Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Questo articolo di Sigfrido Bartolini era stato pubblicato sull'«Indipendente» in occasione della mostra dedicata a Guardi a Venezia oltre 20 anni fa. Lo ripubblichiamo integralmente fatti salvi i riferimenti alla precedente esposizione.
A fare questo bel ritrattino di Francesco Guardi è l’Ispettore Generale delle Collezioni Veneziane, Pietro Edwards; rispondendo al celebre Antonio Canova che gli ha chiesto da Roma, nel 1804, un modello (studio o bozzetto) del Tiepolo e qualche veduta di Venezia. Le parole dell’Edwards, esempio di miopia burocratica che si perpetuerà nel tempo, danno un’idea precisa della poca stima goduta dal Guardi, a undici anni dalla morte, proprio in quella Venezia che aveva celebrato in tante vedute, giunte integre fino a noi, per smentire anche in questo le sospettose previsioni dell’Ispettore.
Più fatti avevano giocato a sfavore di Guardi e, primo fra tanti, quello di essersi trovato in concorrenza al grande Canaletto essendo arrivato dopo (erano nati con quindici anni di distacco), poi di ritrovarsi a bottega con il fratello maggiore Antonio, il minore Nicolò e infine il figlio Giacomo; tutti pittori di gran lunga inferiori a lui. Una bottega di copisti, dati i tempi non più floridi per Venezia, che lavoravano spesso, questo è vero, proprio per la pagnotta quotidiana accettando qualsiasi tipo di commissione, dalla copia da altri autori, al quadro a soggetto sacro o celebrativo di feste e avvenimenti pubblici degni di rilievo.
Già al Canaletto, pur con la sua fama, raggiunta comunque in vecchiaia, era stato giocoforza spostarsi a Londra per ben dieci anni, una volta calato il flusso dei ricchi turisti stranieri nella città-Stato ormai al tramonto. Ora per Francesco Guardi si trattava, con la sola forza del suo genio pittorico, di superare uno per uno tutti questi ostacoli per imporsi al proprio tempo e a quello a venire. Già l’essere considerato un copista, anche se questa era in realtà un'attività marginale della bottega, gli comportava l'essere relegato al rango di semplice artigiano, richiesto di compiti modesti e pagato, sempre, meno del dovuto. Si pensi alle oggi famose Turchesche, la serie dei quadri a soggetto orientale commissionatigli dal maresciallo Schulemburg e tratti da stampe e da dipinti del modesto pittore J.B.Van Mour, che li aveva eseguiti alla corte del sultano di Costantinopoli.
Per noi, in grado di giudicare la copia e l’originale messi a confronto, è fin troppo facile constatare cosa sia stato capace di tirar fuori il Guardi da scenette di genere dipinte mediocremente, è una vera e propria operazione alchemica che ha mutato in oro il comune princisbecco, ma per i suoi contemporanei restava il copista di lavori altrui e così le sue, solo sue, vedute raccoglievano poca considerazione e si prendeva così sottogamba quelli che sono gli ultimi capolavori della pittura veneta. […]
Non possiamo nascondere che […] ritrovarsi di fronte ai disegni del Guardi ci ha procurato un certo effetto molto prossimo all'emozione. Smessi i distinguo, le difficoltà interpretative, la tensione per la volontà di comprendere e valutare tenendo conto di tutte le nequizie, astruserie e limitazioni che comporta la miseria del nostro tempo, ci siamo sentiti qui come liberati da un peso e resi disponibili alla fruizione spontanea di una pur complessa qualità che sfiora il sublime.
I disegni del Canaletto, come i suoi dipinti, portano ancora l’impronta dell’ultimo bagliore aureo di Venezia, questi del Guardi ne mostrano l’offuscarsi e l'inizio del suo passaggio a reperto archeologico. Sono disegni dal tocco nervoso e vivacissimo, quasi l'autore avesse fretta di fermare questi muri, già cadenti negli intonaci, o le feste già scadute nel folclore. Disegni che rappresentano spesso un primo passaggio tra la realtà e il successivo dipinto, una prima interpretazione di questa città che sembra quasi dilatarsi nell' incalzare di una interiore decomposizione che ne amplifica gli spazi in una monumentalità di misura romana.
