Il rogo della Vecchia Befana

Il Carnevale:Origini e significato

Fino a qualche secolo fa, il periodo di Carnevale era tempo di follie ma anche di scherzi e beffe che si dovevano accettare di buon grado, come afferma il proverbio: “Di carnevale ogni scherzo vale”

di Marina Cepeda Fuentes

Il Carnevale:Origini e significato

Con il “rogo della Vecchia Befana” il 6 gennaio, simbolo della Madre Natura che muore per poi rinascere, è cominciato in alcune regioni del nord il Carnevale che quest’anno,  nel rito romano, finirà alla mezzanotte del 12  febbraio - Martedì Grasso - vigilia del Mercoledì delle Ceneri, mentre in quello ambrosiano si concluderà alla mezzanotte del sabato successivo.

Ma la data ufficiale che darà il via alle celebrazioni carnascialesche è quella del 17 gennaio, festività di  Sant’Antonio Abate, detto anche “il santo del maialino”.

In molti luoghi dell’Italia, già la vigilia della festa, si accendono in suo onore  dei grandi falò, si benedicono gli animali domestici, si organizzano corse di cavalli e si mangiano piatti a base di maiale perché una volta, durante tutto il periodo, occorreva “mangiar di grasso”: una tradizione imposta dalla necessità di porre fine alle scorte di grassi animali prima delle astinenze quaresimali.

Una filastrocca del Molise dice infatti: “Carnevale, muse unte/ z’ha magnate le panunte...”, ossia “Carnevale, tieni  il muso unto chi ha mangiato il panunto”, riferito al piatto tipico che si consuma per Sant’Antonio,  chiamato “Trachiulella” e “panuntella”, cioè cotolette di maiale su  pane casereccio unto di peperoncino o “diavolillo”.

D’altronde nel Medioevo il grasso Messer Carnevale era raffigurato con la testa di maiale, le dita a forma di salsicciotti e una collana fatta di  salumi, prosciutti e  lardo, in contrapposizione alla magra Donna Quaresima, grigia, scarna e con una aringa secca in una mano e un cavolo  nell’altra.

Ma oltre ai cibi a base di maiale, durante il Carnevale era d’uso consumare dolci  rigorosamente fritti nello strutto o nel burro. Molte sono tuttora le specialità regionali, che oggi, per la moderna dietologia, vengono cotte al forno o fritte con  diversi tipi di grassi vegetali.

Frappe, sfrappole, bugie, cenci, lattughe, trecce, chiacchiere,  galani, crostoli,  e molte altri cibi dolci, diversi nel nome ma molto simili nella sostanza: un semplice impasto di farina, uova e burro tagliato in grosse listarelle che poi vengono fritte e quindi ricoperte  con zucchero a velo o miele.

Ugualmente carnascialeschi - perché fanno parte della grande famiglia dei dolci fritti - sono  le frittelle  con diversi  nomi regionali: zeppole, tippulas, bignole, farseu, fritole, castagnole romane. Per non parlare delle specialità più elaborate e a volte ripiene: frittelle di riso molisane, fritole triestine, nigelan e krapfen altoatesini, sfincitelle siciliane, tortelli romagnoli, bomboloni fiorentini, cicerchiata umbra, fregnacce di Acquapendente, zippulas sarde,  panzarotti, ravioli dolci, frittelle di mele, di castagne o di zucca, zeppole napoletane, fritole veneziane... E chi più ne ha più ne metta perché è risaputo che “a Carnevale, il fritto non fa male”!

Comunque sia, e nonostante le tante celebrazioni carnascialesche - sfilate di carri, maschere, balli e grasse abboffate -  che si susseguiranno fino al Mercoledì delle Ceneri, nell’attualità  questi  festeggiamenti  sono come tanti  altri, perché non esiste più una distinzione  profonda fra giorni  feriali e feste.

“Quaresime” o  “carnevali” sono diventati oggi giorno quotidiani, privi di ogni rito; e la mancanza di ritualità è uno dei motivi  dell’angoscia che colpisce soprattutto gli abitanti delle grandi città  che vedono scorrere  i giorni linearmente, eguali  nell’alternanza  monotona di tempo lavorativo e di vacanze: vacanze che sono spesso una fuga  da cui si ritorna  alla realtà quotidiana con  angoscia.  Non a caso la parola “vacanza”, sconosciuta fino al secolo scorso, quando si parlava invece di villeggiatura,  deriva dal verbo  latino “vacare”, che significa  “essere libero da impegni”.

Ma torniamo al nostro re Carnevale che una volta, quando il tempo scorreva circolarmente, era per i contadini un periodo ciclico in cui si poteva prevedere il tempo futuro e si creavano dunque proverbi ricorrenti che perdurano tuttora. Si diceva: “Carnevale al sole, Pasqua al fuoco, Carnevale al fuoco, Pasqua al sole”, dove  il fuoco  indicava il caminetto  e in senso traslato il brutto tempo. Una previsione che si  basava sull’esperienza perché sappiamo bene che, se l’inverno è asciutto  e sereno, probabilmente nel periodo pasquale pioverà a dirotto e viceversa.

