Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Luigi Gedda
Primavera del 1948. In vista delle politiche del 18 aprile, sapore di guerra civile. Il voto assume il significato di un referendum pro o contro il comunismo, con tanto di mobilitazione della Chiesa, padre Lombardi “microfono di Dio” in testa.
Il PCI e il PSI, già estromessi dal Governo il 13 maggio del ’47 con le dimissioni formali di De Gasperi, definite da “l’Unità” un colpo di Stato[1], ben presto creano un raggruppamento unico, aperto però anche a gruppi più moderati[2]. Il 7 novembre di quell’anno il PSI propone infatti di formare un “raggruppamento di tutte le forze democratiche per la lotta della sinistra contro la destra”[3]. Inizia a prendere forma l’idea di Fronte Democratico Popolare, che il 28 dicembre viene ufficialmente costituito.
Dall’altra parte la DC e i 20.000 Comitati Civici parrocchiali, che secondo l’opinione ormai diffusa tra i maggiori politologi saranno determinanti nella vittoria dello Scudo crociato (48,5% dei suffragi)[4]. La storia dei Comitati è presto raccontata.
Luigi Gedda, già presidente centrale della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) dal 1934 al 1946[5]e presidente degli Uomini di Azione Cattolica dal 1946 al 1949[6], tramite il conte Galeazzi ottiene un’udienza privata con Pio XII il 20 gennaio[7]. Il Santo Padre è in evidente apprensione per le affermazioni di Togliatti al Congresso del PSI, cui si dichiara sicuro della vittoria del Fronte Popolare. Il Pontefice spiega si tratta di una “lotta decisiva” e che quindi è il momento di impegnare tutte le proprie forze. Gedda gli propone quindi di costituire un “Movimento Animatori” che, per non confondere con l’Azione Cattolica e la Democrazia Cristiana pensa di chiamare con il nome che fa epoca: Comitati Civici[8].
Gedda assume così il doppio incarico di Presidente dei Comitati e di Presidente centrale degli Uomini di Azione Cattolica e inizia a dirigere il lavoro necessario per la mobilitazione elettorale della Chiesa italiana attraverso quattro uffici: l’Ufficio mobilitazione, l’Ufficio psicologico, l’Ufficio stampa e l’Ufficio spedizioni[9].
I Comitati Civici non possono essere né apparire come un’emanazione dell’Azione Cattolica perché nel Concordato si vieta espressamente all’Azione Cattolica di occuparsi di politica. I Comitati rappresentano quindi la sola iniziativa politica della Santa Sede[10]. Per soddisfare le esigenze economiche della nuova struttura, Pio XII indica Monsignor Montini. Lo stesso Montini che da Assistente Ecclesiastico suggerisce il nome di Democrazia Cristiana allo schieramento cattolico, riprendendolo dalla denominazione coniata a suo tempo da Don Romolo Murri, caro amico di suo padre[11].
I Comitati diventano quindi un’organizzazione “che ha lo scopo di animare un’impresa destinata a tutte le istituzioni cattoliche italiane (diocesi, parrocchie, Ordini e Congregazioni religiose, scuole, Confraternite, organizzazioni laicali di ogni tipo ed età) e, mediante esse, a tutti i cattolici consapevoli, perché sappiano come comportarsi nella imminente battaglia elettorale”[12]. Lo stesso Papa rende noto che i Comitati “operano al di fuori e al di sopra di ogni partito politico” essendo la loro struttura diocesana e parrocchiale. Il loro lavoro inizia l’11 febbraio 1948, con un Gedda impegnato totalmente nella mobilitazione elettorale come da espressa direttiva papalina[13].
Da un lato Pio XII si preoccupa perché la DC non vuole stabilire un’intesa con le altre forze antisovietiche, dall’altra gongola perché i socialcomunisti si trovano disorientati rispetto all’azione dei Comitati.
Nel loggiato di San Pietro il giorno di Pasqua, 28 marzo, il Papa lancia un messaggio a tutti gli italiani nel quale evidente è il richiamo estremamente anticomunista[14]: “su questa moltitudine di Roma credente si posa quasi un’ombra di gravità singolare […]; questa Roma si trova ora dinanzi, o per meglio dire, in mezzo a una svolta dei tempi, che richiede […] somma vigilanza, instancabile prontezza, incondizionata azione […]. La vostra coscienza sa che l’attuazione della giustizia sociale e della pace fra le nazioni non potrà essere ma conseguita e assicurata, se si chiudono gli occhi al ‘lume di Cristo’ e si aprono invece gli orecchi alla erronea parola di agitatori che nella negazione di Cristo e di Dio pongono la pietra angolare e il labile fondamento dell’opera loro […]”.
