Editoriale

Con il metodo Monti-Bondi parlamentari (forse) onesti ma non politicamente affidabili

L'onestà dovrebbe essere implicita, ma all'elettore si dovrebbe garantire che gli uomini della lista votata rispettino gli impegni

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

n attesa di vedere quale risultato sortirà il lavoro del super commissario Enrico Bondi, incaricato da Mario Monti di spulciare migliaia di curricula, alla ricerca dei-candidati-senza-macchia, i  quattro paletti per l’incandidabilità dei montiani (condanne penali e processi in corso, conflitto di interessi, codice deontologico adottato dalla commissione, limiti dovuti all’attività parlamentare pregressa) creano più di qualche perplessità, in ragione della visione forzatamente “elettoralistica” del metodo.

A ben guardare,  l’unica assicurazione che garantiscono i criteri adottati, i “paletti” del duo Bondi-Monti, è rispetto al passato dei parlamentari-candidati. Il non  avere condanne penali, processi in corso, conflitti di interesse e di non essere seduti in parlamento da più di tre legislature dovrebbero essere caratteristiche “normali”, diciamo “di base”.

Ma oltre a queste caratteristiche andrebbe anche richiesta una affidabilità di fondo, una tenuta politica, una coerenza che purtroppo certe liste civiche non sembrano destinate a garantire.

D’accordo – come dice  la Costituzione – “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” e tuttavia qualche minima garanzia politica, in questo clima di moralismo diffuso, viene voglia di chiederla, visti i non edificanti episodi di “trasformismo” che hanno segnato l’ultima legislatura.

Diamo per scontato il tramonto dei vecchi partiti, organizzati, strutturati e selettivi. Consegniamo al secolo che ci è alle spalle la visione ideologica dei rapporti politici. Accantoniamo l’idea del partito-cerniera fra il popolo e il corpo legislativo, nel quale l’eletto ricopre il ruolo del mandatario del partito stesso. Ciò premesso,  che cosa rimane a tenere unite le “nuove leve” della politica post ideologica di scuola montiana ? Quale idee comuni daranno forma e forza alle loro azioni politico-parlamentari ? Chi e che cosa orienterà le loro scelte ?

Se ciascuno degli eletti non risponderà che a se stesso, se l’ “appartenenza” non viene  reputata un criterio importante di selezione-integrazione del ceto politico, se le distinzioni di destra e sinistra – come ha dichiarato lo stesso Monti -  appaiono inutili e sfuocate, che cosa impedirà ai “nuovi eletti” di spostarsi da uno schieramento all’altro ?

Per quanto “usurati” i partiti tradizionalmente intesi erano comunque luoghi di compensazione delle tensioni sociali, di sintesi di interessi generali, di selezione di classi dirigenti, laddove oggi ad andare per la maggiore sono i “comitati elettorali”, costruiti intorno ad una “agenda” o – per dirla con Stefano Fassina – ai livelli di reddito, in grado di fare assomigliare la lista Monti ad una lista Rotary.

Non ci sembra francamente  un grande salto di qualità ed un contributo per la crescita di una politica inclusiva e capace di garantire la governabilità.

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