Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
er il 34% degli italiani, se dalle elezioni non dovesse emergere un vincitore chiaro, la soluzione migliore sarebbe tornare di nuovo al voto. Il 32%, invece, vorrebbe che il centrosinistra e la coalizione con Monti si accordassero per governare insieme, mentre al 17 per cento piacerebbe un'intesa tra tutte le principali forze in campo. È quanto emerge da un sondaggio realizzato dall’ Istituto Swg per una trasmissione di Rai Tre.
Andando a vedere nel dettaglio il bacino elettorale dei singoli schieramenti, sempre nel caso non ci fosse un risultato netto alle elezioni, un accordo tra Bersani e Monti sarebbe auspicabile per il 72 per cento degli elettori di centro e piacerebbe anche al 65 per cento di quelli di centrosinistra. Il 48 per cento degli elettori di centrodestra preferirebbe invece tornare al voto, mentre il 35 per cento vorrebbe un’intesa tra tutte le coalizioni. Quest’ultima ipotesi è ben vista anche dal 18 per cento del bacino elettorale di centro e dal 6 per cento di quello di centrosinistra.
Mi sembrano dei dati interessanti, soprattutto se incrociati con quelli relativi alle dichiarazioni di voto che vedono in flessione la coalizione di sinistra di circa due punti e in crescita quella di centro destra di altrettanti punti percentuale. A mio avviso il Pdl potrebbe arrivare a raggiungere, da solo, il 20 per cento dell’elettorato (nonostante le liste che si stanno per presentare annovereranno, ahinoi, diversi impresentabili), il resto della partita tocca alle alte liste dell'alleanza le cui percentuali di voto appaiono oggi assai difficili da prevedere, sperando in un loro miglioramento complessivo al rush finale.
Dunque, quanto emerge dalla ricerca - anche se ai partiti di centro sinistra non interesserà nulla dei desideri degli elettori e proveranno di tutto, come nel 2006, per mettere su un governo e una fiacca maggioranza - al meno può costituire oggetto di riflessione. Se dalle urne non sortisce un risultato che consente alla sinistra di governare, se non attraverso arditi equilibrismi politici, che cosa dovrà fare il centro destra? Che atteggiamento dovrà tenere? Chiedere a gran voce un nuovo turno elettorale o dare la propria disponibilità per una grande alleanza di governo? Personalmente, in modo squisitamente ideale, opterei per questa seconda ipotesi, se l’orizzonte - questo il discrimine - fosse una legislatura costituente capace di modificare le regole del gioco: legge elettorale, titolo quinto delle costituzione, riforma della giustizia e di alcuni articoli della costituzione con tutta evidenza vetusti, inattuali e poco funzionali al futuro in genere, e nello specifico alla governabilità del nostro Paese.
Ma nutro poche speranze: sedersi a tavola con personaggi come Bersani rende indigesta ogni pietanza, ma magari, pur di fare i commensali, tanto Bersani che Berlusconi potrebbero accettare il menù. E Monti? Beh, lui potrebbe essere il gran cerimoniere. Anche se, comprensibilmente, Francesco Storace ha appena tuonato: "se il Pdl dovesse tornare ad appoggiare un governo Monti dopo il voto l'alleanza si romperebbe, così come l'abbiamo rotta quando il Popolo della Libertà gli votò la fiducia".
Non mi capacito che il fine ultimo dei centristi e di Monti - dopo tanto ardito fare e disfare - sia solo, tanto banalmente, quello di divenire la stampella elettorale della sinistra e il tutore-garante con le istituzioni europee e le cancellerie varie, per la presumibile stabilità di governo. Il prezzo per Monti mi pare davvero alto, troppo salato. Traghettare Fini e Casini nel futuro per un’alleanza con il Pd (tutt’altro che remunerativa: due ministeri e un paio di sottosegretari? La presidenza della Repubblica? Non credo), mi sembra davvero un paradosso machiavellico. A meno che tutta l’operazione sia da interpretarsi in chiave anti-berlusconiana: spingere a lenta agonia - attraverso un lungo e sofferto turno legislativo - il Pdl, per poi prenderne l’eredità culturale, sociale ed elettorale, con tanto di sponda europea del Ppe.
Non mi rassegno, inoltre, a fare da spettatore muto alla disfatta della destra italiana, che divisa com’è, rischia di riportare indietro di trent’anni il suo peso elettorale.
Checché se ne dica, a parte le responsabilità personali di una classe dirigente poco accorta e soprattutto incapace di elaborare in modo persuasivo il proprio contributo culturale e politico nel centro destra, la prima responsabilità dello stato attuale della destra italiana ha il suo grande responsabile.
Fini, è chiaro, prima liquidò Casini nell’alleanza elettorale del 2008 escludendolo nel rapporto con Berlusconi, nella speranza di prendere, prima o poi, la guida dell’intera area di centro destra; in seguito - con la fondazione del partito unico - ebbe come fine principale quello di smarcarsi dai suoi colonnelli (oramai ingestibili sotto ogni piano). Tant’è che, di lì a poco, fondando il Fli, li ha lasciati come scomoda eredità al cavaliere il quale, siamo a oggi, li ha messi dinnanzi ad un aut aut e li ha resi autonomi.
Dove tutto questo tramare abbia portato l’ex segretario del Msi non è chiaro, a me pare che, tutto sommato, sia stato anch’egli strumento (e, di fatto, anche vittima inconsapevole) di un grande disegno politico dai mille e tentativi e dalle diversificate strategie. Italiane e internazionali.
L'hanno illuso, Fini, facendogli credere per un po’, di essere il top-player di un progetto internazionale, poi, però, è arrivato Monti, un giocatore di ben altra tempra e levatura. E ora il delfino di Almirante, quello che con Tatarella e altri, sperava di portare la destra stabilmente al governo del Paese, non solo rimarrà alla storia come il liquidatore della destra italiana, ma come l’uomo che ha sacrificato e sperperato la storia di una comunità, per un’altra, ultima, sua traballante legislatura per giunta improntata al possibile soccorso del Pd.
Inserito da NewBalance547 il 15/11/2014 10:56:55
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