Editoriale

Fenomeno primarie, i rischi: burocratizzazione e chiacchiere al posto di programmi

Si è discusso delle presenze dei notiziari, delle spese della campagna ma non sappiamo niente della politica internazionale dei candidati

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

hi vuol commentare la politica oggi in Italia non può sottrarsi al discorso sulle primarie che, per di più, sembra poter essere soltanto elogiativo. Ora, che l’introduzione e il consolidamento di questa procedura abbiano risvolti positivi per la vitalità di un sistema, che mostrava e mostra segni di sofferenza, non si può negare. Tuttavia, qualche sguardo verso la faccia nascosta di questa luna è opportuno lanciarlo.

Intanto, il metodo, pur con gli aggiustamenti portati dal PD – che ne detiene, ad oggi, il “copyright” – presenta non poche criticità. E’ stato varato un regolamento minuzioso, sull’osservanza del quale vigila un Comitato di Garanti, ma imperversano le polemiche sul conteggio dei voti nel primo turno e sugli aventi diritto al voto per l’imminente ballottaggio; seppure in misura minore rispetto alle precedenti primarie, si sono verificati casi di voto multiplo e di “intrusioni” da parte di esterni alla coalizione di centro-sinistra. Ma su quest’ultimo aspetto, e in particolare sull’endorsement di personalità riferibili al centro-destra, torneremo.

Ora, è possibile che il nostro sistema costituzionale, politico ed elettorale, abbia bisogno, per migliorarsi, di acquisire queste procedure in ogni ambito – quindi, non solo per selezionare la classe dirigente di un partito, ma anche i candidati alle varie competizioni elettorali, politiche ed amministrative – a patto però di elaborare un apparato normativo idoneo e uguale per tutti. Qui vale la pena di notare che, dietro questa pretesa, rinnovata voglia di partecipazione – peraltro ricordiamo che l’elettorato di centro-sinistra è ben più ampio del “popolo dei gazebo” – si nasconde la riprova che la classe politica “vecchia” e “nuova” preferisce scansare la piena assunzione di responsabilità, demandando la scelta alla società civile.

Nelle lotte fra correnti e fra aspiranti leader c’era infatti almeno l’eco di quella spinta rivoluzionaria e ideale, di quel decisionismo schmittiano, che conferivano vitalità e anima alla politica; certo, l’altra faccia della medaglia consisteva nella sclerotizzazione, nella burocratizzazione della vita di partito, nella conservazione degli equilibri interni (ma poi anche esterni) da parte di una nomenclatura gelosa delle proprie rendite di posizione. Esattamente quel fenomeno di “invecchiamento” che ha dato luogo all’antipolitica.

Siamo però sicuri che le “primarie”, da sole, possano scongiurare questi rischi? Che non si intravedano già i sintomi di una burocratizzazione che, ingessando le istituzioni e la stessa vita della società civile, sembra contagiare anche questo strumento “nuovo”?

Senza tacere che giornali, tv e discorsi da bar sono da settimane incentrati sui volti, sulle dichiarazioni, sulle possibili alleanze – e relativi “costi” politici – di questo o quel candidato di centro-sinistra, quasi che il panorama politico si esaurisse in quella galassia. E’ vero: il centro-destra, in tutte le sue componenti, ha fatto e fa di tutto per scomparire, lasciando senza rappresentanza la maggioranza dei cittadini italiani (si legga l’amaro fondo di Galli della Loggia sul “Corriere” del 25 novembre scorso), al punto che la coalizione finora guidata da Bersani sembra contenere tutte le posizioni del panorama politico tradizionale, dalla sinistra al centro alla destra; tuttavia, la vita vera ci ricorda che non è così, che non esiste soltanto il centro-sinistra.

La politica estera, ad esempio, è scomparsa dai dibattiti fra Renzi, Bersani e Vendola; e si parla di Europa come se questa nobile utopia si esaurisse nell’unità monetaria e nell’approccio burocratico-finanziario delle istituzioni comunitarie. Quanto alle ricette per debellare la crisi, non sembra superabile l’antinomia fra le posizioni vendoliane e quelle della parte liberal del PD.

Ora, le posizioni “renziane, per quello che è emerso in queste settimane (soprattutto un certo favore per la cosiddetta “agenda Monti”, col correttivo di una nebulosa “patrimoniale”, oltre alla sbandierata volontà di “ringiovanire” il sistema), sembrano portare effettivamente un vento di novità, in grado di sparigliare le carte in tavola (del resto, è stato detto che, in certe fasi storiche, ai leader politici serve più il coraggio che l’esperienza). Da questo punto di vista, appare più credibile un Renzi – che ha già sconfitto, fin dalla sua elezione a sindaco di Firenze – l’apparato di partito e tentato di “uccidere il padre”; cosa che non sembra riuscire a un Alfano (Alfa-no, mai primo, ovvero nomen/omen). E questo spiega forse l’endorsement di cui parlavamo, da parte di esponenti della “cultura di destra” – oltre che di tanti simpatizzanti – come Sofia Ventura e Alessandro Campi.

Non dimentichiamo poi che fra polemiche, scenari e previsioni, sono finiti in secondo piano soggetti che hanno fatto e faranno sentire la loro influenza nelle decisioni politiche future, come il “Movimento 5 Stelle” e la Lega. E non va nemmeno trascurato il peso che sulle scelte – anche di astensione dal voto – potrà avere la questione dell’identità, nelle sue varie declinazioni: l’adesione a un progetto, la condivisione della soluzione di un pacchetto di problemi – locali o nazionali – non può fondare alcuna stabilità politica. Per non dire del disagio, sempre più spesso manifestato nelle piazze di tutta Europa e che in alcune regioni sta apertamente prendendo la piega della secessione, dalla Scozia alla Catalogna al Belgio; come se la disoccupazione, la sanità a rischio, la scuola potessero trovare il loro migliore asilo nelle “piccole patrie”. Ma questo è un altro discorso.

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