LE TRADIZIONI DEL NATALE

Il Presepe, l'albero, il ceppo, i fuochi, i regali

Ebbene, nel 1223, il 25 dicembre, san Francesco d'Assisi decise di celebrare in una grotta vicino a Greccio, il ricordo della Natività con un vero e proprio Presepe vivente

di Marina Cepeda Fuentes

Il Presepe, l'albero, il ceppo, i fuochi, i regali

Molti lettori,  fin dall'8 dicembre festa dell'Inmacolata, avranno preparato a casa il  Presepe: un'usanza  nata proprio in Italia, e precisamente  a Greccio, un paesino vicino a Rieti. Fu san Francesco d'Assisi a idearlo ispirandosi alle Sacre rappresentazioni che già esistevano fin dal secolo nono in molti paesi europei  dove  si erano formati   i cosiddetti “Uffici drammatici” che rievocavano con brevi dialoghi le principali scene evangeliche.

Erano nati a loro volta a partire dall'ufficio quotidiano delle Ore,  cioè dalla preghiera liturgica che si teneva in determinate ore del giorno: successivamente quei primi esperimenti drammatici si ampliarono  in strutture più ampie e complesse.

Il  tema della Natività  ispirò nel monastero di  Benediktbueren - da cui presero il nome i  celebri “Carmina burana” -   un vero e proprio Dramma  della Natività con decine di personaggi  e varie scene al cui centro campeggiava  quella del Presepe  che in latino significava greppia o stalla.

Ebbene, nel Natale del 1223 san Francesco d'Assisi decise  di celebrare in una grotta vicino a Greccio, il ricordo della Natività con un vero e proprio Presepe vivente.

 Bonaventura da Bagnoregio narra così la commovente scena: “Fece preparare una stalla, portare del fieno  e condurre un bue e un asino. Si radunano i frati, accorre la popolazione: il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente  di luci, solenne e armoniosa di laudi armoniose. Francesco stava davanti alla mangiatoia ricolmo di pietà”.

La  presenza del bue e l'asino in quel primo Presepe francescano, diventata  d'allora una tradizione,  non risale ai Vangeli Canonici riconosciuti dalla Chiesa  ma  a uno dei cosiddetti  Vangeli Apocrifi, quello dello Pseudo Matteo: “Il terzo giorno  dopo la nascita del Signore Maria uscì  dalla grotta  ed entrò in una stalla: mise il bambino nella mangiatoia e il bue e l'asino l'adorarono. Così si adempì  ciò che era stato preannunziato  dal profeta Isaia che aveva detto: -Il bue ha riconosciuto  il suo proprietario e l'asino la greppia del padrone”.

E soggiunge lo Pseudo Matteo:  “Infatti questi animali, avendolo  in mezzo a loro, lo adoravano  senza posa”.

 Più tardi, nei bestiari medievali i due animali hanno  ispirato tanti simboli. E così, secondo san Girolamo l'asino rappresenterebbe l'Antico Testamento e il bue il  Nuovo.  A sua volta Isidoro di Siviglia  vedeva nell'asino i pagani e nel bue  gli ebrei che dovevano essere evangelizzati.

Altri ancora sostengono che il bue figura il Buon ladrone e l'asino il  Cattivo. Il bue  a sua volta ha simboleggiato persino il Cristo crocifisso, come testimonia  il rilievo di un pilastro di un edificio protocristiano di Efeso dove sotto la Croce si vede  un animale con una piccola croce sul dorso. Un simbolo facilmente comprensibile nel mondo antico dove il bue, come il toro, era una vittima nei sacrifici.

 Ma nel medioevo  il bue, paziente e robusto  nell'aratura, ha evocato soprattutto il simbolo del Cristo che  “lavorava nel campo di Dio”. In ogni modo l'asinello del Presepe è  l'animale che ha suscitato più simboli nel Medioevo, soprattutto positivi: “perché”, si diceva,  “un asino che adorava Gesù bambino non poteva non essere un animale dotato di virtù”.  L'asinello  evocò, infatti,  anche il simbolo  di una virtù propria  dell'animale che  sopporta con  pazienza fatiche e maltrattamenti   compiendo anche i servizi più umili.

Insomma, aldilà dalle polemiche sorte in queste settimane dopo l'uscita del libro di Benedetto XVI sulla vita di Gesù, il bue e l'asino, sebbene non siano presenti nei racconti evangelici canonici,  sono due elementi irrinunciabilmente  fissi da secoli nei presepi di ogni tipo, vivente o inanimato. 

Il più antico  Presepe inanimato di cui siano rimaste notizie certe, è  quello bellissimo  di Arnolfo di Cambio del 1291,   conservato nella basilica di Santa Maria Maggiore  a Roma  dove, secondo la tradizione, si custodiscono anche  le reliquie della mangiatoia dove fu deposto Gesù al momento della nascita a Betlemme.

