Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
no spettacolo davvero sfortunato, il dittico Mago di Oz – Gianni Schicchi, (il balletto ideato da Francesco Ventriglia su musica di Poulenc abbinato all’opera comica di Puccini) in programma al teatro del Maggio dal 19 al 23 dicembre ma originariamente previsto in estate e rinviato a causa dei famigerati problemi al soffitto del vecchio teatro Comunale. Il passaggio al Nuovo non lo ha infatti salvato da una nuova tegola, quella di una agitazione sindacale con tanto di sciopero, che ne ha compromesso la prima il 19 e portato all’annullamento dell’ultima recita il 23, tra la comprensibile rabbia e costernazione di un pubblico che era accorso numeroso ; ma che ha scelto decisamente le persone sbagliate con cui prendersela, ossia il direttore di Maggiodanza Francesco Ventriglia e Francesca Zardini dell’Ufficio Stampa, a cui è toccato il compito davvero ingrato di annunciare agli spettatori la decisione di non procedere. Sarebbe stato molto più logico che fischi e commenti li avessero indirizzati ai gruppi di agitatori e agitati, schierati fuori del teatro dietro l’immancabile striscione rosso targato CGIL (e altri d’altro colore ma dello stesso tenore) in uno scenario molto anni ’70 ma del tutto fuori tempo ai giorni nostri.
Causa scatenante dell’ennesima protesta del personale del teatro “La volontà espressa dalla Fondazione di voler procede al licenziamento di 23 lavoratori” recita un volantino firmato SLC CGIL – FISTEL CISL, definendo tale volontà “ inconsistente ed impossibile sul piano giuridico (….) e anche pretestuosa circa gli obiettivi da raggiungere.”
Senza entrare nel merito della questione sindacale né in quello dei problemi, sicuramente gravi e complessi, dei bilanci della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino, non c’è dubbio che i lavoratori dello spettacolo abbiano il sacrosanto diritto, come chiunque altro, di difendere il proprio posto di lavoro. Ma senza dubbio questo è anche il modo più sbagliato per farlo. Demolire la credibilità di quella che è una delle prime istituzioni culturali d’Italia e d’Europa in campo musicale significa attentare all’immagine di Firenze e anche rischiare di innestare un processo che alla fine porti alla perdita di ulteriori posti di lavoro. Gli scioperanti avrebbero infatti dovuto ascoltare la più che comprensibile rabbia e indignazione soprattutto di chi, venuto da fuori e anche da lontano (come sovente accade nelle rappresentazioni festive) potrà anche avere il rimborso del biglietto, ma non certo quello delle spese di viaggio sostenute. E in tempi straordinariamente difficili per tutti ma soprattutto per la cultura, è già un atto di coraggio investire soldi in un buon spettacolo; ma se oltre a tutto questo diventa incerto o non quello promesso, come già altre volte è accaduto nel recente passato, allora si rischia veramente una disaffezione e uno scollamento da parte del pubblico, alimentato oltre a tutto da una parte della stampa che in modo francamente un po’ miope, ha dato addosso al teatro per lo spettacolo “ridotto” del 19, facendo per il 23 preferire di annullarlo del tutto piuttosto che rischiare un’altra “fischiata”.
Atteggiamento comprensibile da parte del Maggio, fiero e consapevole delle proprie tradizioni e che negli ultimi tempi ha fatto veramente molto per risalire una china che si era rivelata pericolosamente in discesa; e almeno a livello di qualità degli spettacoli ci è sicuramente riuscito; tra l’altro, le rappresentazioni che si sono potute svolgere hanno confermato questo momento artistico decisamente positivo. Questo non assolve certo da errori di bilancio, di gestione o sprechi, che vanno risolti con la massima serietà e rigore; i lavoratori del maggio, come recita ancora il volantino sono senz’altro “lavoratori dignitosi a cui si deve rispetto” e questo va tutelato in ogni modo. Ma quelli che hanno sabotato gli spettacoli dovrebbero magari ricordarsi (come hanno del resto fatto vari loro colleghi che non hanno aderito allo sciopero) che anche la cultura e l’arte hanno un dignità che non si può svilire dietro i soliti stracci rossi, e che certo sindacalismo spesso e volentieri più che gli interessi dei lavoratori ha fatto soltanto ed esclusivamente il proprio. Senza contare il fatto che chi paga il biglietto contribuisce a mantenere il posto di lavoro, per cui prenderlo a pesci in faccia non è esattamente la politica più intelligente.
Una brutta stonatura, di cui la direzione del Teatro non è responsabile, ma da cui deve cercare di tutelarsi in ogni modo per l’avvenire, perché altrimenti tutti i suoi sforzi saranno vani. E a rimetterci, ancora una volta, saranno la cultura e l’arte.
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