Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Non è più in edicola “Il Secolo d'Italia”, storico giornale di destra, già del Msi, poi di An, ora “con il Pdl” come era indicato sulla testata. Venerdì 21 dicembre è uscito l'ultimo numero a stampa.
Ha scritto Marcello
De Angelis, direttore del giornale, nel
suo editoriale: “Questo è l'ultimo numero del “Secolo d'Italia” prodotto con
carta e inchiostro. Mai dire mai, ma da domani, sotto la mia direzione e quindi
almeno in parte sotto la mia responsabilità, questa storica testata si
svincolerà dalla materialità per trasferirsi nella rete”.
Non è una notizia che fa piacere, di sicuro è una perdita. “Già oggi i nostri
lettori sul web sono dieci volte superiori a quelli che si spostano per andare
in edicola. E lo stesso prodotto, sul web o cartaceo, costa enormemente di
meno”, scrive ancora De Angelis. Parla di costo del lavoro e rivendica:
"Il nostro prodotto non sono la carta e l'inchiostro, sono le idee".
D’accordo, è cambiato e sta ancora cambiando il modo di fare comunicazione. La “carta stampata” sa di Novecento, di piombo e di inchiostro. Oggi trionfa l’immaterialità informatica, la diffusione online ed in tempo reale. E tuttavia ammainare una presenza, anche fisica, nelle edicole, se non nelle piazze, tra la gente, non può non fare riflettere. Anche perché l’uscita del “Secolo d’Italia” dal circuito “ordinario”, quello che comunque va nelle rassegne stampa, “fa opinione”, avviene nel momento in cui più acuta appare la crisi della tradizionale area di riferimento del giornale. Un’area sempre più divisa, parcellizzata, incapace di “ritrovarsi” – come si è potuto vedere nelle ultime consultazioni per la crisi del Governo Monti.
Proprio nel momento in cui il centrodestra appare più in affanno e quindi necessita di luoghi di confronto, di dibattito, d’informazione, ammainare una testata gloriosa, che proprio quest’anno ha festeggiato il suo sessantesimo di vita, suona come una sconfitta per un intero mondo, politico e culturale, che intorno a quella testata si era trovato, formato, cresciuto professionalmente.
Dal “Secolo d’Italia” sono transitati molti importanti opinionisti e giornalisti, approdati a giornali di più larga diffusione. Il “Secolo d’Italia” è stato il trampolino di lancio per molte fortune politiche. Palestra di giornalismo e di politica, dunque, ma non solo…
Come ebbe a scrivere Gennaro Malgieri, nella prefazione del libro “I ragazzi di Via Milano” di Mauro Mazza, “Il “Secolo d’Italia” è stato per noi un rifugio e una famiglia; una comunità e un laboratorio di idee; una trincea e un avamposto del quale eravamo orgogliosi; un punto d’incontro per chi non aveva né parrocchie né Frattocchie”.
Sarà anche vero che – come ha scritto sempre De Angelis – “la battaglia continua, con altri mezzi”, ma la fine del “Secolo d’Italia” a stampa appare come il sintomo della fine di un certo mondo, ormai in preda alla diaspora politica e quindi costretto ad abbandonare uno dei luoghi-simbolo della propria storia. Non c’erano riusciti gli “anni di piombo”, gli attentati, i boicottaggi, i silenzi di un sistema che lo aveva marginalizzato. Ci sono riuscite le guerre intestine, le piccole ambizioni personali, le invidie mascherate da “grande politica”. E’ il segno dei tempi. Brutti tempi per una politica senza bussola, che ha perso l’orgoglio della propria identità.
Inserito da painnet blade il 09/02/2013 16:59:42
Marcello De Angelis:“Già oggi i nostri lettori sul web sono dieci volte superiori a quelli che si spostano per andare in edicola. E lo stesso prodotto, sul web o cartaceo, costa enormemente di meno”, scrive ancora De Angelis. Parla di costo del lavoro e rivendica: "Il nostro prodotto non sono la carta e l'inchiostro, sono le idee".
1‘Già oggi i nostri lettori sono dieci volte superiori’ .
-
Inserito da ghorio il 24/12/2012 23:49:57
La"morte" di un giornale non fa davvero piacere. Per quanto mi riguarda sono tra i cultori della carta stampata, anche se sa tanto di Novecento. L'idea che un giornale possa essere letto solo on line non mi entusiasma.Per quanto mi riguarda non sono militante di partiti di destra ma, come moderato, ho sempre guardato con simpatia alla stampa di centrodestra essendomi formato con la lettura di vari giornali di quest'area: cito per tutti "Il Tempo" di Renato Angiolillo e "Il Giornale" di Indro Montanelli. Potrei citare anche "Il Borghese", "IlL Settimanale" e "L'Italia Settimanale". La stampa di centrodestra non è che attualmente goda di grande diffusione, nonostante che negli ultimi 20 anni non siano mancati governi di centrodestra. E' strano come nel momento in cui dovrebbe essere in auge, è arrivata la crisi di lettori. Una questione che sembra inspiegabile ma che dimostra come in quest'area non si legga molto, a livello di quotidiani politicizzati. Certo la situazione di confusione nell'area di centrodestra politico non giova per niente. Eppure la stampa dovebbe essere valorizzata e rilanciata. Ho sempre polemizzato per la mancanza di pubblicità o quasi sui giornali dell'area di centrodestra: un boicottagio che non ho mai compreso. Quanto poi agli editori, nell'area di centrodestra non si è mai registrato un impegno profondo organizzando società per rendere possibile l'edizione di iniziative editoriali solide e sostenute con vigore. Mi viene in mente il quotidiano "L'Indipendente", diretto dal bravo Giordano Bruno Guerri . Un giornale fatto bene, confezionato con stile e poi alla fine non è stato sostenuto sino alla fine. Lo stesso Guerri per una parola stampata sul giornale, che oggi viene ripetuta in tutte le salse, venne di fatto licenziato. E' vero: la carta stampata è in crisi. Proprio in qusti giorni cessa le pubblicazioni e passa on line un grande settimanale amricano come "Newsweek"ma sarebbe ora e tempo che nell'area di centrodestra ci sia più convinzione per il rilancio della stampa. La circolazione delle idee e della cultura in generale passa soprattutto dalla carta stamnpata. La vicenda de"Il Secolo d'Italia" dovrebbe fare riflettere anche gli intellettuali di quest'area. Giovanni Attinà
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