Un altro proverbio invita a scambiarsi visite e inviti: “Carnevale in casa d’altri e Natale in casa tua”. Chi invece non nuotava in buone acque e non aveva  né tempo né voglia di ridere bofonchiava: “In Carnevale il povero a zappare”. Ma vi era  anche chi saggiamente non si lasciava amareggiare dalle  ristrettezze ed esclamava: “Per Berlingaccio chi non ha ciccia ammazza il gattaccio”. Si tratta di un detto toscano in cui “Berlingaccio”, che deriva dal tedesco “bretling”, tavola,  è sinonimo di Giovedì Grasso, ma anche per estensione  di persona grassa, allegra, bene in carne.

Fino a qualche secolo fa, il periodo di Carnevale era tempo di follie ma anche di  scherzi e beffe che si dovevano accettare di buon grado, come afferma il proverbio: “Di carnevale ogni scherzo vale”. D’altronde il Carnevale nasce dalla reinterpretazione cristiana di una festa  di passaggio da un anno all’altro, che si ritrova in varie tradizioni orientali e occidentali: dai “Saturnalia” romani alle bacchiche  “Antesterie” greche sino alle feste che precedevano l’equinozio  primaverile in Babilonia, come ha documentato Alfredo Cattabiani nel suo “sempreverde “Calendario” (Mondadori).

Per capire dunque  il vero significato del Carnevale, spiega Cattabiani, «conviene   riflettere sulla struttura e sul simbolismo  di una antichissima festa babilonese, poiché gli archetipi sono per definizione universali». D’altronde non possiamo sapere se quella sorta di “carnevale” orientale non abbia influenzato  anche quello occidentale, tanto più che  il nostro calendario registra influenze  caldee, come ad esempio  la settimana con i nomi dei suoi giorni.

«In Babilonia», scrive Alfredo Cattabiani,  «si chiamava “Carro navale” una nave munita di ruote sulla quale il simulacro del dio Luna o del dio Sole veniva trasferito nelle settimane che precedevano l’equinozio di primavera, capodanno per quei popoli, fino al santuario babilonese. Quella processione simboleggiava il rinnovamento dell’anno mentre il  viaggio verso il tempio alludeva al periodo di passaggio, di transizione e di caos festeggiato  con una serie di comportamenti  orgiastici, di finte battaglie, allegorie dello scontro fra forze positive e  negative del cosmo, e di maschere che altro non erano se non le immagini  dei morti, degli esseri degli inferi, che si mescolavano ai vivi figurando il rimescolamento cosmico di vita e morte, preludio alla nuova rifondazione temporale del manifestato».

Nell’antica  Roma invece la figura medievale di Messer Carnevale si può accostare al cosiddetto   “Re dei Saturnali”, una festa dai  toni carnascialeschi  che si svolgeva fra il 17 e il 21 di dicembre. Festa che la Chiesa, per non turbare l’atmosfera natalizia, cercò di espellere dalla loro collocazione tradizionale.

Ma non vi riuscì del tutto perché le «libertà di dicembre», spiega Cattabinai,  si annidarono a lungo nel medioevo, fra i giorni successivi al Natale, con le usanze carnascialesche dei Santi Innocenti che si svolgevano persino all’interno delle chiese con l’episcopello e le feste dell’Asino e che sotto un aspetto più popolaresco perdura in Spagna dove il 28 dicembre e la giornata dedicata gli scherzi, come  l’italico “pesce d’aprile”.

D’altra parte, e fino  alle soglie dell’età moderna in alcune regioni il Carnevale cominciava addirittura a Santo Stefano, come testimonia un proverbio bergamasco e bresciano: “Dopo Natale è subito Carnevale”. D’altronde, oggi ancora un frammento dei Saturnali sopravvive nella notte orgiastica di San Silvestro. In altre regioni, come già detto, lo si inizia dopo l’Epifania, e in altre ancora dopo la Candelora del 2 febbraio. Ma la data che si è imposta a poco a poco quasi dappertutto è quella infatti del 17 di gennaio, festività  di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici.

Quanto all’origine e significato  della parola “Carnevale” ci sono  tante e contrastanti ipotesi.  Secondo l’interpretazione più corrente deriverebbe dal latino medievale “Carni levamen”, che significava  “sollievo alla carne” e dunque  libertà temporanea  concessa agli istinti più elementari. Vi è anche chi avanza un’altra ipotesi, che derivi da “Carnes levare”, cioè “togliere le carni”; o da “Carni vale!”, ossia “carne addio!”, nel senso che una volta in questo periodo, prima dell’arrivo della primavera,   si esaurivano in orge gastronomiche  le ultime scorte di carni, grassi animali e salumi.

Forse  la prima ipotesi fra quelle elencate  sia la più  esauriente poiché, nell’immaginario medievale cristiano, era proprio la “carnalità”, in tutte le sue sfaccettature,  a trionfare prima della Quaresima, il periodo di purificazione e penitenza  per la  preparazione della Pasqua.

In ogni modo, aldilà della sua origine e significato e nonostante abbia perduto la sua antica importanza e ritualità come momento di passaggio dall’inverno verso la primavera, ancora oggi ci sono in giro per l’Italia centinaia di feste carnascialesche, alcune bellissime, che hanno conservato in gran parte gli ancestrali e rituali simboli del Carnevale. Di alcune ne parleremo nelle prossime settimane.

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