Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La musica barocca nasce nel XVII secolo e probabilmente si pone come una delle più grandi rivoluzioni musicali mai accadute.Nascono i concerti, nascono i prodromi dell’opera lirica, nascono tecniche, soprattutto nascono o vengono utilizzati un numero impressionante di “nuovi”strumenti.
Organo, violino ed archi, mandolini, flauti, cembalo (dal quale deriverà il fortepiano e poi il pianoforte), vedono il loro massimo splendore proprio in questo periodo. E non se ne andranno mai più via, né direttamente né come genitori di derivati.
Nasce la cantata fusa con una orchestra intera.
Nasce l’arte del contrappunto, ovvero viene portata alle estreme conseguenze da Johann Sebastian Bach. Tecnica tutt’ora presente e molto sfruttata nella musica jazz.
Le variazioni sui temi, oggi plagio, conoscono il loro massimo splendore e tracciano un esempio: Bach riprende quattro scritti di Vivaldi per riadattarli. Successivamente Mozart riscrive Il Messia di Haendel, e Mendelssohn riprende la Passione secondo Matteo di Bach, tanto per citare i più eclatanti.
Altro elemento di rottura e di novità è la nascita delle scuole musicali. Intese sia come centri di indirizzo e di influenza culturale, che come vere e proprie scuole dove si insegna e s’apprende la tecnica.
Quest’ultima caratteristica è il fulcro del barocco e si manifesta attraverso virtuosismi più o meno spinti e arditi. Ciò, nella forma concertistica, per creare effetti tali da sbalordire l’auditorio e per penetrare dentro la mente di chi ascolta. Il virtuosismo ha quindi una duplice funzione: produrre reazioni immediate con soluzioni tecniche ardite, e provocare reazioni profonde. A differenza dei romantici, Chopin e Listz in prima linea, le emozioni però non sono precostruite. Forse, ad un primo ascolto, la musica barocca ne potrebbe sembrare priva, e troppo incentrata sulla tecnica stilistica. Difatti, l’autore barocco non ha come fine principale quello di raccontare una sua emozione, bensì ha, come fine, quello di stupire. L’emozione vera è nascosta tra le pieghe delle note.
Egli fornisce e sa che deve fornire un vestito, una visione apparentemente neutra. Chi ascolta indossa questo strumento, e in quel momento guarda il mondo, guarda sé stesso, guarda un sogno. E lo veste delle sue emozioni mediate dalla musica che ascolta. Quando questo accade, la composizione, il musicista, l’esecutore hanno mediamente colto nel segno.
Vivaldi, il prete rosso, è probabilmente il massimo esponente del barocco italiano.
Sia per la copiosità delle sue opere, sia per la sua attività svolta per anni presso il Pio Ospedale della Pietà a Venezia (1703-1720). Che, più che un ospedale, era un orfanotrofio dove venivano insegnati mestieri agli orfanelli. Tra i mestieri si annoverano ovviamente anche quelli musicali: orchestrali e cantanti. Ebbe quindi la possibilità di insegnare, trasmettere tecniche, comporre e provare musica contando su un buon numero di studenti prima e orchestrali dopo. Vivaldi. La produzione vivaldiana è immensa: rimanendo alla sola musica strumentale l’inventario ad oggi conta circa 600 concerti.
Era suo costume provare e giocare, sia con le note, che con strumenti diversi, per certi versi anche inusuali nella musica “colta”.
Tra questi, scrisse tre concerti per flautino. Ora, al di là delle dispute sull’uso dell’ottavino o del flauto soprano (da quello che trovo in giro, due sono le indicazioni sulla partitura: flautino o piccolo), questi concerti sono scritti nella struttura classica: allegro adagio allegro. Questi tre concerti sono stati eseguiti a Roma, presso lo splendido Oratorio del Gonfalone, sito nelle immediate vicinanze di Via Giulia, cuore della città rinascimentale e barocca.
E’ stato un mio rifugio durante i miei studi universitari: andavo a sentire concerti e prove in continuazione immergendomi sempre in una magica atmosfera, come fosse un luogo al di là della quotidianità e degli affanni giornalieri.