Guardi disegna con diversi tipi di penna, con movimento scattante tocca qua e là, più che definire suggerisce, poi macchia con velature a pennello, quasi acquerelli monocromi, vela superfici che divengono specchio d’acqua, crea spessori e volumi, ombre che con il loro contrasto fanno cantare il bianco della carta, come luce viva in cieli epici presaghi della tempesta. Con piccole virgole guizzanti suscita un capitello o una voluta, fa vecchio un muro, increspa la laguna, e il foglio acquista il sapore del momento e quello della fiaba di sempre.
Quando si passa ai
dipinti, le celebri vedute per le
quali spartisce il merito col Canaletto, ma nelle quali immette un pathos prima
ignoto, l’immagine di Venezia acquista una nota di struggente malinconia ed è
palese la sua vecchiaia ora che sta scivolando fuori dalla storia per divenire
un ricordo. E’ il Guardi a portare per primo nella pittura una venatura di disagio
pur nelle sue lagune immobili, nelle luci limpidissime, nelle invenzioni.
Si avverte nei suoi dipinti un vago sapore che sta tra il Romanticismo e l’Espressionismo ante litteram, quasi un presagio stimolante che affascina e turba; eppure è ancora la bellezza a nutrire potentemente queste opere.
I campanili si snelliscono e si allungano protesi verso il cielo, le piazze si fanno più ampie in una prospettiva che sembra sfuggire alle regole per adeguarsi al desiderio prepotente dell’artista (ecco la scorrettezza lamentata dall’Edwards), perché in effetti il Guardi sposta rive e palazzi, per far rientrare nel campo visivo di un colpo d'occhio anche ciò che resterebbe fuori, quasi usasse un grandangolare, chiedendo spazio e pazienza alla limitante realtà. L'aria che si respira nei suoi dipinti è settembrina o invernale, tanto è tersa e immobile; cornici, volute e pinnacoli di chiese e palazzi sembrano ceselli d’argento e tutto si specchia in un’acqua vitrea dove i riflessi si cullano stancamente increspando piccole bave bianche. In alcuni dipinti si nota ancora un residuo di vita vera, cittadina, magari nel daffare di barche e personaggi sul Canal Grande o per le calli, ma son già troppe le gondole che scivolano leggere per la delizia dei turisti, quelli che saranno un giorno le mandrie sguaiate che vediamo sgomenti mentre sciamano indifferenti sul corpo infermo della decaduta signora.
In altri dipinti sembra di avvertire anticipazioni impressioniste, come già vide Gino Damerini nel suo bel libro sul Guardi, uscito nel lontano 1904; si veda la Gondola sulla Laguna del museo Poldi Pezzoli, una composizione di estrema semplicità, che affida a un profilo esile della città lontanante il compito di separare acqua e cielo, immersi in un’atmosfera, se non inganna la patina del tempo, quale ritroveremo, appunto, nei pittori impressionisti. Eppoi ci sono i Capricci, imprevedibili e nuovi, ad aprire la strada alla fantasia, al gusto per le rovine d’invenzione, al quadro di genere che in seguito aiuterà l’arte e gli artisti a sopravvivere nell’indifferenza di una società laica e irridente. Non ebbe fortuna il precursore Francesco Guardi, perché se pure in forme d'incontestabile bellezza, ciò che annunciava era pur sempre la decadenza, e in tutti i suoi aspetti, visto che ancora lui può essere considerato il “primo artista incompreso”...
Le sue vedute, con quelle del maestro Canaletto, rappresentano i primi esempi della pittura di cavalletto, la cartolina di Venezia per il turista danaroso e magari anche colto; una cartolina che grazie a loro conserva il privilegio di mantenersi nella dimensione del capolavoro per continuare, ancora con la maiuscola, la Storia dell'Arte.
Francesco Guardi 1712-1793
Al Museo Correr Piazza San Marco, Venezia
Fino al 17 febbraio 2013
Aperta tutti i giorni dalle 10.00 alle 19.00 (la biglietteria chiude un’ora prima)
La mostra chiuderà i giorni 25 dicembre 2012 e 1 gennaio 2013
Inserito da tattutemailia il 14/09/2020 16:33:32
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