Le vicende elettorali hanno anche un riflesso nell’Azione Cattolica. Presidente Generale dell’Azione è dal 12 ottobre 1946 Vittorio Veronese, che riflette sin da subito il pensiero di Monsignor Montini[15]. Quello cioè di affiancare la DC nella colossale battaglia elettorale che si profila[16].
La DC s’interessa al lavoro dei Comitati Civici perché opinion leader a lei favorevoli. Ma anche perché la motivazione è diversa da quella della DC: non semplice “Appello” al paese impostato sullo slogan “salvare la libertà”, bensì esplicito riferimento alla fede cristiana del popolo e alla vita della Chiesa universale[17].
L’obiettivo è tuttavia lo stesso: far votare DC. E allora ecco che il Partito, attraverso il suo segretario Attilio Piccioni propone una riunione a Piazza del Gesù dove Gedda suggerisce la designazione di parecchi candidati provenienti dall’Azione Cattolica[18].
I Comitati infatti si muovono lungo una coordinata formidabile: per battere il Fronte Popolare non basta un partito cattolico. E’ necessario una struttura parallela non partitica, strutturata in ogni diocesi e composta da cattolici di chiara fatta, non interessati a candidature personali e obbedienti esecutori delle direttive del proprio Vescovo (che esegue pedissequamente le direttive del Santo Padre). Ecco realizzata l’unità d’azione nazionale.
Unità rispetto alla quale Gedda formulerà un importante ragionamento: “Fino a quando questa collaborazione fu possibile la Democrazia Cristiana rimase compatta, poi vennero la moda di considerare l’assurda esigenza di una sinistra e di una destra all’interno del medesimo partito, la partitocrazia, il trasformismo e il crollo di ciò che la direttiva di Pio XII, Primate d’Italia, aveva creato”[19]. Unità che permette alla DC, grazie soprattutto ai Comitati Civici di Gedda[20], di sfiorare la metà dei suffragi e perciò di sbaragliare il Fronte[1] Il colpo di Stato di De Gasperi, in “l’Unità”, 2 dicembre 1947.
[2] Giorgio Galli analizza il programma del Fronte Democratico Popolare e osserva che l’apertura ai democratici che non si riconoscono nelle tradizioni comuniste o socialiste è particolarmente enfatizzata. Quasi che il nuovo raggruppamento ostenti il suo carattere precipuamente democratico ponendo in secondo piano i lineamenti comunisti e socialisti. Coerentemente con quest’ottica il simbolo che rappresenta tale nuova formula è Giuseppe Garibaldi, eroe del Risorgimento nazionale. G. Galli, Storia del Partito Comunista Italiano, Il Formichiere, Milano, 1976, p. 222.
[3] Che sia un’iniziativa promanata dal PSI lo si capisce bene dalla mozione conclusiva del VI Congresso del P.C.I.: “Il VI Congresso del Partito Comunista Italiano saluta e approva l’iniziativa del Partito Socialista per la creazione di un Fronte Democratico e Popolare di lotta per la pace, l’indipendenza estera e interna, e con questo programma affronti la prossima lotta elettorale per conquistare una solida maggioranza”: Partito Comunista Italiano, Risoluzioni del sesto Congresso del P.C.I.: 5 – 10 gennaio 1948, Stampa Moderna, Roma, 1948, p. 65.
[4] P. Ginsborg, Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino, 1989, p. 102.
[5] Ibidem, p. 103.
[6] L. Gedda, “A proposito di razza”, in “Vita e pensiero”, volume XXIX, settembre 1938.
[7] M. Invernizzi, Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia, Sugarco, Milano, 2012, pp. 51-55.
[8] L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Mondadori, Milano, 1998, pp. 115-116.
[9] Ibidem, p. 117.
[10] Ibidem, p. 135.
[11] Ibidem, p. 120.
[12] Ibidem, p. 119.
[13] Ibidem, pp. 120-121.
[14] Pio XII, Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. X, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano, 1949, pp. 31-33.
[15] AA.VV., Vittorio Veronese, un laico nella chiesa e nel mondo, AVE, Roma, 1994.
[16] L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, cit., p. 125.
[17] Atti e documenti della Democrazia Cristiana. 1943-1959, Ed. Cinque Lune, Roma, 1959, pp. 365-366.
[18] L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, cit., p. 134.
[19] Ibidem, p. 127.
[20] Il 22 aprile, a verdetto conclamato, Luigi Gedda è ricevuto da un rasserenato Pio XII, che gli suggerisce di dirigere una commissione di vigilanza utilizzando i Comitati Civici come organo politico non partitico. Il Santo Padre vuole si utilizzino i Comitati anche per rivitalizzare, con il loro dinamismo, l’Azione Cattolica. Ibidem, p. 133.
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