convivenza tra gli uni e gli altri, all’interno del medesimo schieramento, esploderà. Se, per dire, Alfano non chiarirà la sua posizione rispetto all’agenda Monti, dentro il Pdl è prevedibile che per alcuni esponenti sarà difficile rimanere con una mera posizione dissenziente: il Pdl non può mica essere la Dc di un tempo! Medesima questione si pone nel centro-sinistra, qualora le primarie le vincesse Bersani con l’ausilio determinante dei voti dei Vendola. Fioroni, Gentiloni, Morando, Tonini, Ceccanti che faranno?

Le grandi manovre al centro di corpi distinti: Casini, Riccardi, Montezemolo, sigle sindacali e cattoliche varie; alla fine troveranno una sintesi (loro senza l’ausilio delle primarie) e se l’offerta sarà allettante, probabilmente Monti ci metterà il cappello. Quando? Quando il parlamento partorirà la legge elettorale. Fino ad allora è tutta melina, guerra di posizione, rapporti di forza e rese dei conti. In tutti gli schieramenti, nessuno escluso.

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