Ma da alcuni decenni, sulla scia  di  san Francesco,   in molte località italiane si rappresentano  nei giorni di Natale presepi viventi più o meno riusciti, alcuni molto suggestivi, specialmente quello di Greccio che tuttora si celebra con un rituale ben preciso. Nel pomeriggio del 24 dicembre coppie di zampognari cominciano a suonare le nenie natalizie  per le vie del paese. Alle  ventuno araldi a cavallo convocano la gente delle contrade a raccolta presso il santuario e un'ora  più tardi i fedeli,  snodandosi in una lunga fiaccolata, s'incamminano per quattro chilometri sulla strada tappezzata di lumi mentre tutte le campane suonano a stormo.

Nel piazzale inferiore del santuario si rievocano in costume medievale gli avvenimenti più memorabili che hanno segnato la storia del convento fra cui l'incontro di Francesco col Papa per chiedergli il permesso di rappresentare quel primo  Presepe.

Alle 23, 30 un corteo di fedeli con le torce in mano si dirige verso la grotta dove vi sono il bue, l'asinello, Giuseppe, Maria e il Bambin Gesù. E allo scoccare della mezzanotte si celebra la messa solenne sia all'interno della capanna che all'aperto, nella piazza superiore. Alla fine si distribuisce il fieno benedetto  a tutti i presenti. Questa offerta ricorda un avvenimento accaduto durante quel primo presepe del 1223, quando alla fine della rievocazione i contadini del luogo si contesero la  paglia della mangiatoia  ritenendola una sorta di amuleto. 

Oltre a quello di Greccio, dalla atmosfera unica, ve ne sono molti altri in giro per l'Italia. Uno dei più grandiosi, che occupa un'intera vallata costellata  da grotte dell'epoca etrusca,  si svolge in varie giornate fino all'Epifania nel viterbese, a Corchiano: è uno spettacolo  indimenticabile che ben vale una gita nonostante  il freddo intenso della zona.

Quanto ai presepe inanimati, i più  celebri al mondo  furono creati dagli artigiani  napoletani i quali continuano tuttora,  nella pittoresca  via di san Gregorio Armeno,  una tradizione che nei secoli XVII e XVIII ha raggiunto  risultati artistici altissimi con i cosiddetti  “pastori”.

Un bel presepe inanimato è quello siciliano di Acireale, ai piedi dell'Etna, che nacque, come vuole la leggenda, nel 1752. si racconta che un giorno un pastore, sorpreso da un furioso temporale, si rifugiò in una grotta lavica; e mentre aspettava che spiovesse  decise di cominciare la costruzione di  un presepe con i materiali che trovò. Dopo un anno la grotta era popolata da figure a grandezza d'uomo in legno, ma con mani e volto  di cera. Ebbene, nonostante alcune siano stati distrutte dall'incuria e del passaggio del tempo, la maggior parte  sono tuttora ra in ottimo stato e compongono uno dei prese  più  spettacolari dell'Italia.

Ma in molte case, ormai da decenni,  il simbolo delle feste natalizie è   l'Albero di Natale: i fautori del Presepe sostengono che non sia un'usanza cristiana oppure che sia una moda giunta come tante altre dall'America insieme con il buon Babbo Natale. E invece l'Albero,  fin dal Medioevo,  è stato identificato con il Cristo.

D'altronde, come scrive Alfredo Cattabiani nel suo “Calendario” (Mondadori), in tutte le antiche tradizioni  “l'albero è l'Asse del Mondo attraverso il quale l'Eterno si manifesta nel mondo visibile: nell'Antico Testamento, ad esempio,  è l'Albero della Vita piantato al centro dell'Eden  e del quale Adamo ed Eva potevano nutrirsi prima del peccato originale.  E perciò, molti  teologi medievali lo identificavano con il Cristo”.

 E infatti, il vescovo Ippolito di Roma scriveva nel III secolo a proposito della Croce di Cristo: “Pianta immortale, s'innalza al centro del cielo e della terra: fermo sostegno dell'universo, legame di tutto, sostegno di tutta la terra abitata”.

Per tutto ciò ad Assisi, nella cappella del monastero di Santa Croce, dove vivono le suore cappuccine tedesche, nella notte di Natale un abete campeggia sotto il Crocefisso dell'altare maggiore e molti altri alberelli sono sistemati lungo la navata.

Insomma, ben venga anche l'Albero di Natale per simboleggiare una delle feste più importanti del mondo:  per i cristiani  i lumini  che s'appendono all'abete rappresenteranno  la luce che il Cristo dispensa all'umanità; mentre le palline colorate,   i regalini oppure  i dolciumi appesi  saranno il simbolo della vita spirituale  e dell'amore che il Cristo  offre ai credenti.

E il ceppo di Natale? Dove è finito il ceppo, cioè quel  ciocco di quercia, che una volta tutte le famiglie toscane mettevano  nel camino  e che ormai è praticamente scomparso?  Quel ceppo era interpretato  come il simbolo, l'immagine del Cristo; ed era in uso anche in tanti altri luoghi dell'Italia: probabilmente lo è tuttora   in alcune località del  Friuli e del Veneto dove viene chiamato “nadalìn”  e dovrebbe ardere dalla Vigilia di Natale fino al giorno dell'Epifania nel focolare, il cosiddetto “Fogolar Furlan”.