Ci sono tornato l’altra sera per due motivi: il primo proprio per l’esecuzione del Concerto per Ottavino, archi e basso continuo Antonio Vivaldi RV 443 (catalogazione Ryom - Ryom Verzeichnis n.d.r.) con il Gonfalone Ensemble; il secondo per la presenza di una solista che già avevo avuto modo di ascoltare: Marta Rossi ottavino.
Per sua struttura, il suono dell’ottavino è, sicuramente come tutti i fiati, una trasformazione del fiato in nota. Si passa quindi dall’anima alla musica, la trasformazione di una funzione essenziale alle note, con la particolarità che l’ottavino suona direttamente alla ottava superiore.
Personalmente ero abituato a sentire Vivaldi concertista per orchestra d’archi e vedere due violini, una viola, violoncello, contrabbasso e cembalo ha portato tutto in una dimensione più intima. Per il mio gusto, è meglio una struttura più robusta, ma è stato comunque gradevole.
Il concerto è nella più classica delle tonalità: do maggiore. Ma, visto che Vivaldi amava giocare, fornisce subito indicazione di iniziare in altra tonalità: Gl'istromenti trasportati alla 4°. Si inizia in fa maggiore. Si arriva poi dopo qualche battuta velocemente al do, poi si passa alla relativa minore, la minore. Il tutto in un volo giocoso di note suonate dall’Ensamble del Gonfalone e dalla affascinante Marta, secondo un classico schema vivaldiano: prima tutti insieme a portare il canto principale, poi lo strumento solista dialogante con l’orchestra. La prima parte, l’allegro, scorre via veloce e piacevole, anche se mi sembra aver sentito qualche imperfezioni dai violini. Ma accade, soprattutto quando si sta a ranghi ridotti.
Secondo movimento: l’andante. Qui il canto solista spicca alto e solitario, sorretto con molta discrezione da un tranquillo e lieto continuo. Spande le sue note, leggere e grintose, che dominano discrete ed innocenti riempiendo lo spazio tutto, mentre il continuo sottostante è una increspatura lietissima come il mare piatto con una leggera ed impalpabile brezza. Salgono le note, a volte struggenti, a volte come per eco lontano anche intime e toccano l’anima, la sfiorano delicatamente con tanta intima e sì, anche giocosa e sorridente grazia.
Marta Rossi in questo è stata emozionalmente impeccabile. Supportata da una ottima tecnica, è riuscita a trasformare il soffio umano in nota, colorandola di una emozione impalpabile e dai contorni lieti e poco definiti, lasciando il completamento alle orecchie e al gusto di chi ascolta. Lo ha fatto anche con qualche abbellimento, note lunghe tenute impercettibilmente più della misura aritmetica per agganciarsi alla successiva e non lasciarla sola; ha soffiato dentro lo strumento una anima e una grazia che poche volte ho sentito. Nulla di esagerato, nulla di artificioso o di stravolgente; solo la sua interpretazione che fornisce una chiave di lettura del brano molto intima, a tratti struggente, ma senza mai perdere il filo logico della emozione. Un granello di sale per un concerto che le calza alla perfezione, senza mai abbandonarsi a letture strane o eccessivi voli con le note: solo una mano che carezza, con sorriso e grinta.
Per questo motivo, invito ad ascoltare l’esecuzione del largo del concerto RV 443, eseguito con altra orchestra. E’ per far capire con le orecchie quanto lo scritto non riesce
http://www.youtube.com/watch?v=WyM-178aC7E (riprodotto a fine articolo)
e metterlo a paragone con altra esecuzione, altri strumentisti
http://www.youtube.com/watch?v=sx-QyPXqz4k
tecnicamente ineccepibile (è una registrazione da studio) ma priva di quell’afflato di cui il primo esempio è pieno.
Il terzo movimento, allegro, è una corsa allegra verso la fine corale. Una esecuzione impeccabile, che nulla toglie e nulla aggiunge alla allegria atarassica di Vivaldi, fatta come in tanti casi di scale incredibili, di quartine mozzafiato intervallate con note lunghe.
Non so se Vivaldi pensasse ad una solista come Marta Rossi quando ha scritto questo concerto, ma sicuramente Marta nobilita questo spartito e lo indossa ottimamente.
Quanto da me esposto è, ovviamente, solo quanto sentito non da un professionista, ma da un piccolo dilettante che durante la giornata divora musica. Quindi, mi assumo piena responsabilità di quanto scritto, anche nelle mie imperfezioni. Tutto qua.
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