Una volta le famiglie vi si riunivano davanti e cantavano in coro: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri in questa casa; le donne facciano figlioli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondi il grano e la farina e si riempia la conca di vino”. Poi  i bambini ricevevano  dolci e regalini.

E  a proposito dei regali durante le feste di Natale, quando c'è sempre un moralista che tuona contro l'atmosfera “pagana” di questi giorni, non consone con la celebrazione cristiana. Eppure fin dai tempi degli antichi Romani questo periodo solstiziale è sempre stato celebrato con grande l'effervescenza che corrisponde alla   fine di un periodo,  come spiega Cattabiani nel “Calendario”.

Un lungo periodo che cominciava il 17 dicembre con i “Saturnali”, le feste in onore del dio Saturno, durante le quali ci si scambiavano come doni  candele e statuette di argilla mentre era permesso  il gioco d'azzardo e i ruoli sociali s'invertivano: lo schiavo diventava padrone  e il padrone  lo serviva per gioco, come a Carnevale.

“Quell'atmosfera scherzosa e persino orgiastica”, scrive Cattabiani,  “simboleggiava  la fine dell'anno vecchio  che si disfaceva nel caos, come un cadavere; da quel caos si sarebbe  poi formato l'anno nuovo, celebrato il primo di gennaio quando i Romani si scambiavano  come portafortuna doni augurali, dette strenae”.

 Ebbene, originariamente le  “strenae”  erano rametti d'alloro, simbolo del sole che in quei giorni cominciava  nuovamente a ricrescere sull'orizzonte  dopo la morte invernale del solstizio: si coglievano in un boschetto  sulla via Sacra consacrato a una dea di origine sabina, “Strenia”, apportatrice di fortuna e felicità.

Successivamente si chiamarono “strenae” anche doni  di vario genere, quelli  che sono diventati per noi  le strenne natalizie.

Quanto ai diffusissimi Falò solstiziali del Natale,  erano una volta strumenti di purificazione per bruciare  simbolicamente i mali, le disgrazie e i peccati dell'anno precedente e propiziavano  la nuova stagione, la fecondità   delle famiglie e degli animali e la fertilità dei campi. E perciò si accendono ancora anche in molti luoghi dell'Italia. Ad esempio in Liguria: da Chiavari a  Triora o Dolceacqua, dove, dopo la Messa di mezzanotte del 24 dicembre, bruceranno dei grandi falò, chiamati in dialetto il “foëgu  du Bambin”.  La raccolta del legname  è compito dei bambini, le mani innocenti che contribuiscono alla rinascita della nuova luce.

Ah, e la Vigilia di Natale, allo scoccare della mezzanotte, chi ha un giardino oppure vi abita vicino, provi ad uscire e a guardarsi intorno perché secondo un'antica tradizione quelle ore sarebbero magiche: una volta si credeva infatti che  i fiori germogliassero sotto la neve, che nelle fontane l'acqua si mutasse in vino, che  gli animali parlassero, che le anime di coloro che morivano  volassero  in paradiso e che le nuvole predicessero a chi le osservava da un crocicchio  tutto quel che doveva succedere  nel nuovo anno. 

La   credenza nella “magia delle Notte di Natale”  nasce   da una leggenda raccontata  in uno dei Vangeli Apocrifi,  e concretamente nel cosiddetto Protovangelo di S.Giacomo.

Vi si narra  che Giuseppe  era andato a cercare  una levatrice perché Maria aveva le doglie quando a un certo momento  si accorse di essere immobile, di non potersi più muovere. Stava nascendo Gesù e così racconta: “Guardai per aria  e vidi che  stava come attonita, guardai la volta del cielo  e la vidi immobile, e gli uccelli del cielo erano fermi. Guardai a terra e vidi posata una scodella: e quelli  che stavano masticando non masticavano più, e quelli che stavano prendendo cibo  non lo prendevano più, ma i visi di tutti erano rivolti  in alto. Ed ecco  che alcune pecore  erano condotte al pascolo, e non camminavano, ma stavano ferme; e il pastore  alzava la mano  per percuoterle con il bastone, e la sua mano restava per aria.  Guardai alla corrente  del fiume e vidi  che i capretti tenevano  il muso appoggiato  e non bevevano... e insomma tutte le cose, in un momento,  furono distratte dal loro corso”.

 D'altronde che sia una notte magica lo rammenta  anche un  proverbio istriano: “La note de Nadal  dute le bestie sa parlar” e cioè  “la notte di Natale tutte le bestie sanno parlare”.

Insomma, tante usanze e tanti riti e tante scorpacciate all'insegna del Natale e anche del rinnovamento dell'anno, sebbene quest'anno la crisi economica  eviterà, si spera,  gli sprechi. Quel che conta infatti  è passare questi giorni di festa con serenità e in compagnia delle persone amate.

AUGURI DI BUON NATALE A TUTTI!!!

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